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La lingua geniale: 9 ragioni per amare il greco PDF

137 Pages·2016·0.81 MB·Italian
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i Robinson / Letture Andrea Marcolongo La lingua geniale 9 ragioni per amare il greco Editori Laterza © 2016, Gius. Laterza & Figli Pubblicato in accordo con Studio Olati Edizione digitale: settembre 2016 www.laterza.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 9788858126615 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata Sommario Introduzione Quando, mai. L’aspetto Il silenzio del greco. Suoni, accenti e spiriti Tre generi, tre numeri I casi, ovvero un’ordinata anarchia delle parole Un modo chiamato desiderio.L’ottativo Ma quindi, come si traduce? Noi e il greco, una storia Premessa: che cos’è una lingua L’indoeuropeo Il greco prima del greco: il greco comune Tanti dialetti diversi e un greco classico: sì, ma quale? La κοινὴ διάλεκτος, ovvero il greco dopo il greco classico Il greco moderno, anzi antico Bibliografia Ringraziamenti Introduzione Il mare brucia le maschere, le incendia il fuoco del sale. Uomini pieni di maschere avvampano sul litorale. Tu sola potrai resistere nel rogo del Carnevale. Tu sola che senza maschere nascondi l’arte d’esistere. Giorgio Caproni, da Cronistoria È “strano” – molto strano – “il fatto di voler sapere il greco, sforzarci di sapere il greco, sentirci attratti dal greco, e stare sempre lì a farci un’idea del significato del greco, magari sulla base di chissà quali incongrui dettagli, e di chissà quale vaga somiglianza al significato reale del greco”, scrive Virginia Woolf. Perché “nella nostra ignoranza saremo sempre comunque gli ultimi della classe, visto che non sappiamo che suono avevano le parole greche, o dove di preciso dovremmo ridere”. Anch’io sono strana – molto strana. E sono grata a questa mia stranezza, che mi ha condotta, senza appuntamento come le cose belle che accadono nella vita, a scrivere questo libro dedicato al greco antico. E così mi sono ostinata non solo a voler sapere il greco, ma persino a raccontarlo. A voi. Sempre da ultima della classe, naturalmente; ma almeno forse ora so dirvi dove di preciso dovremmo ridere. Lingua morta e lingua viva. Tortura del liceo classico e avventure di Ulisse. Traduzione o geroglifici. Tragedia o commedia. Comprensione o fraintendimento. Amore o disamore, soprattutto. Rivolta, quindi. Capire il greco non è questione di talento, ma di militanza – come la vita. Se ho scritto queste pagine, è stato perché del greco antico mi sono innamorata da ragazza: l’amore più lungo della mia vita, a conti fatti. Ora, donna, vorrei provare a regalare (o restituire) un po’ di amore a coloro che se ne sono disinnamorati: quasi tutti quelli che si sono imbattuti – da ragazzi – in questa lingua – da adulti – negli anni del liceo. E vorrei persino far innamorare coloro che questa lingua proprio non la conoscono. Sì, questo libro, prima di tutto, parla di amore: verso una lingua, ma soprattutto verso gli esseri umani che la parlano – o, se nessuno la parla più, verso coloro che la studiano perché costretti o irrimediabilmente attratti. Non importa quindi che sappiate il greco antico oppure no. Non sono previsti esami di maturità né compiti a sorpresa – sorprese invece sì, tante. Non importa neppure che abbiate frequentato il liceo classico. Se no, meglio. Se sarò stata in grado di guidarvi nel labirinto del greco con la mia fantasia, arriverete alla fine del cammino con nuovi modi per pensare il mondo e la vostra vita, in qualunque lingua la esprimiate a parole. Se sì, ancora meglio. Se sarò riuscita a rispondere a domande che mai vi eravate posti o che mai hanno ricevuto risposta, forse alla fine di questa lettura avrete recuperato parti di voi perdute nella vostra gioventù trascorsa a studiare il greco senza capire bene il perché, e che forse vi potranno tornare utili, tanto utili, ora. In entrambi i casi, queste pagine saranno un modo, tra me e voi, per giocare a pensare in greco antico. Ciascuno di voi, nel corso della sua vita, si deve essere imbattuto nel greco e nei Greci. Chi con le gambe strette sotto i banchi del liceo, chi a teatro davanti a una tragedia o a una commedia, chi nei pallidi corridoi dei tanti musei archeologici che affollano l’Italia – in tutti i casi, il senso dell’essere greco non sembra mai essere più appassionante e vivo di una statua di marmo. A tutti – ma proprio a tutti – prima o poi deve essere stato detto, oppure nemmeno è stato detto, perché da più di due millenni la voce che circola è sempre la stessa, tale da essere ormai sotto la pelle e dentro la testa di ogni europeo: “Tutto ciò che di bello e di insuperabile è stato detto o fatto al mondo, l’hanno detto o fatto per la prima volta gli antichi Greci”. E quindi in greco antico. Quasi tutti non ne hanno una conoscenza diretta – l’unica certezza è che un antico Greco che parli l’antico greco non esiste più. Ne hanno solo “sentito parlare”, oppure non l’hanno nemmeno sentito, come dicevo prima: è così e basta, da secoli. La nostra presunta eredità culturale greca ci è stata dunque generosamente consegnata da un popolo antico che non capiamo, in una lingua antica che non capiamo. Formidabile. È terribile la condizione di chi non capisce, ma gli è stato detto che deve amare: inizia subito ad odiare. All’apparenza, di fronte ai marmi del Partenone o al teatro di Siracusa andiamo fieri dei Greci e del greco antico, come fossero opera di nostri avi, di nostri trisnonni alla lontana. Ci piace immaginarli nel sole di qualche isoletta intenti a inventare la filosofia o la storiografia, oppure seduti in un teatro adagiato sul versante di una qualche collina mentre assistono a una tragedia o a una commedia; o ancora, di notte, ad ammirare un cielo gonfio di stelle mentre scoprono la scienza e l’astronomia. Sotto sotto, ci sentiamo invece sempre insicuri di noi stessi, come se, di fronte ad un’interrogazione su una storia non nostra, avessimo dimenticato qualcosa dell’antica Grecia. E la lingua greca è proprio quel qualcosa che non capiamo. “Il greco: quell’assurdo, tragico attimo dell’umano”, per citare Nikos Dimou e tutta la sua infelicità. Non solo, quindi, ci avviciniamo da diseredati e disadattati a questa eredità culturale del greco antico. Se anche proviamo a riprenderci una briciola di ciò che la grecità ci ha lasciato in dote, siamo vittima di uno dei sistemi scolastici più retrogradi e ottusi del mondo (a mio parere naturalmente, sempre da ultima della classe e forse, dopo questo libro, da bocciata ed espulsa). Il liceo classico, così come è strutturato, sembra non avere altro scopo che mantenere i Greci e il loro greco i più inaccessibili possibile, muti e gloriosi lassù nell’Olimpo, avvolti da un timore reverenziale che si trasforma spesso in un terrore divino e in una disperazione molto terrena. I metodi di apprendimento in uso, fatta eccezione per pochi e illuminati insegnanti, sono una perfetta garanzia di odio anziché di amore per chi osa avvicinarsi alla lingua greca. La conseguenza è la resa totale di fronte a questa eredità che non vogliamo più, perché appena la sfioriamo non la capiamo e scappiamo via terrorizzati. I più bruciano le navi del greco dietro di sé, non appena liberati dall’obbligo scolastico. Saranno tanti i lettori che in questo libro riconosceranno la memoria appiccicosa delle loro paure, delle loro fatiche, della loro rabbia, della loro frustrazione verso il greco antico, riconoscendosi nelle mie. Eppure, queste pagine nascono dalla convinzione che non ha senso sapere qualcosa che non si ricorda, soprattutto se lo si è studiato con sudore per cinque anni o più. Questo libro non è perciò una grammatica convenzionale del greco antico, né descrittiva né normativa. Non ha alcuna pretesa accademica (ce ne sono già fin troppe da millenni). Certo, ha una forte pretesa di passione e di sfida. È un racconto letterario (e non letterale) di alcune particolarità di una lingua magnifica ed elegante come il greco antico – quel suo modo di esprimere in modo fulmineo, sintetico, ironico, aperto di cui – siamo sinceri – proviamo un’inconsapevole nostalgia. Il greco antico, qualunque cosa vi abbiano detto (e soprattutto non detto), è innanzitutto una lingua. Ogni lingua, con ogni sua parola, serve a dipingere un mondo. E questo mondo è il vostro. È grazie alla lingua che potete formulare un’idea, dar voce ad un’emozione, comunicare come state, esprimere un desiderio, ascoltare una canzone, scrivere poesie. In questi nostri tempi in cui siamo tutti connessi a qualcosa e quasi mai connessi a qualcuno, in cui le parole sono cadute in disuso, rimpiazzate da emoji e da altri moderni pittogrammi, in questo mondo sempre più veloce e in questa realtà così virtuale che ormai viviamo in differita da noi stessi, di fatto – a parole – non ci capiamo più. La lingua, o quel che ne resta, sta diventando sempre più banale: quanti di voi hanno telefonato (intendo proprio composto un numero per sentire una voce umana) per amore oggi? E quand’è stata l’ultima volta in cui avete scritto una lettera (intendo proprio con la biro su un foglio bianco) e leccato una busta e un francobollo? Il divario tra il significato di una parola e la sua interpretazione cresce di ora in ora, così come i fraintendimenti, i non detti – direttamente proporzionali ai rimpianti e ai fallimenti. Si sta perdendo a poco a poco, la capacità di parlare una lingua, qualunque essa sia. Di capirci e di farci capire. Di dire cose complesse con parole semplici, vere, oneste: ecco la potenza del greco antico. Sembrerà strano (ma l’ho dichiarato fin dall’inizio di essere strana), però la lettura di questo libro dedicato al greco potrà venirvi in aiuto ogni giorno (e non in occasione di un compito in classe tardivo: a quello ci pensa già la vita). Sì, proprio quel greco antico. Avvicinato senza paura (e con una buona dose di follia), il greco si lascia guardare in faccia e ancora vi parla. A gran voce, pura. Per poter pensare e quindi dire un desiderio, un suono, l’amore, la solitudine, il tempo: per riprendervi finalmente il vostro mondo, adesso, e dirlo a modo vostro. Perché, per citare ancora Virginia Woolf, “è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione; e della nostra epoca”. Scrivere questo libro dedicato al greco antico è stata per me una straordinaria esperienza umana. È stato come recuperare il senso delle parole greche scritte su una lavagna mille anni fa e subito cancellate al termine della lezione – dimenticate. Sono partita dal ricordo di me, poco più che bambina, che mi affannavo su un alfabeto non mio fino a guardare ora alla lingua, quindi alla natura umana, in un modo del tutto nuovo. Ho recuperato da scatoloni sopravvissuti ad oltre dieci traslochi libri di me quattordicenne, che annotavo accanto alle declinazioni il nome del compagno di banco, fino ai manuali universitari che mi seguono di vita in vita, di città in città più delle chiavi di tutte le case che ho avuto e lasciato. Ho provato a smettere di pensare pensieri che mi hanno tormentata per oltre un decennio, scoprendo che bastava condividerli con le persone accanto a me: anche loro stavano finendo di pensare le stesse cose, la maggior parte delle volte senza saperlo. Non ce le eravamo dette mai. Ho aiutato ragazzini alle prese oggi, nel 2016, con il liceo classico per imparare proprio da loro: le domande che mi hanno fatto sono state le stesse che ponevo quando anch’io ero inesperta del greco e soprattutto della vita. E una volta domandato è impossibile richiamare la curiosità indietro, se ci si ostina; proprio come ho fatto io, anche se ci è voluto tanto tempo per trovare o immaginare la risposta. Ho riso con tanti amici, ormai adulti, che sono passati attraverso le stesse disavventure alle prese con il greco antico, scoprendo che chiunque si avvicini a questa lingua ha una collezione di figuracce sepolte nel cassetto – ecco, è proprio lì dove dovremmo ridere. Soprattutto, ho provato a raccontare le stranezze del greco antico anche a chi non l’ha mai studiato. Incredibile: mi hanno capita, ci siamo capiti. E bene. Forse, meglio. Io, che sono tanto strana, ho imparato a guardare al tempo in un altro modo, grazie all’aspetto della lingua greca, e poi a dirlo. Ho soffiato così tanti soffioni esprimendo desideri all’ottativo e facendo i conti con la mia volontà di realizzarli che ne restano ormai pochi nei campi di fine primavera a Sarajevo. Ho detto ti amo al duale, un numero della lingua greca che significa noi due – solo noi. Ho riconosciuto la crudeltà del silenzio imposto, ma anche che certa musica non la si ascolta soltanto, la si guarda. Ho persino fatto pace con il mio nome da maschio, Andrea, causa che pensavo essere ormai persa. Scrivendo questo libro, “la stranezza che ho nella testa” si è fatta paradossalmente meno strana. Insomma, grazie al greco antico – capendolo o almeno intuendolo – sono riuscita a dire molte cose in più, anziché in meno, a me stessa e agli altri. Spero che lo stesso capiti anche a voi, leggendo queste pagine. E che possiate arrivare in fondo sapendo ridere e godere del greco antico, almeno una volta nella vita.

Description:
Lo sappiamo tutti: la prima reazione davanti a un testo in greco antico spazia dalla paralisi al terrore puro. Ho scelto nove ragioni per amare e per raccontare ciò che il greco sa dire in modo unico, speciale, diverso da ogni altra lingua – e sì, per spazzar via ogni paura trasformandola forse
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