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La lingua bugiarda. Possono le parole nascondere i pensieri? PDF

130 Pages·2007·1.62 MB·Italian
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«La lingua è data all’uomo perché possa travestire i suoi pensieri» (Talleyrand). «Quando si è detta una bugia, ci vuole buona memoria» (Corneille). «Dio mio! Le lingue degli uomini sono piene di inganni!» (Shakespeare). «Le differenti lingue mostrano che con le parole non si giunge né alla verità, né a un’espressione adeguata» (Nietzsche). «Il linguaggio traveste il pensiero» (Wittgenstein). «Omnis homo mendax» (Salmi). Harald Weinrich LA LINGUA BUGIARDA Possono le parole nascondere i pensieri? I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it Harald Weinrich La lingua bugiarda Possono le parole nascondere i pensieri? il Mulino I. «Magna quaestio est de mendacio...» La bugia è nel mondo. È dentro di noi, è intorno a noi. Non possiamo far finta di non vederla. «Omnis homo mendax», re­ cita un verso dei Salmi (116, 11). Possiamo tra­ durre: l’uomo è un essere capace di mentire. Si tratta di una definizione non diversa da quelle secondo cui l’uomo è un essere in grado di pen­ sare, parlare o ridere. Sarà pure una definizione misantropica, ma è inconfutabile. Il misantropo di Molière la sfrutta a buon diritto per odiare l’intero genere umano. La linguistica non può eliminare la bugia dal mondo e non può evitare che «quei bugiardi vessilli» (Goethe) vengano così spesso spiegati1. È anche vero che gli uomini - il più delle volte - attraverso la lingua mentono; non dicono la ve­ rità e per parlare usano la lingua biforcuta. Ma c’è da chiedersi se la lingua li aiuti a mentire. Se lo fa, la linguistica non potrà sottrarsi al «grande 7 problema del mentire» (Agostino). Se invece la lingua non aiuta a mentire o se addirittura vi oppone resistenza, la linguistica può comunque descrivere cosa le accade, quando la verità viene volta a bugia. In ogni caso la bugia è affare della linguistica. Agostino, che per primo ha fatto della bugia tema di riflessione filosofica e teologica, è stato anche il primo a coglierne l’aspetto linguistico quando fa notare che il linguaggio è stato senza dubbio istituito non perché gli uomini s’ingannino reciprocamente, ma perché ciascuno porti a conoscenza degli al­ tri i propri pensieri. Perciò usare il linguaggio per mentire, contro il suo fine originario, è pec­ cato (enchir: 7, 22)2. Tommaso d’Aquino e Bonaventura accol­ gono questa riflessione: le parole sono espres­ sioni del pensiero: è contro la loro natura e con­ tro il pensiero porle al servizio della bugia3. La lingua dovrebbe rivelare i pensieri, non nascon­ derli. Ne va della funzione semiologica della lin­ gua. Si tratta della sua potenzialità più elemen­ tare, ma proprio per questo è quella più fonda- mentale. La bugia è la sua degenerazione. 8 Ma gli uomini, per come sono fatti, usano i segni della lingua sia per il bene che per il male. Così dicono i moralisti. In un esametro dei Disticha Catonis è scritto: «Sermo homi- num mores celât et indicai idem» (La lingua nasconde e al tempo stesso rivela i costumi de­ gli uomini)4. Lo scetticismo di queste parole ha fatto scuola. Nel Dialogo tra il cappone e la pollastra Voltaire mette nel becco dei due per­ sonaggi con le ali un duro giudizio sugli uo­ mini: «Si servono del pensiero solo per auto­ rizzare le proprie ingiustizie e fanno uso della parola solo per mascherare i propri pensieri»5. Chi non crede al cappone presterà forse più at­ tenzione al politico Talleyrand. Di lui si narra che nel 1807, in occasione di un colloquio con l’inviato spagnolo Izquierdo, abbia detto: «La parole a été donnée à l’homme pour déguiser sa pensée» (La lingua è data all’uomo perché possa travestire i suoi pensieri). Un detto che è diventato celebre, attribuito anche a Fouché o Metternich. Questo significa che, se non pro­ prio tutti gli uomini nascondono i loro pensieri con la lingua, per i politici e i diplomatici men­ tire fa parte del mestiere. È un’arte. Lo scrit­ tore Hermann Kesten riprende l’idea e, come un ventaglio, la apre: 9 Di intere categorie professionali, la gente dà per scontato che inducano i loro rappresentanti a mentire, per esempio i teologi, i politici, le pro­ stitute, i diplomatici, i poeti, i giornalisti, gli av­ vocati, gli artisti, gli attori, i falsari, gli agenti di borsa, i produttori di generi alimentari, i giudici, i medici, i gigolò, i generali, i cuochi, i commer­ cianti di vino6. C’è sempre stato chi ha ritenuto la lingua corresponsabile, quando gli uomini la usano impropriamente volgendola all’inganno. Nel- YEnrico V di Shakespeare è scritto, in francese: «O bon Dieu! Les langues des hommes sont pleines de tromperies» (Dio mio! Le lingue de­ gli uomini sono piene di inganni!)7. Forse per­ sino una lingua di più, un’altra di meno. Nel romanzo di Goethe Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, la compagnia si intrattiene a un certo punto sui pro e i contro del teatro fran­ cese. Viene fatto notare che Aurelie non parte­ cipa alla conversazione su questo tema. Corte- semente sollecitata, ne rivela il motivo: odia il francese. Il suo amico infedele le ha tolto questo piacere. Infatti, fintanto che le fu legato, le aveva scritto le sue lettere in tedesco - «e che tedesco: affettuoso, forte, sincero!». Ma, svanito l’amore 10 che provava per lei, era passato a scriverle in francese, cosa che prima era capitata solo per scherzo. Questo cambiamento Aurelie lo aveva capito fin troppo bene. Per le reticenze, per i mezzi termini, per le menzogne non c’è lingua più adatta: è una lin­ gua perfida. (...) Il francese è davvero la lingua del mondo degna di essere la lingua universale perché tutti possano mentirsi e ingannarsi a vi­ cenda8. Quindi, se Aurelie con le sue «bisbetiche tirate» avesse ragione, la lingua tedesca sarebbe incline alla verità e quella francese all’inganno. Bene, questi sono solo degli aneddoti, e come tali li intendevano Shakespeare e Goethe. Potrebbe anche essere, tuttavia, che la lingua sia, come ha già notato Wittgenstein, non un vestito, ma un travestimento del pensiero9. In simile dubbio ci si imbatte spesso. Quando, anni fa, gli studiosi di diverse discipline si ritrovarono per mettere a punto una ricerca sul fenomeno della bugia, anche il linguista Friedrich Kainz venne invitato a contribuire con un’indagine sulle ma­ nifestazioni della bugia nella vita di una lingua. Riallacciandosi ad Agostino, Kainz stabilisce 11 innanzitutto che tutte le bugie sono espressioni linguistiche e che, di conseguenza, fanno parte del vasto ambito della lingua10. Esamina poi la lingua per ritrovarvi quegli elementi che hanno a che fare con la bugia, e ne trova così tanti che il lettore non può che restare impressionato. Con lo stesso diritto con cui della lingua si dice che pensa e fa poesia per noi, si può anche dire, secondo Kainz che mente per noi. Egli conia a questo punto l’espressione «seduzione lingui­ stica». Secondo lui, il nostro pensiero si muove su binari linguistici e le bugie della lingua indu­ cono di conseguenza anche il nostro pensiero a mentire. A voler essere esatti, continua Kainz, sono bugie linguistiche molte delle figure reto­ riche come gli eufemismi, le iperboli, le ellissi, le anfibologie, le forme e le formule di cortesia, l’enfasi, l’ironia, le parole tabù, gli antropomor­ fismi, ecc. Secondo lui, alla verità, nella lingua, non resta che uno spazio angusto. Si può sup­ porre che si tratti della frase dichiarativa nuda e cruda, quella tanto amata dalla logica. Povera critica linguistica, toglie dalla lingua tutti i fiori e le foglie, fino a tenere in mano un misero stelo! Al riguardo Agostino si era dimo­ strato un linguista migliore. Egli si è confrontato con la questione nella sua opera Contra menda- 12

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