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La lettera di Paolo ai Romani. Guida alla lettura PDF

106 Pages·2018·1.082 MB·Italian
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Romano Penna La lettera di Paolo ai Romani 1 Collana BIBLICA Titoli più recenti U. V����, Intervista sull’Apocalisse. Collasso del cosmo o annuncio di un mondo nuovo? R. P����, L’evangelo come criterio di vita. Indicazioni paoline A. M����, La solitudine del credente M.-L. R�����, I.N.R.I. Il titolo della Croce E. G�������, Lettera e Spirito. Lettura della Bibbia dalle origini cristiane ai nostri giorni R. P����, Profili di Gesù M. G�����, Scriba dell’Antico e del Nuovo. Il Vangelo di Matteo D. S������, I Dodici Profeti: perché «Minori»? Esegesi e teologia R. L������� – L. S���, Empi e giusti: quale sorte? Lettura di Sapienza 1–6 M. G�����, «Paradosso» e «mistero». Il Vangelo di Marco R. P����, Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico M. I��������, L’incontro fra Gesù e Pilato. Processo al processo e teologia di Giovanni 18–19. Percorso storico, giuridico ed esegetico M. G�����, L’opera di Luca. 1. Il Vangelo del viandante J.-L. S��, «I nostri padri ci hanno raccontato». Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento P. B�����, Parole di libertà. Il messaggio biblico della salvezza R. L������� – L. S���, L’amai più della luce. Lettura di Sapienza 7–9 N. C������-B������, I profeti, messaggeri di Dio. Presentazione essenziale M. G�����, L’opera di Luca. 2. Atti degli Apostoli, il viaggio della Parola J.-L. S��, Il cantiere del Pentateuco. 1. Problemi di composizione e di interpretazione P. A�����, Insoliti eroi. Teologia e storia nel libro dei Giudici J.-L. S��, Il cantiere del Pentateuco. 2. Aspetti letterari e teologici P. B�����, Vie della giustizia secondo la Bibbia.Sistema giudiziario e procedure per la riconciliazione L. M��������, Al cuore della sapienza.Aspetti del vivere nell’Antico Testamento S. G�������, La prima evangelizzazione nella Chiesa delle origini M. G�����, Matteo, Marco, Luca e gli Atti degli apostoli G. D� C����, Il bagliore delle luci antiche. Una lettura sapienziale della Bibbia ebraica M. M�����, La cura della vita. Bibbia e bioetica P. P������, Dalle parole di Gesù alla Bibbia. Gli anni decisivi del cristianesimo (100-250) M. G�����, Il Vangelo secondo Giovanni. Elementi di introduzione e teologia M. G�����, Il discorso della montagna. Utopia o prassi quotidiana? G. B������, Paura e consolazione nell’Apocalisse L. N����, Introduzione al Nuovo Testamento R. P����, La lettera di Paolo ai Romani. Guida alla lettura 2 Romano Penna L� ������� �� P���� �� R����� GUIDA ALLA LETTURA EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA 3 Edizione digitale della prima edizione cartacea pubblicata nel 2018 Il volume è frutto delle conferenze tenute dall’autore al convegno di Parola, Spirito e Vita di Camaldoli, trascritte da Giuliano Stenico, e potrebbe risentire dello stile colloquiale. Questo e-book contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo libro elettronico/e-book non potrà in alcun modo esser oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale libro elettronico non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. Edizione cartacea nel catalogo EDB®: © 2018 Centro editoriale dehoniano Edizione digitale: © 2020 Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro, 4 – 40138 Bologna www.dehoniane.it EDB® Per i testi biblici: © 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena ISBN e-book: 978-88-10-975022 4 PREFAZIONE La Lettera ai Romani è stata definita lo scritto più influente e insieme il più controverso nella storia del cristianesimo. Il fatto è che, come per ogni testo, interpretare non è cosa facile. Secondo Umberto Eco, l’interpretazione ha dei limiti e questi coincidono con i diritti del testo stesso, che va rispettato nella sua alterità. Ma poi si dà il fatto che questi diritti si incontrano, e a volte si scontrano, con quelli del lettore, dopo che hanno già avuto a che fare, di volta in volta, non solo con i primi destinatari, ma pure con le molteplici interpretazioni date nel corso del tempo. Si può infatti leggere come infinitamente interpretabile un testo che il suo autore ha invece concepito come assolutamente univoco: e questa sarebbe una lettura delirante. Viceversa qualcuno può leggere come univoco un testo che il suo autore ha ideato come infinitamente interpretabile: e questo sarebbe fondamentalismo. Eco riporta il parere di Jacques Derrida, secondo cui la lettura deve avvalersi di tutti gli strumenti della critica tradizionale, anche se questi funzionano solo come un necessario guard-rail dell’interpretazione, che proteggono la lettura ma non la aprono. Si distingue perciò tra un lettore ingenuo, che si accontenta di una valutazione affrettata, e un lettore critico, che scandaglia il testo aprendosi a orizzonti che oltrepassano le comuni pre-comprensioni. Se poi parliamo delle lettere di Paolo, e in specie della sua Lettera ai Romani, le cose si complicano, nel senso che ci si imbatte in uno scrittore appassionato, che induce paradossalmente a «esultare con apprensione» (come confessava Agostino) perché esprime una «radiosità esplosiva» appropriata a uomini adulti (così Mario Luzi). E in effetti la storia della sua interpretazione dimostra che il testo è sempre superiore al suo lettore, ma proprio per questo lo scuote e lo stimola, proponendogli, come in questo caso, la liberazione da se stesso, se non anche l’aprirsi delle porte del Paradiso secondo l’esperienza di Lutero. Al minimo, la lettera porta a contestare la mentalità possessiva di chi intende Dio come un bene da gestire in proprio, e inverte salutarmente il rapporto di un rovinoso cortocircuito aprendo alla ricezione di una grazia immeritata e insieme generosa. Dunque, come concludeva Karl Barth la Prefazione alla prima edizione del 1918 del suo epocale commento, «l’Epistola ai Romani aspetta». È come un tesoro che, benché nascosto, non vuole sottrarsi alla scoperta, ma resta sempre in attesa di essere finalmente individuato, raccolto e usufruito. Le pagine che seguono non hanno altra ambizione che fare semplicemente da guida per aiutare 5 a scoprire o forse riscoprire un testo che ha indotto molti a rinnovare non solo la propria scala di valori ma soprattutto l’impostazione della propria vita. 6 I LA CHIESA DI ROMA, IGNOTA A PAOLO La Lettera ai Romani è determinante nella storia della Chiesa, anche perché è il primo testo neotestamentario commentato. Il primo commento ci è pervenuto da Origene all’inizio del III secolo. Non abbiamo, invece, notizie di commenti ai vangeli. Le lettere di Paolo non sono, come i vangeli, una narrazione su Gesù. Paolo non narra, traccia piuttosto una riflessione su Gesù, e su tutto ciò che Gesù significa, sull’importanza, sull’efficacia e l’ampiezza dell’evento Cristo. Questo dato denota l’importanza che la Lettera ai Romani ha assunto fin dall’inizio agli occhi del cristianesimo e della Chiesa, quantunque la lettura di Paolo sia tutt’altro che facile. In un epistolario tra Paolo e Seneca scritto in latino, probabilmente apocrifo – Paolo infatti non conosceva il latino –, Seneca esorta Paolo a essere più chiaro nelle sue espressioni. Poiché il suo modo di dire e i suoi concetti sono alti, sarebbe bene che usasse un linguaggio più accessibile. Del resto qualcosa di analogo era stato già espresso in una delle due lettere di Pietro dove un cristiano si lamenta che altri distorcono le parole di Paolo perché troppo concettoso (cf. 2Pt 3,14-16). Il fatto è che Paolo ha da dire delle cose talmente profonde che talvolta risultano sovraccariche. La linguistica moderna distingue tra il significante e il significato: il significato è il concetto, il senso delle cose, il significante sono le parole che esprimono questo senso. Le parole possono essere molteplici rispetto allo stesso significato, i significanti possono essere molti rispetto allo stesso significato. Ora, a volte, si ha l’impressione che nelle lettere di Paolo si registri un ingorgo di significanti, perché il significato è talmente denso e profondo che non può essere detto con una sola parola. Del resto mi ha sempre colpito una frase in cui sant’Agostino afferma che la fede non pensata è nulla («fides quae non cogitetur nulla est»). Il pensiero ha molto di soggettivo, di personale. Il pensiero di un fumettista non è all’altezza di quello di un filosofo. Ognuno si esprime secondo le sue attitudini e le sue capacità purché l’espressione che si adotta sia a servizio del 7 concepibile, del pensato, e lo renda, sia pure da punti di vista diversi, accessibile. Ci si può accostare in maniera sfaccettata agli stessi concetti. La lettera è stata scritta a una comunità che Paolo non conosceva, a differenza di quelle ai Corinzi, ai Filippesi, ai Galati, ai Tessalonicesi, ecc., comunità da lui fondate assieme a qualche collaboratore. Qui siamo in un caso speciale, perché Paolo scrive a una comunità che non conosce personalmente, ma per sentito dire da parte di qualcuno che ha fatto da trait d’union. Paolo non ha fondato la Chiesa di Roma, pur avendo il desiderio di recarsi là. Lo dice chiaramente all’inizio della lettera: 9 Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio 10 suo, come io continuamente faccia memoria di voi, chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio, io abbia l’opportunità di venire da 11 voi. Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, 12 perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede 13 che abbiamo in comune, voi e io. Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito – per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. L’arco di azione di Paolo è stato tutto incentrato sul Medio Oriente e, al massimo, fino alla Grecia. Nei suoi viaggi missionari, non è andato oltre la Grecia. Eppure scrive questa lettera che, tra tutte le altre, spicca non solo per la sua ampiezza, ma anche per la sua profondità. Ma allora, chi sono i cristiani di Roma, aggettivo che peraltro Paolo non usa mai né per sé né per gli altri? Durante la vita di Paolo, l’aggettivo «cristiano» non era ancora in uso. È negli anni 80 che esso viene attribuito ai credenti da Luca in At 11,26 dove l’autore attesta che ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani, riferendo l’evento ai primi anni 30, con un’operazione antistorica. In realtà Luca ascrive un fenomeno del suo tempo a una quarantina di anni prima, operazione che si verifica anche in altri testi, per esempio nel quarto vangelo. Prima di quella data l’aggettivo «cristiano» non ricorre mai. Il primo riferimento ai cristiani di Roma lo farà Tacito, verso il 120, parlando della persecuzione subita sotto Nerone, databile nel 64/65, quando Paolo, a mio parere, era già stato martirizzato. Per designare i cristiani, Tacito impiega l’aggettivo con la vocalizzazione «crestiani». Dunque è un non cristiano il primo a riportare l’aggettivo che denomina i credenti in Cristo. Ma tra loro i cristiani come si chiamavano? C’è un testo di un biografo latino degli imperatori, Svetonio, che ha scritto la Vita dei dodici Cesari, a partire da Giulio Cesare fino a Domiziano, alla fine del I secolo. Arrivato alla figura di Claudio (41-54 d.C.), dice che, siccome i giudei a Roma tumultuavano continuamente a motivo di un certo Cresto («impulsore Cresto»), egli li espulse da Roma. Qui si pone il problema di individuare chi è questo Cresto, se sia davvero il nome storico del personaggio a cui Svetonio si riferisce o se siamo di fronte a una corruzione vocalica di un nome: Cristo. 8 Cresto non è nome patrizio, ma un termine greco che vuol dire buono non in senso morale, ma per indicare qualcuno che sa fare qualcosa di utile. Occorre tener conto che nel greco antico il termine «Cresto» si leggeva «Cristo», in quanto la η, per il fenomeno dello iotacismo, veniva letta ι. Il termine ricorre nella Prima lettera di Pietro in 2,2: 2Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, 3se davvero avete gustato che buono è il Signore (κρηστος ο Κυριος). Esiste una variante rispetto a quella riportata qui dove κρηστος in forza dello iotacismo viene pronunciato Κριστος per cui la frase letta suona così: κτιστος ο Κυριος, Cristo è il Signore, una bella confessione di fede. Dunque se nella pronuncia corrente vigeva questa assimilazione tra κρηστος e κριστος, allora si può ipotizzare che la notizia di Svetonio voglia proprio dire che nel giudaismo di Roma si erano verificate delle discussioni, delle contrapposizioni interne alla comunità a partire dal fatto di considerare Cristo, cioè Messia, quel Gesù, personaggio storico di umili origini. La questione resta aperta, ma si può ritenere che la scrittura di Svetonio rispecchi un tipo di lettura, perché in greco – a Roma si parlava greco – Cristo non ricopre un significato specifico, vuol dire semplicemente «unto». Se per l’uditorio ebraico il termine richiama un significato definito, per l’uditorio pagano è la parola κρηστος a contenere un senso. Crestos è un nome di schiavo (utile, buono, uno che serve a fare qualcosa). Dunque lo scambio di vocale che genera la pronuncia Crestos ha un senso immediato, Cristo no. Nel mondo greco-romano non c’è nessun messianismo, che è tipico ed esclusivo di Israele. È possibile che negli anni 40 a Roma si fosse formata una comunità cristiana. Non sappiamo, però, chi siano stati i primi annunciatori del vangelo a Roma, chi abbia fondato la Chiesa di Roma. Sant’Ireneo di Lione afferma che Pietro e Paolo sono stati i fondatori della Chiesa di Roma. È un’affermazione antistorica, è un’espressione encomiastica, un encomio ai due apostoli Pietro e Paolo, che sono stati sepolti a Roma. Da notare che il vescovo di Roma non è solo successore di Pietro, ma anche di Paolo, benché questo non si dica. Non sappiamo chi abbia fondato la Chiesa di Roma, certamente non Paolo, né Pietro. Con ogni probabilità, quando Paolo scrive questa lettera Pietro non era ancora a Roma. Infatti Paolo non lo nomina, mentre fa riferimento a Cefa nella Lettera ai Galati e nella Prima lettera ai Corinzi. Cefa è il nome aramaico dato da Gesù a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Il testo di Matteo lo riporta in greco, ma il primo autore a riportarcelo in aramaico è Paolo, che usa il termine Kefà. Sia nella Lettera ai Galati che nella Prima lettera ai Corinzi Paolo parla di Cefa ai suoi destinatari. Che senso ha questo dato? Forse i galati conoscevano Cefa, oppure lui stesso gliene aveva parlato, ma non ne aveva parlato ai romani perché non era ancora stato a Roma. Evidentemente sono stati altri ad annunciare il vangelo ai romani, parlando di 9

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