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La guerra dei poveri PDF

480 Pages·1993·1.143 MB·Italian
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a La guerra dei poveri di Nuto Revelli Storiad’ItaliaEinaudi a Edizionediriferimento: Laguerradeipoveri,Einaudi,Torino1993 Storiad’ItaliaEinaudi II . Sommario Capitoloprimo. Premessa 2 Capitolosecondo. Laritiratasulfronterusso. 45 16gennaio-10marzo1943 Capitoloterzo. RitornoinItalia. 17marzo-26 131 luglio1943 Capitoloquarto. Guerrapartigiana. 8settembre 142 1943-27agosto1944 Capitoloquinto. InFranciaconlabrigataCarlo 361 Rosselli. 28agosto1944-23aprile1945 Capitolosesto. Italia: liberazionediCuneo. 24- 464 29aprile1945 Storiad’ItaliaEinaudi III ALivioBianco IlcapitoloLaritiratasulfronterussononèchelariela- borazionedeldiariodiguerrapubblicatonei1946colti- toloMaitardi(prefazionediE.Castellani, Ed. Panfilo, Cuneo). Inquestanuovaredazioneinomidellepersone eladenominazionedeirepartisonoreali. Irimanenticapitoli(RitornoinItalia,Guerrapartigia- na,InFranciaconlabrigataCarloRosselli,Italia: libera- zionediCuneo)sonoinpartediari,inpartememoriesu documenti,lettere,diaridibandaetestimonianze. Giudizisupersoneefattisonoavoltepassionaliedo- vutiall’immediatezzadellesituazioni.Peresempioilgiu- dizio sul gruppo dei giovani ufficiali del 2° reggimento alpini(pp. 117sgg.) sidimostròcompletamenteerrato. Quasituttiparteciparonoinfattivalorosamenteallalotta diliberazionesindaisuoiinizi. N.R. Storiad’ItaliaEinaudi 1 NutoRevelli-Laguerradeipoveri CAPITOLOPRIMO PREMESSA Avevonoveodiecianniquandobalbettaiquestogiura- mento: «NelnomediDioedell’Italiagiurodieseguire gli ordini del duce e di servire con tutte le mie forze e, senecessario,colmiosangue,lacausadellarivoluzione fascista». Ricordoancoracomelascuoladivenneunacaserma:i maestriincamicianera,noiincamicianera. Hoancoranegliocchileprimeadunate,nellapalestra dellascuola,perlelezionidicanto.Tuttiuguali,ipiccoli eigrandi,tuttineri,perimpararel’innoaRoma,Fischia ilsasso,Giovinezza. A quattordici anni lasciai il moschetto finto per im- bracciarneunovero,daguerra. Eravamogiànegli«an- nieroici».Ognisabato,attornoallacasadellaGil,impa- ravamoacamminare,amaneggiarelearmi.Urlamarzia- liecolpidifischietto. Chiscattava,chisenefregava. Io scattavocomeunamolla. Dalleadunatedelsabatoai«campiDux»ilpassoera breve. In settembre, ai Parioli, un’immensa tendopoli acco- glieva i giovani fascisti dell’Italia intera, tutti in divisa, tuttiuguali.Pestavamopergiorniegiorniilcaldoasfalto dellaFarnesina.Infinelasfilatalungolaviadell’Impero, conilduce,igerarchi,igeneralicheciapplaudivano. Colpassaredeglianniavevocollezionatotantepatac- chesmaltateemedagliedanonsaperepiùdoveappen- derle.Alternavoil«passoromano»conlegareatletiche. Imuscolisifacevanopiùsaldi,nonmistancavodibene- direilduceperimieisuccessisportivi. Tuttoquantosapevadiforzamielettrizzava:leparate militari, le adunate oceaniche. Mi tuffavo nella folla Storiad’ItaliaEinaudi 2 NutoRevelli-Laguerradeipoveri anonimaconentusiasmo. Gridavo«vivailduce,vivala guerra»comeinqueitempigridavanoquasitutti. I cortei della mia città, invece, mi lasciavano indiffe- rente. Nonerafolla,eragente,gentedaprocessionedel CorpusDomini. Ipiùfacevanolafacciaferoce,comein processionefacevanolafacciacompunta:duecommedie uguali. Gridavano«vivailduce»comenoi,comei«figli dellalupa»,maconvocerassegnata,stanca,vecchia. Tutta la gente della città, incontravamo: i nostri fra- tellimaggiori,inostrimaestri,inostriprofessori,ilpre- te,ildroghiere,ilprofessionista,ilciabattino.Nonman- cavano i vecchi, i nonni. Non mancavano gli antifasci- stiricuperati,gliexsantonidellamaledettademocrazia. Intuttoquelnerospiccava,comeunamoscabianca,un vecchiosenatoredallalungabarba. Il mio prestigio di gerarchetto fascista ebbe un duro contraccolpo all’esame di stato. Sapevo tutto sul fasci- smo,maignoravoatalpuntoiltonnellaggiodellenostre navidaguerradaconfondereichilogrammiconleton- nellate.Cosìrischiaiunabocciaturainculturamilitare. Superaiinvecebrillantementel’esameperl’ammissio- neallaRegiaAccademiadifanteriaecavalleriadiMode- na. In quel settembre del ’39, come al solito, ero in giro per l’Italia a fare l’atleta. A Milano mi raggiunse un telegramma.L’Accademiaaprivaibattenti. Dimenticaiifascetti,lepatacche,lemedaglie. Diven- taisoldato. Ingranare a Modena non fu facile. Disciplina rigida, correre senza mai fermarsi, se non per mangiare, per dormire;congli«anziani»chetrattavanoi«cappelloni» come ciabatte. Gli istruttori erano severissimi. Tanta ginnastica che non ci riposavamo da una volta all’altra. In più, le lezioni al maneggio, a colpi di frusta, con i cavallicheimpazzivanofrabestemmieeinvettivevolgari. «Stringilegambe,sembriunavacca»,erailrichiamopiù Storiad’ItaliaEinaudi 3 NutoRevelli-Laguerradeipoveri garbato. Alcuninonresistevano. Posavanolestellette,e atestabassaprendevanolaviadicasa. Ipiùsuperavano ilrodaggioadentistretti. Una volta alla settimana, lunga corsa in bicicletta fin sull’Appennino,pedalandoancheindiscesaperviadelle gommepiene. Molto studio, su«sinossi»vecchie quasi come il palazzo ducale nel quale abitavamo. Vecchi insegnanti che vivevano nel culto della guerra del ’15, nel culto dei seicentomila morti. Vita poco brillante: alla sera cinquanta minuti – non uno di più – di libera uscita. Lamensaerapiuttostoscarsa. Sirespirava, con l’autarchia,l’iniziodelrazionamento. Tuttoasquilliditromba: mangiare,deglutire,digeri- re. Io prendevotutto sul serio. Non pernulla mi fece- ro«allievoscelto». «Seiuntedesco»,midicevaavolteil miotenente,ederauncomplimento. Soldatoperfettoe tedescoeranolastessacosa. A Modena esisteva una diversa gerarchia fra il re e il duce. Il re era il «numero uno». Se nei primi tempi quest’inversionegerarchicamiavevaturbato,inseguito l’avevoaccettatacondisinvoltura. Infondoinfondo,il ducenoneracheuncaporale,elamilizianonerachela bruttacopiadell’esercito. Non avevo dubbi sull’invincibilità del nostro eserci- to: conlamodernissimamitragliatricebreda–lamiglio- re del mondo – avremmo vinto la guerra. Ricordo che ascuolad’armi,quandol’accostavamoallemitragliecon ilraffreddamentoadacquadellaguerradiLibia,ilcon- frontoeraentusiasmante. Avevopochenotiziesuicarriarmati.D’altrapartean- chegliallievicarristisiaccontentavanodistudiarequeste nuovearmisuicomplicatischizziinsezionetrasversalee longitudinale.Maivistouncarroarmatovero. Lareginadellebattaglieeraancoraesemprelafante- ria.Icarriarmati,macchinesussidiarie,eranounqualco- Storiad’ItaliaEinaudi 4 NutoRevelli-Laguerradeipoveri sadipiùdelnecessario. Lacavalleriasì,quellacontava, conlenuovebredasomeggiate! Dell’aviazionesapevotuttoconlastoriadelletrasvo- lateatlantiche. Dopoil10giugno1940studiailatatticael’artemilita- reconmaggioreimpegno.L’esempiononvenivadall’al- to. IlprincipediPiemonte, infatti, quandoispezionava l’Accademia,dimostravadipreferirelelezionidischer- ma,equitazioneeginnastica. Lapesanteesperienzadelfronteoccidentaleel’avven- tura del fronte greco-albanese restarono sul piano dei bollettini ufficiali. I bollettini parlavano sempre di vit- toriaeciriuscivafacileconfonderelenostreritiratecon leavanzatelampodeitedeschi. Unmattino,quandomenocel’aspettavamo,l’incanto si ruppe. L’insegnante di storia militare, un vecchio colonnello carico di nastrini, con voce grave, ci disse cheilcambiodellaguardiafraBadoglioeCavalleroera una sventura nazionale. Era uno sconcio che i fascisti osasseroinfangareBadoglio:Badoglioeral’esercito. Daquelgiornoancheilnostrocomandantedicompa- gnia,unbersaglierechenonsorridevamai,commentan- doibollettinidiguerraaggiornòilsuolinguaggio: dis- se che le nostre truppe del fronte greco-albanese, inve- ce di avanzare sempre, con abili manovre, ripiegavano sulleposizioniprestabiliteperritrovareiltrampolinodi lancio... Con la primavera del ’41 – mentre i tedeschi spezza- vanopernostrocontolereniallaGrecia–ilmiocorso chiuseprecipitosamenteibattenti. Addioscuoladiap- plicazione,addiodivisefuoriordinanzadiFarè. Unsec- co ordine del giorno parlava soltanto dei campi di bat- taglia, «dell’urgente bisogno di novella energia e fuoco giovanileperlavittoriafinale»». Il generale Carboni ci riunì nel salone d’onore: era- vamo circa duecento. Disse pressappoco così: «Da og- Storiad’ItaliaEinaudi 5 NutoRevelli-Laguerradeipoveri gi non siete più allievi, siete ufficiali. La guerra va ma- le. Raggiungereteirepartimobilitati,ilfronte. Ricorda- techelaresponsabilitàdell’impreparazionedell’esercito ricadesulfascismo». FiniiaCuneo,al2°alpini,proprioneigiorniincuila divisioneCuneenserientravadalfrontegreco-albanese. Erounperfettoufficialeeffettivo. Nonchiedevoche difarelaguerra, dipagarelamiaparte. Lebarzellette, il disfattismo del fronte interno, mi ferivano profonda- mente. Guardavo la carriera, le medaglie, con naturale inte- resse: soprattuttolemedaglie,perchéseparavanoicom- battentidaipiedipiattideldeposito. La prima impressione che provai al reggimento fu poco incoraggiante. Soltanto gli ufficiali e i soldati del depositosembravanoriconoscereimieigradi. Ireduci, alpini anziani e ufficiali in gran parte di complemento, miguardavanocomesiguardaunimboscato. Subito, al battaglione Borgo San Dalmazzo, venni preso dalla vita del reparto, vita di caserma, fatta di piccole cose inutili per gente che in guerra ne aveva viste di tutti i colori: le fasce ben avvitate alle gambe, i pantalonisu,legiacchegiù,ilcappellononpizzicato,ma rotondocomeunpanettone,l’ordinechiuso,eanchela ginnastica.Inpiù,dopolarivistaaipoveristraccitornati dalfronte,ladistribuzionediunpo’divestiario. Fuinquestoperiodocheimparaileprimecoseproi- bite. Inpiazzad’armi, fraun’istruzioneel’altra, conbrevi corsi di orientamento, gli alpini m’insegnarono che in guerra la mitragliatrice breda s’inceppava, che i mortai grecieranopiùmicidialidellenostreartiglierie. Raccontando bestemmiavano. Sentivano nel sangue quell’avventurafinitamale. Io ascoltavo con grande interesse. Cercavo la verità anche se mi feriva: tentavo di buttare il falso per fare Storiad’ItaliaEinaudi 6 NutoRevelli-Laguerradeipoveri posto al vero, a costo di sentirmi l’animo vuoto ma pulito. Quando parlavano degli imboscati, dei festaioli del fronte interno, mi sentivo timido e impacciato come una recluta. Erano anziani i miei alpini, erano stanchi, disincantati. Non sognavano che un mese di «licenza agricola»pertornareinfamiglia. «Segentecomequestahafattolaguerra,–midicevo, –nondevoperderetempo,devopartirevolontario. Sol- tantoinguerradaròunvolto,quellovero,aquestapatria chenonconosco.Inguerratoccheròlaverità». Nell’autunno, dopo i campi estivi, la vita di caserma mi divenne insopportabile. Mi aggiravo in un groviglio dipesantidelusioni. Al fascismo non guardavo più da tempo. I gerarchi, vestitidinero,sembravanouccellidimalaugurio. Ancheinostribollettinidiguerramidavanofastidio. La«vittoriafinale»miapparivasoltantodimarcatede- sca. Ormai conoscevo tutta la storia della guerra di Gre- cia, Il «clima eroico» era fatto di povera gente manda- taalmacelloconarmivecchieesuperate,comeinostri generali. La disorganizzazione logistica era addirittura drammatica. Infamigliamivolevanoalmenogenerale,manonvole- vanosentirparlarediguerra: ecco,unpatriottismopru- dente,deltipo«armiamociepartite»,chesalvassecapri ecavoli. Imieicolleghidicomplementodiffidavanodegliuffi- cialieffettivieguardavanoaifatti. Percredereancorain qualcosaeraproprionecessariochepartissiperilfronte. Buttaigiùunadomandadavolontario,alladisperata. L’unicofronteapertoeral’Africasettentrionale.Dichia- raidirinunciare,seindispensabile,allaspecialitàalpina. Miconvocaronod’urgenzaalcomandoreggimento. Storiad’ItaliaEinaudi 7

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