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La grande transizione. Dal declino alla società della decrescita PDF

243 Pages·2013·1.56 MB·Italian
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LDB Presentazione Ormai entrata nel nostro lessico quotidiano, la parola «decrescita» si carica di significati opposti, qualificando – a seconda delle valutazioni – sia il problema sia la sua soluzione. Il coro degli economisti ufficiali assimila la «decrescita reale» che oggi flagella i paesi sviluppati a un fenomeno congiunturale, destinato prima o poi a risolversi nella ripresa. Altri invece giudicano quella che attraversiamo una vera e propria crisi di sistema, al tempo stesso economica, ecologica, sociale e culturale. Sono gli obiettori di crescita, per i quali la fase espansiva si è irrevocabilmente conclusa e il declino delle società capitalistiche avanzate è un fatto paradossalmente benaugurante. Mauro Bonaiuti, tra i primi in Italia a muoversi in questa prospettiva avviata da Serge Latouche, riflette sui presupposti della «grande transizione» che ci aspetta: dalla durezza senza sbocco dello sviluppo a tutti i costi, causa di malessere sociale, predazione di risorse e danni ambientali, alla resilienza o «decrescita serena», sinonimo di ritessitura delle relazioni umane in uno spazio di prossimità e in una dimensione di reciprocità. L’arroganza dei mercati non esaurisce l’orizzonte. Esiste anche un progetto di società di decrescita, e secondo Bonaiuti è l’unico a poterci salvare dal baratro. Mauro Bonaiuti insegna Finanza etica presso l’Università di Torino. È cofondatore della Associazione per la Decrescita e tra i promotori della Rete Italiana di Economia Solidale. Ha scritto La teoria bioeconomica. La nuova economia di Nicholas Georgescu-Roegen (2001), e curato Obiettivo decrescita (2004) e, per Bollati Boringhieri, la raccolta di saggi di Georgescu- Roegen Bioeconomia. Verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile (2003). Temi 231 Per la Prefazione © 2013 Serge Latouche Traduzione di Fabrizio Grillenzoni © 2013 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol ISBN 978-88-3397229-9 Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www.bollatiboringhieri.it Prima edizione digitale aprile 2013 Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata Prefazione * Serge Latouche L’espressione «decrescita» fa la sua comparsa come slogan provocatorio nel febbraio del 2002, per denunciare la mistificazione dell’ideologia dello sviluppo sostenibile. Questa «parola proiettile», questa «bomba semantica» (Paul Ariès dixit) vuole rompere il consenso rassegnato all’ordine 1 produttivista dominante. Per tentare di salvare la religione della crescita di fronte alla crisi ecologica, il PNUA (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) aveva lanciato la parola d’ordine dello sviluppo sostenibile, ossimoro geniale in termini semantici, ma che non è riuscito a risolvere il problema, perché lo sviluppo, per sua essenza, non è sostenibile. Lanciata dunque, quasi per caso, per rompere con l’ipocrisia dello sviluppo sostenibile, la decrescita, almeno all’inizio non è un concetto, e in ogni caso non è il corrispettivo simmetrico della crescita. La decrescita non è né la recessione né la crescita negativa. Diventata rapidamente la parola d’ordine e la bandiera di tutti quelli che aspirano alla costruzione di una vera alternativa a una società dei consumi ecologicamente e socialmente insostenibile, la decrescita costituisce ormai una finzione performativa che indica la necessità di una rottura con la società della crescita. Più rigorosamente, si dovrebbe parlare di a-crescita, così come si parla di a-teismo. Perché si tratta per l’appunto dell’abbandono di una fede e di una religione: quelle del progresso e dello sviluppo. Si tratta di diventare degli atei della crescita e dell’economia. La rottura operata dalla decrescita implica di conseguenza una decolonizzazione dell’immaginario e la realizzazione di un altro mondo possibile. Si tratta di uscire da una società della crescita, cioè da una società fagocitata da un’economia che ha come solo obiettivo la crescita per la crescita, e la cui logica non è di far crescere la produzione per soddisfare dei bisogni ma di farla crescere all’infinito con il pretesto dell’illimitatezza dei consumi e con la conseguenza dell’aumento insensato dei rifiuti e dell’inquinamento. Insomma, la distruzione del pianeta. Mauro Bonaiuti, che dal grande economista e studioso Nicholas Georgescu-Roegen ha ripreso l’idea fondamentale che una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito, è stato un «obiettore di crescita» ante litteram. Ma, in un mondo in cui la scena politica e intellettuale è fagocitata dai media, il ricercatore impegnato occupa un posto tanto essenziale quanto ingrato. Indifferente alle mode, traccia il proprio solco lontano dai riflettori dell’attualità effimera. Si spiega così il posto che Mauro Bonaiuti occupa nella galassia della decrescita e l’importanza del suo percorso. Bonaiuti tenta in primo luogo di approfondire il tema della bioeconomia, il progetto improbabile sostenuto da Georgescu-Roegen, e poi, trasformando lo slogan della decrescita in un vero e proprio concetto, ne deriva una teoria organica. Il posto di Mauro Bonaiuti nella galassia della decrescita Ho incontrato per la prima volta Mauro Bonaiuti, se la memoria non mi inganna, all’inizio degli anni duemila a Lecce, in occasione di un convegno organizzato dall’Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico (AISPE).

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