Un ménage familiare dominato da un animale: Alain, giovane e ricco, padrone amoroso di una gatta, si sposa con Camilla, bella e ricca, ma la loro vita in comune è segnata dalla assenza prima e poi dalla presenza dell'animale, sino alla desolazione finale. E che cosa rappresenti questa gatta, il calore dell'infanzia inconsolabilmente perduta, il sogno di un rapporto perfetto per un uomo fragile e incompiuto, oppure il simbolo, lievemente inquietante, dell'impossibilità di essere normali, la grazia elusiva di Colette lascia decidere al lettore. Perché il punto non è questo. In realtà c'è una gatta, o un suo simile fantasma, quasi in ogni casa. Tanto banale, nascosta, nefanda è questa realtà, che solo scrittori alla Colette possono adeguarvisi senza peso e senza saccenteria, lontani dalle tesi e dalle astrazioni, dotati della capacità naturale di scrittura, e dell'intelligenza immediata di aderire alle infinite sfaccettature psicologiche, seguendo senza affanno ogni quotidianità lungo i piani che la sprofondano nei suoi solitari abissi. Scrittori alla Colette, o alla Simenon - che a un gatto, e a una coppia di sposi, dedicò un celebre racconto, simile a questo e immensamente diverso, quanto il punto di vista maschile da quello femminile.