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La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson PDF

293 Pages·2008·8.38 MB·Italian
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Titolo originale La philosophie comme manière de vivre. Entretiens avec Jeannie Carlier et Arnold I. Davidson © 2001 Éditions Albin Michel S.A. © 2008 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it Traduzione di Anna Chiara Peduzzi (pp. vii-xv; 1-240) e Laura Cremonesi (pp. 241-73) ISBN 978-88-06-19138-2 Pierre Hadot La filosofia come modo di vivere Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson Piccola Biblioteca Einaudi Filosofia Indice p. vn Introduzione di Jeanny Carlier La filosofia come modo di vivere 3 Tra le sottane della Chiesa 43 Ricercatore, docente, filosofo 73 II discorso filosofico 85 Interpretazione, obiettività e fraintendimenti 103 Esperienza unitiva e vita filosofica 119 II discorso filosofico come esercizio spirituale 133 La filosofia come vita e come ricerca della saggezza 163 Da Socrate a Foucault. Una lunga tradizione 195 Inaccettabile? 217 Solo il presente è la nostra felicità 235 Nota conclusiva 241 Appendice 243 Che cos'è l'etica? Conversazione con Pierre Hadot 259 Etica, filosofia ed esercizi spirituali. Da Plotino a Wittgenstein di Arnold J. Davidson 275 Indice dei nomi Introduzione Cambiare la vita. Cambiare almeno una vita. Pochi li- bri hanno un simile effetto. Eppure è ciò che scrisse a Pierre Hadot un giovane americano, storico e per nuUa filosofo, dopo avere letto la traduzione inglese di Che co- s'è la filosofia antica?-. «You changed my life». Quel let- tore rispondeva cosi in anticipo alla domanda che rivol- go qui a Pierre Hadot (p. 198): al di là della loro grande erudizione, i suoi libri non sono in definitiva dei «pro- trettici», libri destinati a «volgere» {trepein in greco) il lettore verso la vita filosofica ? Il divario tra i due progetti - da una parte informare il lettore su un insieme di fatti che mostrano senza grosse possibilità di contestazione che, per i greci, la filosofia non era una costruzione di si- stemi, ma una scelta di vita; dall'altra parte, «volgere» discretamente questo lettore verso la filosofia cosi inte- sa -, questo divario si ritrova tale e quale tra il titolo fran- cese del libro di Pierre Hadot, Exercices spirituels e philo- sophie antique, certo poco accattivante (ma che tuttavia si è venduto molto bene), e Ü titolo della traduzione in- glese, pubblicata e introdotta da Arnold I. Davidson, uno degli interlocutori di queste conversazioni: Philosophy As a Way ofLife. Questo titolo infedele non è però affatto ingannevole. Pierre Hadot illustra in queste pagine Ü ca- rattere che si potrebbe dire «indirettamente protrettico» dei suoi tre grandi libri di erudizione sulla filosofia anti- ca: Esercizi spirituali e filosofia antica (1981)', La cittadel- ' P. Hadot, Exercices spirituels et philosophie antique, [1981]; Paris 1987; nuova ed. riveduta e ampliata, Paris 2002 [trad. it. Esercizi spirituali e filoso- fia antica, Torino 1988]. vili INTRODUZIONE la interiore (1992)^ e Che cos'è la filosofia antica? (1995)'. Piuttosto che dire alla gente «fate cosi», dice Pierre Ha- dot richiamandosi al «metodo della comunicazione in- diretta» di Kierkegaard, si può «grazie alla descrizione dell'esperienza spirituale vissuta da un altro [...], lasciar intravedere e suggerire un atteggiamento spirituale, la- sciar intendere un richiamo...». E quanto hanno fatto questi tre libri, con un'erudizione rigorosa, ma sempre limpida e mai pesante. Il richiamo è stato raccolto, co- me testimoniano le lettere ricevute. Questo libro va for- se ancora più lontano di quei suggerimenti discreti. Non è più un «che cos'è la filosofia antica?», benché si trat- ti ancora ampiamente di filosofi greci e latini. «Il pro- blema principale che si pone al filosofo», dice Pierre Ha- dot prendendo spunto da uria domanda, non all'inizio di queste conversazioni, come un programma, ma piut- tosto alla fine, come un bilancio (p. 192), «è in definiti- va di sapere che cos'è filosofare». A questa domanda centrale - che cos'è filosofare? - Pierre Hadot darà in fondo un'unica risposta, ma modulata in forme assai di- verse, come delle variazioni su un tema. E queste rispo- ste si inscriveranno anzitutto nel suo «percorso» intel- lettuale e morale, ricostruito nelle prime due conversa- zioni, e in seguito via via che le domande sorgevano durante gli incontri successivi, in cui era questione di co- me leggere e di come interpretare la filosofia antica, di ciò che essa ha di perenne e di ciò che forse non è più accettabile oggi, di quale giudizio di valore si può attri- buire oggi a quei «laboratori sperimentali» che sono le filosofie antiche, in che cosa, in breve, esse possono aiu- tarci a vivere meglio oggi. La prima risposta è molto precoce, dato che Pierre Hadot è ancora quasi un bambino quando il cielo - il cie- ^ Id., La Citadelle intérieure. Introductìon aux Pensées de Marc Aure le, Pa- ris 1992 [trad. it. La cittadella interiore. Introduzione ai Pensieri di Marco Au- relio, Milano 1996]. ' Id., Qu'est-ce-que la philosophie antique?, Paris 1995 [trad. it. Che co- s'è la filosofia antica?, Torino 1998]. INTRODUZIONE IX lo Stellato - gli regala un'esperienza indimenticabile, in- dicibile (e già emerge l'idea che le cose più importanti non possono essere dette), esperienza in cui più tardi, dopo aver letto Romain Rolland, riconosce ciò che que- sto autore chiama il «sentimento oceanico»: «... fui in- vaso da un'angoscia insieme terrificante e soave, provo- cata dal sentimento della presenza del mondo, o del Tut- to, e di me in questo mondo» (p. 9). «Credo di essere filosofo a partire da quel momento», dice Pierre Hadot una sessantina d'anni più tardi. Ecco dunque che non ha aspettato di incontrare i filosofi antichi (ha conosciu- to anzitutto il tomismo, filosofia sistematica quant'altre mai) per sapere che la filosofia non è una costruzione di sistemi, ma un'esperienza vissuta. Oggi Pierre Hadot identifica il «sentimento oceanico» di Romain Rolland con la «mistica selvaggia» di Michel Hulin, di cui parla a più riprese in queste pagine, e alla mistica della nega- zione, della riduzione, che tanto l'aveva affascinato nel- la sua maturità quando studiava Plotino {aphele panta, «elimina tutto»), preferisce una mistica dell'accoglien- za: «Accogli tutte le cose». Quando si legge il superbo florilegio di testi da lui scelto a conclusione di questo vo- lume, ben si comprende che l'esperienza del «sentimen- to oceanico», più volte vissuta nel corso della sua vita, ha continuato ad alimentare la sua riflessione filosofica. E l'unico tema di cui non ritrovi l'origine nel pensiero antico: gli Antichi hanno espresso in testi mirabili la lo- ro meraviglia di fronte al cosmo e la viva coscienza di appartenere a questa grande catena dell'essere che ci col- lega alle pietre, agli alberi, agli animali, agli uomini e agli astri, ma, se hanno provato questo sentimento di fusio- ne con il Tutto, non l'hanno detto. Il primo vero contatto di^Pierre Hadot con la filoso- fia antica è stato indiretto. E attraverso Montaigne che si imbatte nella famosa definizione platonica: filosofare è esercitarsi a morire. «All'epoca non l'avevo forse ben capito, - dice oggi Pierre Hadot, - ma è proprio uno dei testi che mi hanno indotto a rappresentarmi la filoso- vili INTRODUZIONE fia come qualcosa di diverso da un discorso teorico» (p. i68). Questo testo, fecondo proprio in quanto am- mette diverse interpretazioni, se preso in senso assolu- to e fuori contesto, guadagnerà progressivamente il cuo- re della riflessione di Pierre Hadot, sia come studioso sia come uomo. Non è stata tuttavia questa frase di Platone-Montai- gne a indurlo a scoprire che i discorsi filosofici degli An- tichi non erano una costruzione di sistemi, ma piuttosto ciò che ha chiamato, dopo averci ben riflettuto e senza temere di opporsi aUa moda (di cui non si è mai curato), «esercizi spirituali». E stata invece una constatazione da buon francese, a cui hanno insegnato fin dalla prima liceo a redigere una dissertazione- ben organizzata, sen- za ripetizioni né contraddizioni, con uno schema ben chiaro: il discorso filosofico degli Antichi non risponde a questi criteri di ordine e di chiarezza; Aristotele e Ago- stino difettano nella composizione, i dialoghi di Plato- ne si contraddicono. Pierre Hadot non è evidentemen- te il primo ad averlo notato, ma ne ha tratto una conse- guenza importante. In queste pagine, in modo forse più accessibile ai non specialisti che nelle sue opere prece- denti, Pierre Hadot mostra che queste incoerenze si spie- gano ammettendo che il filosofo antico parli (e in un se- condo tempo scriva) per un uditorio o un ascoltatore spe- cifico; che intenda non informare, ma persuadere, trasformare, produrre un «effetto formativo» (p. 82); insomma, che i trattati antichi siano, quasi senza ecce- zioni, dei protrettici e che nello stesso tempo questi di- scorsi, siano essi o meno dei dialoghi, costituiscano al- tresì «esperienze di pensiero», esercizi di «come pensa- re», a beneficio dell'ascoltatore e talora con la sua collaborazione. E proprio perché, per gli Antichi, la fi- losofia è anzitutto un modo di vivere che essi hanno chia- mato filosofi i cinici che non facevano nessun discorso teorico, o ancora personaggi di ogni sorta, donne, sem- plici cittadini, uomini politici, che non scrissero nulla e non insegnarono, ma che vivevano da filosofi. Ed è per INTRODUZIONE XI la sua vita e la sua morte che gli Antichi ammiravano So- crate, più che per la sua dottrina, non scritta e subito ac- caparrata e modificata da quelli che si sono serviti del suo nome. Pierre Hadot offre qui alcune brevi indica- zioni sulle ricorrenze di questo tema al di là del Medioe- vo cristiano. Sottolinea anche la tentazione, in ogni fi- losofo, di credere che filosofare sia costruire un discor- so teorico impeccabile e, preferibilmente, nuovo. «La costruzione più o meno abile di un edificio concettuale finisce col diventare fine a se stessa» (p. 78), «il filosofo ha sempre tendenza ad accontentarsi del suo discorso» (p. 175). Questa inclinazione è particolarmente forte in un paese dove la dissertazione di filosofia è un primo la- sciapassare per molti mestieri di un certo prestigio. Oggi corroborata da una lunga frequentazione dei te- sti antichi, siano essi di tradizione platonica o stoica, l'in- terpretazione che Pierre Hadot presenta del testo di Pla- tone sull'esercizio della morte diverge radicalmente da qualunque forma di fascino per la morte, dal memento morì cristiano come da qualsivoglia esegesi che conside- ri la morte preferibile alla vita. Esercitarsi a morire, di- ce Pierre Hadot, è esercitarsi a vivere davvero, cioè a su- perare «l'io particolare e parziale», a elevarsi a una «vi- sione dall'alto», a una «prospettiva universale». Questo triplice tema, che in fondo non è altro che un unico te- ma, è una sorta di motivo conduttore incessantemente ripreso nel corso di queste conversazioni, in quanto ap- plicabile a tutti i livelli, in tutte le situazioni della vita, per tutti i fratelli umani. Superare l'io «particolare e par- ziale» significa anzitutto prendere coscienza della nostra appartenenza alla comunità umana e della necessità per noi di tenere sempre in considerazione, nella nostra azio- ne, il bene di questa koinonia. Non è difficile per Pierre Hadot mostrare, dopo altri, l'importanza di questo tema non solo nel discorso della filosofia antica, ma anche nel- la pratica dei filosofi, da Socrate a Plotino, e di tutti quel- li che, senza essere filosofi «di professione», trassero ispi- razione dai loro precetti. Pochi forse sanno che gli Sce-

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