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La figlia del podestà - Andrea Vitali PDF

268 Pages·2014·0.9 MB·Italian
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2 Andrea Vitali La Figlia del Podestà © 2005, Garzanti Libri s.p.a., Milano Printed in Italy www.garzantilibri.it. 3 Presentazione Un amore contrastato, un podestà ambizioso, un sogno aeronautico: la comicità contagiosa e l'intreccio appassionante di un autentico narratore. Bellano è in gran subbuglio. Con apposita delibera, Agostino Meccia, l'autorevole podestà della cittadina affacciata sul lago, ha deciso di perseguire un progetto assai moderno e ambizioso: una linea di idrovolanti che collegherà Como, Bellano e Lugano, darà lustro alla sua amministrazione, attirerà frotte di turisti e farà schiattare d'invidia i comuni limitrofi. Tutto sembra filare liscio, in quel placido 1931. Anche se c'è un problema: per le casse di un piccolo comune l'investimento sarà enorme, e oltretutto l'idrovolante dovrà essere debitamente collaudato. E poi Renata, la figlia del podestà: fino a ieri era solo una bambina, ora è diventata così strana, non avrà mica qualche nuovo capriccio? Con la sua ormai ben nota abilità, Andrea Vitali racconta un altro episodio della saga di Bellano: narra la vita di paese, con i suoi amori e i suoi scandali, le sue carriere e le sue dinastie, e i pettegolezzi che s'inseguono generazione dopo generazione; e attraverso questo microcosmo esplora anche la storia del nostro paese, i suoi sogni di modernità e le sue inerzie, i suoi vizi e le sue virtù, pressoché immutabili attraverso i decenni. Ma soprattutto i romanzi di Andrea Vitali sono un piacere per il lettore, grazie alla capacità di cogliere e far vivere personaggi e paesaggi, la sapienza nel costruire le trame, un ritmo narrativo sempre vivace e godibile. Andrea Vitali è nato nel 1956 a Bellano, dove esercita la professione di medico di base. Ha pubblicato IL procuratore (1990, premio Montblanc per il romanzo giovane); Il meccanico Landru (1992); A partire dai nomi (1994); L'ombra di Marinetti (1995, premio Piero Chiara); Aria del lago (2001); Una finestra vistalago (Garzanti 2003, premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa e premio letterario Bruno Gioffrè 2004); Un amore di zitella 4 (Garzanti 2004) e La signorina Teda Manzi (Garzanti 2004, premio Dessi). *** I personaggi e le situazioni raccontate in questo romanzo sono frutto di fantasia. I luoghi, invece, sono reali. 5 6 1. Mercede Vitali, dell'omonima merceria sita a Bellano in via Balbiani numero 27, era una smortina tutta ossa. Nubile. Vergine. Vegetariana. Aveva quarant'anni. Da venti non si perdeva la prima messa del mattino. Pregava, poi andava a vendere mutande. La ragazza l'aspettava davanti alla porta ancora chiusa del suo negozio. Era la mattina del 12 febbraio 1931. La luce era incerta, l'aria fredda, la contrada invasa dall'odore di "pane fresco che usciva dal forno del Barberi. La Vitali aveva l'abitudine di parlare tra sé. Faceva discorsi, più spesso conti. Recitava, come fosse un rosario, l'elenco dei debitori. A volte inventava lettere da scrivere al Duce che poi non spediva mai. Quella mattina non aveva niente da raccontarsi. Zitta era uscita di chiesa e filata verso la bottega. Imboccata la contrada aveva visto quella figura indistinta nella luce fioca del primo mattino. Fatti due altri passi l'aveva riconosciuta. Era Renata Meccia, l'unica figlia del podestà Agostino Meccia. Aveva ventiquattro anni, un carattere esuberante, come quello del nonno, cavalier Renato. Cosa voleva da lei? «Buongiorno Mercede» salutò la ragazza. «Buongiorno.» Prima ancora che la Vitali riuscisse ad aprire la porta, Renata Meccia le aveva detto perché fosse lì. Mercede comprese anche il perché dell'insolito orario. Era un'implicita richiesta a incassare la commissione e a non farne parola con nessuno. Un bel problema. Fu un giorno di magri affari. A sera nel cassetto non ballavano che pochi centesimi. Mercede considerò quella miseria con un'alzata di spalle. Non aveva ancora risolto il problema della mattina. Forse il prevosto un consiglio glielo poteva dare. Chiuse bottega alle sei. 7 2. Nella contrada fischiava un montivo gelido, nell'aria c'era un vociare maschile, le osterie erano piene, nella sola via Manzoni se ne contavano sette. Donne uscivano dalla messa della sera e andavano disperdendosi verso casa. Mercede fendette quella folla mormorante. Una di loro, vedendola, si fermò. «Stavo venendo da voi» disse. «Mi serviva un metro di nastro canetè.» Mercede la guardò. Un metro pensò. Che sforzo. «Ho chiuso» rispose. «Come mai così presto?» Il tono indagatore non piacque a Mercede. «Devo rendere conto a voi?» chiese. L'altra restò senza parole. Mercede la lasciò lì e riprese la strada. «Devo rendere conto a lei!» mormorò, trovando infine qualcosa da raccontarsi. Non doveva rendere conto a nessuno di quello che faceva. Figurarsi. Men che meno a quella. Un metro di nastro! Si svenava. Magari, secondo quella, avrebbe dovuto tornare indietro a riaprire, per quattro centesimi di nastro... Si fermò davanti al ventre del signor prevosto che stava uscendo da una porticina laterale della chiesa dopo aver chiuso il portone. Il sacerdote aveva fretta. Lo disse subito. Conosceva la Vitali. Attaccava bottoni infiniti, anche in confessione. L'esordio della donna, «Ho bisogno di parlarvi», gli fece pensare di non essersi spiegato bene. «Ho fretta» ripeté. «Ma è cosa di estrema importanza» dichiarò Mercede. «Che non può aspettare sino a domani mattina?» «Io non vorrei mancare di rispetto a nessuno...» «Cosa c'entra il rispetto?» , «Il rispetto che si deve all'autorità.» «Che autorità?» «Il podestà. È o non è un'autorità?» Silenzio. Il prevosto era buon amico del podestà. Di casa. Cenava spesso da 8 lui. «Cosa c'entra il podestà?» chiese. «Sono qui per spiegarvelo» rispose Mercede. «Dite» si rassegnò il sacerdote. Mercede parlò a testa china. Davanti a lei l'imponente sacerdote ascoltò, il capo eretto, le mani strette dietro la schiena. Due ombre appena più chiare della notte che ormai era calata. Appena sentita la novità il prevosto non seppe se ridere o piangere. Cosa c'entrava lui? chiese. «Vi spiego» disse Mercede. Spiegò il perché e il percome quella richiesta l'aveva tanto turbata: al punto che non sapeva che fare e s'era rivolta a lui per un consiglio. Alla fine della spiegazione il prevosto era smorto. «Ne siete sicura?» chiese. «Faccio questo mestiere da trent'anni» fu la risposta di Mercede. «E...» s'impappinò il sacerdote. Voleva dire, era certa che tale tipo di richieste celassero uno scopo, un'intenzione precisa? Mercede scrollò le spalle. «Quale altro scopo volete che abbia, reverendo! Una cosa così è fatta per essere esibita, accarezzata...» «Va bene, va bene» la interruppe il prete. Non le aveva chiesto di entrare così nello specifico. «Cosa faccio?» strinse la merciaia. Il sacerdote respirò a fondo, spingendo in fuori il ventre. «Temporeggiate» fu il suo consiglio. «D'accordo» obiettò Mercede. «Un giorno. Due. Poi?» Il sacerdote annaspò. «Io non voglio guai. Lo sapete com'è il podestà» osservò Mercede. «Ma io...» borbottò il prevosto. «Sua moglie non si confessa tutti i venerdì?» sparò la donna. Era vero. Tutti i venerdì, al mattino, dopo la prima messa, Evangelia Priola rendeva conto dei suoi peccati al signor prevosto. «Ma cosa c'entra?» chiese il prete. «Glielo dite» fece Mercede. «Come?» «In confessione» spiegò la merciaia. «Dite che l'avete saputo in confidenza e 9 che avete ritenuto opportuno avvisarla.» «Perché non l'avvisate voi?» ribatté il prevosto. «Bravo. Così poi, se la ragazza nega, io faccio la figura della bugiarda oltre che della spia.» Il sacerdote non sapeva più che pesci pigliare. «Ma la confessione è un sacr...» Mercede gli troncò la frase. «Venerdì è dopodomani. Io temporeggio un giorno. Poi intervenite voi e la missione è compiuta.» Il prevosto non riuscì a ribattere. «Buonasera» disse Mercede, e in men che non si dica era già sparita, inghiottita dal buio che avvolgeva la piazza della chiesa. 10

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