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La dottrina del risveglio : saggio sull'ascesi buddhista PDF

277 Pages·1995·21.514 MB·Italian
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S A LiÀ ni DEL DISVEGLIO Con un saggio introduttivo di _ JEAN VARENNE 9 MEDITERRANEE JULIUS EVOLA La Dottrina del Risveglio Saggio sull’ascesi buddhista Quarta edizione corretta Saggio introduttivo di Jean Varenne Appendice di Adolfo Morganti 2 MEDITERRANEE This One 6UOZ-J LA DOTTRINA DEL RISVEGLIO I ed.: Laterza, Bari, 1943. II ed. riveduta: Vanni Scheiwiller — All’insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1965. II ed.: Vanni Scheiwiller — All’insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1973. IV ed. corretta nelle “Opere di Julius Evola”: Edizioni Mediterranee, Roma, 1995. Ed. inglese: The Doctrine of the Awakening, Luzac & Co., Londra, 1951. Ed. francese: La Doctrine de l’Éveil, Adyar, Parigi, 1956; II ed. riveduta e aumenta- ta: Arché, Milano, 1976. In copertina: Julius Evola fotografato da Stanislao Nievo (1969) Bodhisattva di schisto. Arte del Gandh@ra (III-IV sec. d.C.) I tratti e l’espressione del volto denotano una forte impronta classica. ISBN 88-272-1088-1 © Copyright 1995 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia, 158 - 00196 Roma LD) Printed in Italy D) S.T.A.R. - Via Luigi Arati, 12 - 00151 Roma Indice Nota del Curatore 7 Il Buddhismo “aristocratico” di Julius Evola, di Jean Varenne 13 I IL SAPERE 1. Sulle varietà dell’«ascesi» 19 2. Arianità della dottrina del risveglio 29 3. Luogo storico della dottrina del risveglio 39 4. Distruzione del dèmone della dialettica 57 S.La fiamma e la coscienza samsarica 63 6. La genesi condizionata 1] 7. Determinazione delle vocazioni 93 II L'AZIONE 1. Le qualità del combattente e la «partenza» 115 2. Difesa e consolidamento 127 3. Drittura | 139 4. La presenza siderea. Le ferite si chiudono 151 S.I quattro jhdna. Le «contemplazioni irradianti» 167 6. Gli stati liberi da forma e l’estinzione 187 7. Discriminazione dei «poteri» 205 8. Fenomenologia della Grande Liberazione 213 9. Tracce del Senza Simile 225 10. Il «vuoto». «Se la mente non si spezza» 235 11. Fino allo Zen 243 12. Gli ariya seggono ancora al Picco dell’ Avvoltoio 254 Fonti 261 Appendice: Julius Evola e il mondo buddhista italiano, di Adolfo Morganti 263 Indice dei nomi e dei testi anonimi 271 Nota del Curatore Ne Il cammino del cinabro (1963) Julius Evola ricorda: «Negli ultimi anni del ’30 mi dedicai alla stesura di due dei miei principali libri specia- lizzati sulla sapienza orientale, al rifacimento completo de L'Uomo come Potenza, che ebbe anche un nuovo titolo: Lo Yoga della Potenza (...) e poi ad un’opera sistematica sul buddhismo delle origini dal titolo: La Dottrina del Risveglio». Il ritrovamento negli Archivi Laterza di Bari, ad opera di Alessandro Barbera, della corrispondenza fra l’autore e l’editore consente ,di precisare la cronologia degli avvenimenti ed in parte rettificarla. Difatti, in una lettera del 20 ottobre 1942 Evola scrive a Laterza per proporgli un altro suo libro: «Si tratterebbe di una nuova opera con titolo “La dottrina del risveglio” e sottotitolo “Saggio sull’ascesi buddhista”. E infatti un’opera, che sto in via di organizzare definitivamente, sopra il lato pratico e virile dell’insegnamento buddhista, con particolare riguardo a quel che non è semplice teoria, ma sapienza di vita e volontà d’incondizionato. Ritengo che l’inquadramento della dottrina buddhista fatto su questa base ed esposto in modo ad ognuno accessibile in questo libro, costituisca qual- cosa di originale e tale da non interessare semplicemente una cerchia ristretta di studiosi». Dopo l'accettazione dell’editore, il manoscritto defi- nitivo viene spedito il 30 novembre; è mandato in tipografia nel febbraio 1943; le ultime bozze sono della prima decade di agosto; il libro esce a set- tembre in pieno caos politico-militare; l’autore vedrà materialmente una copia della Dottrina soltanto nel dopoguerra... Con quel libro, scrive Evola, «ho pagato un debito che avevo nei riguardi della dottrina del Buddha», che ebbe «una influenza decisiva (...) per il superamento della crisi interiore che attraversai subito dopo la prima guerra mondiale». E aggiunge: «In seguito, dei testi buddhisti feci anche un uso pratico e realizzativo quotidiano, per alimentare una coscienza distaccata del principio “essere”. Da colui che era stato un principe dei Shakya era stata indicata una linea di discipline interiori che io sentivo tanto congeniali, quanto invece sentivo estranea la linea dell’ascesi a base religiosa e soprattutto cristiana». Evola non era «un buddhista o uno specialista del buddhismo», e rite- neva uno sbaglio che lo si considerasse tale. Il buddhismo era una «via», una delle «vie» possibili per l’uomo del kali-yuga, dell’età ultima. La spie- ga chiaramente nel Cammino del cinabro, questa sua necessità di esplorare e indicare tutti i percorsi praticabili, nelle varie tradizioni sia occidentali che orientali, per sopravvivere integri in «un’epoca della dissoluzione» (per usare un'espressione tipica, di Cavalcare la tigre). E così, egli dice, dopo aver illustrato ne Lo Yoga della Potenza la «via umida», cioè quella «dell’affermazione, dell’ assunzione, dell’uso e della trasformazione di forze immanenti rese libere fino al risveglio della Shakti quale potenza- radice di ogni energia vitale e specialmente del sesso», con La Dottrina del Risveglio indica la «via secca», cioè quella «intellettuale, del puro distac- co». Una non è privilegiata all’altra, come qualcuno in buona o mala fede ha frainteso, ma, afferma esplicitamente l’autore, «sono due vie equivalen- ti, quanto al termine ultimo, se seguite sino in fondo. L’una può raccoman- darsi più dell’altra a seconda delle circostanze, della propria natura e delle proprie disposizioni esistenziali». Parole da sottolineare più volte. Questo nel 1963, ma già vent'anni prima, nel capitolo conclusivo della Dottrina, si affermava lo stesso punto di vista: «Il presente saggio fa da controparte ad altre nostre opere con le quali abbiamo fatto conoscere dottrine che per il raggiungimento della stessa meta — la decondizionalizzazione dell’essere umano, il risveglio illuminante, l’apertura iniziatica della coscienza — hanno indicato vie differenti». Questo, dunque, il filo sotteso a tutta l’opera, così multiforme e — per chi osserva superficialmente — in apparenza così contraddittoria, di Julius Evola: indicare i percorsi di salvazione interiore per chi vive nella Quarta Età, per mantenere il proprio Io intatto: «Se questa civiltà sta mietendo più vittime di quante nessun idolo barbaro mai ne richiese, d’altra parte è tale che in essa perfino l’eroismo, il sacrificio e la lotta presentano quasi senza eccezione un carattere privo di luce, “elementare”, soltanto terrestre: appunto per l'inesistenza di ogni punto di riferimento trascendente». In tale disperante situazione, Julius Evola individua di volta in volta mediante le sue opere questi «punti di riferimento trascendente», diversi fra loro e adattabili a diverse personalità. Egli stesso li elenca: le «tecniche di realizzazione spirituale» che fanno parte dell’ermetismo occidentale (La Tradizione ermetica, 1931), il «contenuto iniziatico» del simbolismo della letteratura cavalleresca medie- vale (Il mistero del Graal, 1937), l’ «esoterismo» presente nel taoismo (Tao-té-ching, 1923 e 1959), la via «magica» (Introduzione alla Magia, 1955) e la via «del sesso» (Metafisica del sesso, 1958). A tutto ciò si potrebbe aggiungere, volendo, anche una particolare interpretazione «poli- tica» della «via umida» e della «via secca», rispettivamente con Gli uomini e le rovine (1953) e con Cavalcare la tigre (1961). L'opera di Evola da questo punto di vista può dunque essere intesa anche come un tentativo, a volte sul piano esteriore/esterno, a volte sul piano interiore/interno, di adoperarsi per ottenere una «mutazione» dell’uomo italico e della sua mentalità, quello dei mandolini e dei macche- roni (come si diceva una volta), della pizza e della corruzione (come si dice oggi), proponendo sia la via dell’azione, sia la via della meditazione. Un intento che ha accompagnato sempre il suo lavoro, durante il regime fascista come durante il regime democratico, sapendo per di più di rivol- gersi ad un popolo di cattolici. Si spiega allora il motivo per cui presentò la «dottrina del risveglio» buddhista soprattutto come un sistema, una tecni- ca, adattabile a varie religioni dato che in sé essa non si oppone ad alcuna religione. C’è coerenza negli interessi evoliani per varie «tradizioni». Ad esem- pio, nel Compiuto, nello Svegliato da lui descritto, si riverberano le carat- teristiche interiori ed esteriori del suo modo d’intendere lo «stile romano» non ridotto a farsa, mentre il suo rivolgersi al buddhismo delle origini si spiega con il fatto che in esso egli ritrova i tratti di un tipo di religiosità non teistica (che non ha nulla a che vedere con la morale), del dominio di sé, del raggiungimento di un grado di spiritualità prossimo al divino. Per Evola, tantrismo e buddhismo delle origini sono come due facce di una stessa medaglia e indicano «una via di ascesi distaccata e quasi diremmo “olimpica”». Peraltro, l'individuazione del buddhismo delle origini e del tantrismo quali metodi, sistemi e vie adatti all'uomo contemporaneo, deriva dal fatto che, secondo Evola, essi appartengono «al ciclo nel quale rientra anche l’uomo moderno». Più esattamente: «Il buddhismo originario (...) è stato formulato in vista di una condizione dell’uomo, la quale, ancora lontana da quella del materialismo occidentale e della correlativa eclissi di ogni sape- re tradizionale vivente, tuttavia di essa già conteneva in un certo modo i prodromi e le potenzialità». Esso si presenta dunque come un «sistema completo e virile d’ascesi formulato in vista del ciclo al quale anche l’uomo contemporaneo appartiene». Uomo contemporaneo, la cui vita «è come esteriore a se stessa, semi-sonnambolica, moventesi fra riflessi psico- logici e immagini che gli celano la sostanza più profonda e pura dell’esi- stenza»: egli deve dunque «svegliarsi» grazie a questa dottrina, il cui cardi- ne è il passaggio dalla conoscenza puramente individuale alla conoscenza samsàrica che riprende indefinite possibilità di esistenza, tanto «infere» quanto «celesti». Circa poi la pratica attuazione di una dottrina «ascetica» che sembra ideata per un modo concreto di vivere assai diverso da quello dell’uomo occidentale moderno, i problemi sono superabili proprio per quanto riguar- da l’aspetto in apparenza più ostico, quello del «distacco dal mondo». Esso, spiega Evola, i testi pàli lo indicano di tre tipi, fisico, mentale e fisi- co-mentale: oggi è il secondo quello praticabile: «Una volta che il distac- co, viveka, lo si interpreti soprattutto in questo senso interno, esso si pre- senta forse come più facile da realizzare oggi, che non in una civiltà più normale e tradizionale. In una grande città d’Europa o d’ America, fra grat- tacieli e asfalti, fra masse politiche e sportive, fra gente che balla o schia- mazza, o fra esponenti di una cultura sconsacrata e di una scienza disani- mata, e simili — in tutto ciò ci si può forse sentire più soli, distaccati e nomadi che non al tempo del buddhismo nelle condizioni di un isolamento fisico e di un reale peregrinare. La maggiore difficoltà, a tale riguardo, consisterebbe nel dare al senso interno di isolamento, che oggi dunque può presentarsi a molti spontaneamente, dei caratteri di positività, eliminando tutto ciò che può affacciarsi come aridità, angoscia, atonia o disagio. La solitudine non dovrebbe essere un peso, qualcosa di cui si soffre, che si sopporta involontariamente o in cui ci si rifugia a causa delle circostanze, bensì una disposizione naturale, semplice, libera. In un testo si legge: «Solitudine è detta sapienza — ekattam monam akkàtam — è l’equivalente, rafforzato, del “beata solitudo, sola beatitudo”». E questo un tema che sarà poi sviluppato, insieme ad altri, in Cavalcare la tigre, pensato e in parte scritto all’inizio degli Anni Cinquanta, pubblicato all’inizio degli Anni Sessanta, in cui si indica una «via esistenziale» adatta, proprio come già la «dottrina del risveglio», ad «una minima minoranza dotata di non comune forza interiore». In quell’opera, proprio come in questa, al centro vi è il problema della «intan- gibilità dell’essere» rispetto al divorante divenire che ci circonda. Il tema di «colui che sta fermo va, colui che va sta fermo»; o del Katam karaniyam, «è stato fatto quel che doveva essere fatto», «tutta l’opera è stata fatta per- ché doveva essere fatta, non vi sono ragioni, non vi sono benefici» (vale a dire: l’azione disinteressata); o della sopravvivenza alla morte che «è logi- camente pensabile solo per quei pochi che qui come uomini abbiano sapu- to realizzarsi come qualcosa di più che uomini»; o del «ciascuno è signore di se stesso — altro signore non vi è; dominando te stesso avrai un signore che è difficile trovare» (come si legge nel Diammapada); tutti temi e posi- zioni che saranno ripresi, sviluppati e adattati alle tesi di fondo di Cavalcare la tigre. Il principe Siddharta, lo Svegliato, il Buddha, preso come esempio da Evola, non è certo quello descritto da Hermann Hesse nel suo fortunato romanzo breve, divenuto una specie di livre de chevet per innumerevoli lettori odierni, soprattutto giovani. Egli era un principe dei Shakya, uno kshatriya, un appartenente alla classe guerriera, un «combattente asceta» che si è aperta la vita da sé e con le sue sole forze. Del buddhismo delle origini, dunque, Evola mette in evidenza il carattere «aristocratico», quella che egli definisce «la presenza in esso della forza virile e guerriera (il rug- gito del Leone è una designazione dell’annuncio del Buddha) applicata ad un piano non materiale e non temporale (...) poiché esso un tale piano lo trascende, lo lascia dietro di sé». Il «nucleo essenziale del buddhismo è dunque metafisico e iniziatico», mentre la sua interpretazione «come una mera morale avente per fondo la compassione, l’umanitarismo, la fuga dalla vita perché “la vita è dolore”, è quanto mai estrinseca, profana e superficiale». 10 Da ciò si può comprendere quante polemiche questo «saggio sull’ascesi buddhista» abbia suscitato presso gli esponenti di una simile, diffusissima interpretazione del buddhismo che lo hanno accusato di «arbi- trarietà» (e di cui è testimonianza l’ Appendice di Adolfo Morganti aggiun- ta in conclusione del volume). A tagliare ogni discussione c’è l’approva- zione di quest'opera da parte dei più importanti centri buddhisti inglesi e francesi, e di riconosciuti specialisti internazionali, come il professor Jean Varenne che avalla autorevolmente la presente quarta edizione. La nuova edizione critica de La Dottrina del Risveglio si basa sull’ultima preparata da Evola, la terza (pubblicata da Scheiwiller nel feb- braio 1973 in 2000 copie), che è peraltro caratterizzata da un numero di refusi superiore alla media. Per risolvere vari dubbi, riguardanti anche le note, e righe saltate, si è ricorsi alla seconda (sempre presso Scheiwiller nel giugno 1965 in 1500 copie) e, quando necessario, anche alla prima edi- zione (Laterza, 1943): quest’ultimo controllo ha permesso di correggere errori che l’opera si portava sin dall’ed. 1965. Circa il testo, come già per Lo Yoga della Potenza; si è sostituita la € con l'equivalente più moderno sh; si sono poi messi in corsivo i termini pali e sanscriti, e si è ripristinata la spaziatura di parole e frasi come nella prima e seconda edizione (e non la terza), considerando che questo metodo per mettere in particolare evidenza determinati concetti, è usato da Evola in tutte le sue opere, e che può essere stato omesso nella Dottrina del 1973 a causa di una evidente fretta editoriale (come stanno a dimostrare gli erro- ri di stampa, la ripetizione di righe, le note saltate, il riferimento alle pagi- ne della ed. 1965 e non a quelle stesse del 1973, ecc.). Si sono aggiornate le «fonti» e indicati nelle note i testi citati nel frat- tempo tradotti. G.D.T. Roma, dicembre 1994 Il curatore tiene a ringraziare vivamente: Alessandro Barbera, Alessandro Grossato e Silvio Vita per l’aiuto dato alla realizzazione di questa edizione; Giovanni Monastra e Marco Tesei per la “individuazione” del saggio introduttivo. 1l

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