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La donna in gabbia PDF

461 Pages·2011·0.64 MB·italian
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FARFALLE La voce distorta proviene da un altoparlante piazzato da qualche parte nel buio: Buon compleanno, Merete. Oggi sono centoventisei giorni che sei qui, e questo è il nostro regalo per te. Lasceremo la luce accesa per un anno, a meno che tu non sia capace di rispondere a una domanda. Perché ti abbiamo rinchiusa? Merete Lynggaard, giovane parlamentare danese di successo, è a bordo di un traghetto il giorno in cui scompare senza lasciare tracce. I media si lanciano avidamente sulla storia e le ipotesi si avvicendano nei titoli: dal suicidio all’omicidio, dal tragico incidente al rapimento, fino alla sparizione volontaria. La polizia mette in campo tutte le forze, ma senza risultato: la donna sembra inghiottita dalla terra. Merete però non è morta. Chi la tiene segregata in modo tanto disumano in una prigione di cemento? E perché? Cinque anni dopo, Carl Mørck, poliziotto svogliato e burbero, una spina nel fianco per tutti i colleghi, decide di riaprire le indagini con la sua Sezione Q, il nuovo reparto speciale per i casi irrisolti. Procedendo a ritroso nel tempo fra trame politiche e drammi familiari, Mørck e il suo misterioso assistente siriano Assad si lanciano in una battaglia contro il disegno delirante di un criminale folle. Primo episodio di una serie che ha venduto milioni di copie nel mondo, La donna in gabbia è una gara contro il tempo dal ritmo inesorabile, un thriller di grande tensione, con un’originale, trascinante vena comica, che ha fatto di Jussi Adler-Olsen il nuovo protagonista del giallo nordico. C’è bisogno di creare una nuova sezione presso la Direzione anticrimine della polizia. La chiameremo “Sezione Q”: Q, capisci, come il simbolo del Partito Danese sulla scheda elettorale. Il suo obiettivo sarà di riprendere le indagini su casi archiviati che abbiano un’importanza speciale per la comunità. Casi di speciale interesse, si potrebbe dire. Jussi Adler-Olsen (1950), giornalista, ha esordito con la serie della Sezione Q guidata da Carl Mørck nel 2007, ed è l’autore danese di gialli più venduto nel mondo, al vertice delle classifiche tedesche da tre anni consecutivi. I suoi libri, che saranno tradotti in 22 Paesi, hanno conseguito importanti riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio Harald Mogensen, il Deutscher Krimipreis, il Glass Key (il premio per la letteratura di genere più importante della Scandinavia) e il Gyldne Laurbær (il più prestigioso riconoscimento letterario all’opera di un autore in Danimarca). La serie sarà presto oggetto di una trasposizione cinematografica. Titolo originale: Kvinden I buret © JP/Politikiens Forlagshus København 2007 © 2011 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: settembre 2011 da edizione Marsilio 2011 In copertina: illustrazione di ALE+ALE ISBN 978-88-317-3272-7 www.marsilioeditori.it [email protected] Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata LA DONNA IN GABBIA Dedicato a Hanne Adler-Olsen Senza di lei la fonte si sarebbe seccata. PROLOGO Graffiò le pareti lisce con la punta delle dita fino a farle sanguinare e batté i pugni contro i vetri spessi fino a non sentire più le mani. Almeno dieci volte aveva raggiunto a tentoni la porta d’acciaio, infilato le unghie nella fessura e tirato, ma la porta non si muoveva di un millimetro e il bordo era tagliente. Alla fine, con le unghie che si staccavano dalla carne, cadde all’indietro sul pavimento gelato, respirando affannosamente. Per un attimo fissò il buio impenetrabile a occhi sbarrati, con il cuore che martellava, e poi un urlo le uscì dalla gola. Un urlo che le riecheggiò nelle orecchie fino a quando la voce le venne a mancare. Allora piegò la testa all’indietro e sentì un rivolo d’aria fresca che scorreva dal soffitto. Forse, se avesse preso la rincorsa, sarebbe riuscita a saltare fin lassù e ad aggrapparsi da qualche parte. Forse allora sarebbe accaduto qualcosa. Sì, forse i demoni che erano là fuori sarebbero stati costretti a venire da lei. E allora, se avesse mirato agli occhi con le dita tese, forse avrebbe potuto accecarli. Se fosse stata abbastanza veloce, se non avesse esitato, forse ci sarebbe riuscita. E allora forse sarebbe potuta evadere. Si succhiò per un momento le dita sanguinanti, poi le puntò a terra e si rimise in piedi a fatica. Fissò alla cieca il soffitto. Forse era troppo alto per saltare. Forse non c’era niente cui aggrapparsi. Ma provare, doveva provare. Che scelta aveva? Si tolse la giacca di piumino, la ripiegò con cura e la mise in un angolo, per non inciamparci. Poi si staccò dal pavimento con un salto e tese le braccia in alto il più possibile, però non trovò nulla. Lo rifece un paio di volte e poi si ritirò contro la parete di fondo, dove rimase un po’ a riprendere fiato. Infine prese la rincorsa e saltò in alto, nel buio, roteando le braccia con tutte le forze, in cerca di speranza. Quando toccò di nuovo terra, un piede scivolò sul pavimento liscio facendola cadere di lato. Emise un gemito quando la spalla colpì il cemento e gridò forte quando la testa sbatté contro la parete e un fuoco d’artificio le esplose nel cervello. Rimase immobile a lungo, in silenzio. Aveva voglia di piangere, ma si trattenne. Se i suoi carcerieri potevano sentirla, avrebbero frainteso. Avrebbero pensato che stesse per arrendersi, ma non era così. Era tutto il contrario. Intendeva prendersi cura di sé. Per loro era solo la donna nella gabbia, ma sarebbe stata lei a decidere la distanza tra le sbarre. Si sarebbe concentrata su pensieri che si aprissero al mondo e tenessero a freno la pazzia. Non sarebbero riusciti a farle abbassare la testa. Fu questa la decisione che prese, abbandonata sul pavimento, con la spalla che pulsava per il dolore e un occhio tumefatto. Un giorno o l’altro sarebbe scappata, ne era sicura. 1. 2007 Carl fece un passo verso lo specchio e si passò un dito sulla tempia, nel punto in cui la pallottola lo aveva sfiorato. La ferita si era rimarginata ma la cicatrice risaltava evidente sotto i capelli, ammesso che qualcuno si fosse preso la briga di guardarci. “A chi vuoi che freghi qualcosa?” pensò, esaminandosi la faccia. Ormai la sua trasformazione saltava agli occhi. Le rughe intorno alla bocca erano più profonde, le occhiaie più scure, e lo sguardo rivelava una grandiosa indifferenza. Carl Mørck non era più lui: l’esperto investigatore dell’anticrimine che viveva e respirava per il suo lavoro. Non era più nemmeno lo jutlandese alto ed elegante davanti al quale si sollevavano sopracciglia e si schiudevano labbra. E d’altra parte: a che diavolo gli sarebbe servito? Si abbottonò la camicia, indossò la giacca, buttò giù l’ultimo goccio di caffè e uscì sbattendo la porta, perché a tutti gli altri abitanti della casa fosse chiaro che era ora di lasciare le brande. Gli cadde lo sguardo sulla targhetta della porta. Era ora di cambiarla. Vigga se n’era andata da un pezzo e, anche se non erano ancora divorziati, i giochi ormai erano fatti. Si girò e fece rotta verso Hestestien. Se prendeva il treno entro venti minuti avrebbe avuto mezz’ora da passare con Hardy, all’ospedale, prima di andare alla centrale. Vide la chiesa di mattoni rossi che spuntava dietro gli alberi spogli e cercò di ricordare a se stesso quanto era stato fortunato, nonostante tutto. Un paio di centimetri a destra e Anker sarebbe ancora vivo. Un solo centimetro a sinistra e sarebbe morto lui. Centimetri capricciosi che gli avevano evitato la passeggiata lungo i campi verdi e alle tombe fredde a pochi metri da lui. Carl aveva cercato di capire, ma era difficile. Non sapeva granché della morte. Solo che poteva essere imprevedibile come il fulmine e infinitamente silenziosa. In compenso sapeva quanto potesse essere violento e assurdo morire. Su quello sapeva tutto. La prima vittima di omicidio della sua carriera si era impressa a fuoco nella retina di Carl, uscito dalla Scuola di polizia da appena quindici giorni. Una donna minuta e gracile era stata strangolata dal marito e stava distesa con uno sguardo opaco e un’espressione sul viso che l’avevano fatto sentire infelice per settimane.

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