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La Divina Commedia. Inferno PDF

579 Pages·1995·41.972 MB·Italian
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edit lu Mor II LN ALIGHIERI DIVINA COMMEDIA INFERNO 13° R. LE MONNIER - FI 0019492 Dante Alighieri LA DIVINA COMMEDIA con pagine critiche Umberto A e ‘Gioiano, Reggio Inferno Le Monnier I due curatori, U. Bosco e G. REGGIO, hanno proceduto in stretta collaborazione; ma, in partico- lare, al primo si debbono, oltre la Premessa, le Introduzioni ai singoli canti, e al secondo il com- mento a piè di pagina, oltre che la scelta di pagine critiche. In copertina: Dante e Virgilio, traghettati da Flegiàs, incontrano tra i dannati Filippo Argenti; miniatura da un codice di scuola ferrarese della seconda metà del XV secolo (Fototeca Storica Nazionale). Prima edizione: gennaio 1988. Prima ristampa: giugno 1988. Seconda ristampa: ottobre 1988. Terza ristampa: maggio 1989. Quarta ristampa: settembre 1989. Quinta ristampa: gennaio 1990. Sesta ristampa: giugno 1990. Settima ristampa: febbraio 1991. Ottava ristampa: aprile 1992. Nona ristampa: gennaio 1993. Decima ristampa: giugno 1993. Undicesima ristampa: agosto 1994. Dodicesima ristampa: dicembre 1994. Tredicesima ristampa: luglio 1995. ISBN 88-00-41218-1 PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre a mezzo fotocopie una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’ Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (AIDROS), via delle Erbe 2, 20121 Milano, telefono e fax 02/809506. Si ritengono contraffatte le copie non firmate o non munite del contrassegno della S.I.A.E. Nell’eventualità che passi antologici, citazioni od illustrazioni di competenza altrui siano riprodotti in questo volume, l'editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. L'editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, ad eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. C.M. 412.183 19037-9 — Stabilimenti Tipolitografici «E. Ariani» e «L'Arte della Stampa» della S.p.A. Armando Paoletti — Firenze Premessa Anziché pretendere di stringere in poche pagine il mondo della Divina Com- media, e magari di tutto Dante, preferisco dire pianamente in che cosa consista, nei suoi punti essenziali, quel tanto di peculiare che questo libro crediamo che apporti agli studi danteschi, e senza il quale esso sarebbe inutile. Naturalmente, non abbiamo mai mancato di prender risolutamente posizione rispetto ai singoli problemi, grandi e piccoli, avanzando molte proposte nostre che ci auguriamo appaiano degne di seria considerazione; quanto alla struttura- zione generale, l’aver fatto precedere da /Introduzioni critiche il commento ad verbum a piè di pagina, non è certo una novità: Vittorio Rossi, caro a chi ha scritto queste Introduzioni, non ha fatto cosa diversa; solo che le nostre non vogliono essere una semplice ‘presentazione’ del canto seguente, ma esaurirne, per quanto era in noi, la materia critica generale, venendo così a costituire una /ectura Dantis Continua, condotta soprattutto per motivi e temi, che ci sembra necessaria integra- zione di quella tradizionale per canti; la quale /ectura, per essere d’un solo let- tore, ha se non altro il pregio dell’omogeneità. La scansione della Commedia in canti è un fatto intrinseco alla creazione del poema: Dante —- è ben noto — non manca di farci più d’una volta avvertiti del- l’autonomia d’un canto. Ma ciò non giustifica il pregiudizio, così diffuso da poter esser detto generale, che ciascun canto abbia necessariamente una sua propria unità, fantastica tonale stilistica concettuale, da rintracciare a ogni costo, anche a prezzo di acrobazie critiche; alcuni canti l'hanno, altri no. Se in qualche caso una fase del racconto o un aspetto del ‘ paesaggio ° oltremondano o un problema di dottrina e di vita coincidono con la misura d’un canto, in altri casi un canto risulta costituito da diversi elementi eterogenei tra loro; ovvero la materia straripa da un canto all’altro, e anche di questo il poeta ci fa talvolta avvertiti: « nel modo che ’1 seguente canto canta ». Può darsi che il poeta in un primo momento pen- sasse di far coincidere un determinato contenuto con la misura metrica: infatti il vestibolo e i primi tre cerchi dell’Inferno son contenuti ciascuno in un canto (III, IV, V, VI)i ma poi questa regola è abbandonata. Noi puntualizziamo sempre questi frazionamenti o straripamenti; talvolta trattiamo in un’/ntroduzione unica più canti o parti di canto. Non è però su questa strutturazione estrinseca della VI Premessa nostra esegesi che ci preme richiamar l’attenzione; bensì sul fatto che, indivi- duata la costanza, nella diversità delle situazioni e dei personaggi, di alcuni motivi del pensiero e del sentimento di Dante, li abbiamo seguiti, d’Introduzione in Intro- duzione, per tutto il poema: contribuendo così anche per questa via, con la con- cretezza delle notazioni e non con l’astrattezza aprioristica della polemica, a defi- nire la salda unità della Commedia, Il poema dell'Uomo è pur scritto da un uomo; abbiamo assiduamente inda- gata la componente autobiografica di molte pagine dantesche. Ci sono quelle in cui il poeta direttamente racconta le sue vicende o confessa, nelle sue ben definite coordinate ambientali e cronologiche, i suoi affetti e dolori e pensieri e conso- lazioni e crucci; connessi a precisi eventi della vita del poeta sono molti episodi: oltre i noti e ovvi (Pier della Vigna, Provenzano Salvani, Romeo), anche alcuni dei più alti (Farinata, Ulisse, Ugolino); tutta la storia di Firenze — argomento principe della Commedia — s’intreccia ovviamente in modo indissolubile con le vi- cende personali di Dante. Persino i dubbi teologici, che appaiono anche nelle prime due cantiche, ma formano l’ossatura del Paradiso — molti dei quali ricondu- cibili al problema principe, quello della giustizia di Dio —, hanno a nostro avviso una radice autobiografica: corrispondono probabilmente per la massima parte a quelli che avevano avuta tanta importanza nel ‘traviamento ’ del filosofo novizio, dei quali questi si era infine liberato con un atto di umiltà intellettuale, riconoscen- do l’insufficienza della ragione umana. E infatti la soluzione di essi, offerta nel Pa- radiso a tutti gli uomini, o giunge a una difficile conciliazione tra scienza e filosofia umane e Scrittura (per es. sulla sapienza di Salomone, ecc.), o, per i più gravi e religiosamente pericolosi, si risolve in un consiglio di abbandonarsi alla rivelazione (« Veramente, ne forse tu t’arretri / movendo l’ali tue, credendo oltrarti, / orando grazia conven che s’impetri »). L'insegnamento principe della Commedia, che ha il suo centro nell’episodio di Ulisse, ma che appare saldo già nel II c. dell'Inferno e avrà il suo sbocco, appunto, nell’esortazione di San Bernardo nel penultimo del Paradiso, è proprio questo: l’uomo ha il dovere di giungere, nel pensiero e nel- l’azione, al massimo delle sue possibilità; in ciò si distingue dai bruti; ma deve insieme saper riconoscere 1 propri limiti. Il poema è tutto un susseguirsi d’incita- menti ad osare e di moniti all’umiltà. La rievocazione nostalgica della prima gioventù fiorentina ha la sua espres- sione anche nell’Inferno (Brunetto, ecc.) e nel Paradiso (Piccarda, ecc.), ma permea per intero il Purgatorio. E si capisce perché: nel primo regno le anime incontrate sono troppo più basse di lui, e il poeta deve erigersi a giudice, ora comprensivo ora spietato; quelle del terzo regno troppo più alte, e dinanzi a esse egli non si può porre se non in atteggiamento reverente, attendendone per lo più non con- fessioni sentimentali ma insegnamenti di sapienza e di carità: solo nel Purgatorio è tra i suoi pari. Perciò la seconda, tutti lo sappiamo, è la cantica dei « dolci amici », degli affettuosi colloqui familiari; motivo che ha il suo coronamento nel grande episodio di Forese, per così dire riassuntivo di tutti i temi primo-fiorentini. Nel Premessa VII Purgatorio Dante recupera, col paesaggio e il tempo terrestri, il suo passato, un sé stesso partecipe d’una vita giovanile anche fuorviante, ma ricca di propositi, che ora sa vani, ferma per certezze che ora ha visto vacillare e cadere. Persino, forse, specchia in più d’uno dei suoi personaggi il proprio rammarico d’esule che si sente dimenticato. La rievocazione della gioventù ha a sua volta il suo corona- mento nell’incontro, sulla cima della montagna, con Beatrice. E come questa sia una figura sacrale, non solo beata ma mandataria di Dio, e insieme la Bice Por- tinari:-d’un tempo, abbiamo a lungo considerato nelle Introduzioni agli ultimi canti del Purgatorio. Ciò è, d’altronde, solo un episodio, anche se il più importante, della legge generale della Commedia: l’assunzione del personale a valore universale. Dante giovane era stato essenzialmente poeta, non poeta e insieme pensatore e politico come fu poi; è naturale dunque che egli considerasse centro della sua gioventù quel vittorioso avvenimento letterario di cui con pochi amici era stato promotore; il nuovo «stile » di far poesia da essi trovato e imposto. Accanto al recupero della gioventù c’è dunque quello, attraverso sia riprese che ripensamenti, dello stilnovo; anch’esso presente già nell’/nferno, ma particolareggiatissimo nel Purgatorio, dall’episodio di Casella in poi. Esso si svolge anche, e contrariis, me- diante il ripudio della poesia intesa a scopi letterari di svagato divertimento (la tenzone ingiuriosa: quella di Maestro Adamo e Sinone, l’altra di lui stesso con Forese); oppure mediante il ribadimento della polemica antiguittoniana. Il recu- pero dello stilnovo culmina, naturalmente, nella definizione innovatrice offerta a Bonagiunta; nell’esaltazione del « padre » Guinizzelli; nella ripresa in pieno della tematica stilnovistica quando si fa a disegnare le tigure di Matelda e di Beatrice. Ma tale recupero era reso possibile, nell’ordito sacro della Commedia, da una rein- terpretazione dei principi stilnovistici. Già nel V c. dell’/nferno è ripudiata, nella dannazione di Francesca, l’idealizzazione dell'amore che era alla base di tutta la tradizione letteraria dai trovatori in poi, alla quale avevano aderito gli stilnovisti e lui stesso: in particolare il canone dell’irresistibilità d'amore (« Amor ch’a nullo amato... »), esplicitamente poi limitato drasticamente in Pg XXII, 10-12 (« Amore, | acceso di virtù, sempre altro accese... »), e criticato radicalmente (Pg XVII): l’amore non è più « signore »; anche l’inclinazione ad amare è governata dalla ragione. Finché nella definizione famosa si afferma esplicitamente la nuova inter- pretazione dell’amore stilnovistico: non amore-passione, ma amore-virtù; non dialogo che può dar tormento, ma osservazione, che non può dare che gioia, del- l’elevazione intima messa in atto dalla bellezza morale e fisica della donna. Parallelamente si svolge per tutta la Commedia, dal c. VI dell’Inferno in poi, la rievocazione dei tempi antichi a specchio e rampogna degli attuali: discorso impostato subito per Firenze, ma che coinvolge la Toscana in genere, la Roma- gna, la Lombardia (cioè per Dante quasi tutta l’Italia padana), infine l'Europa intera — se è esatta la nostra interpretazione di Pg VII — nei suoi principi attuali così diversi dai loro predecessori. Un’età ‘antica’ che giunge per Dante sino ai tempi di Federico II, sino alla generazione precedente alla sua. In termini poli- VII Premessa tici, ciò importa un vagheggiamento dell’età feudale-cavalleresca contro l’età mer- cantile intesa ai subiti guadagni, dimentica di cortesia e di valore. Minore atten- zione che a questo — data la sua ovvietà —- abbiamo dato all’altro motivo che per- corre tutto il poema: la condanna delle fazioni (Sordello, Giustiniano, ecc.), degli odi che coinvolgono innocenti (Farinata), giungendo sino all’atrocità anti-umana (Ugolino). Che lo scopo generale del poeta sia rappresentarci, attraverso il suo viaggio e i suoi incontri e le sue meditazioni oltremondani, il proprio itinerario verso la salvezza spirituale, e additare nel proprio l’itinerario che tutti debbono percorrere, è cosa ovvia; e checché se ne sia detto nessuno ne ha mai dubitato, anche perché lo ha esplicitamente dichiarato lo stesso Dante. Il problema è invece se il lettore debba tener presente solo questo ammaestramento religioso e trascurare l'umano, pur se quello scopo è evidentemente raggiunto anche mediante l’esplorazione del- l'umano. È merito della critica recente avere insistito sull’errore di quella prece- dente (grossolanamente definita ‘ romantica ’) che aveva puntato lo sguardo sulle varie figure e situazioni, sui drammi umani rappresentati, ignorando o prescin- dendo dal giudizio religioso-morale che vi è sotteso. Ma giovani e meno giovani studiosi, anche assai valenti, nell’ansia di prender le distanze dalla ‘vecchia cri- tica’, son caduti (ora in verità il rigorismo sembra attenuato) nell’eccesso opposto. Per essi, nell’/nferno non sarebbero rievocati uomini in momenti salienti della loro vita e che conservano nell’oltremondo la loro umanità, ma solo exempla, pure e semplici incarnazioni di peccati, che il poeta fabbrica allo scopo unico dell’edifica- zione morale-religiosa. Non ci sarebbero peccatori, ma solo peccati. Farinata non sarebbe più un uomo con un suo proprio dramma, in una determinata situazione politica, ma semplicemente un exemplum dell’errore ‘epicureo’ di non credere nella vita eterna, e pertanto condannato a vedere solo il futuro e non il presente; o dell’altro peccato di prestare troppa attenzione, ancora nell’/nferno, a interessi e affetti terreni (come se l’una e l’altra colpa non fossero di altri o di tutti i dan- nati). Brunetto è soltanto un esempio di sodomia: e non si vuole vedere, o addi- rittura si nega, il ritratto di maestro che ne traccia con reverenza Dante. Ulisse sarebbe solo un persuasore d’iniquità, per taluni addirittura un imbroglione; la sete di conoscenza, eroica anche se peccaminosa perché dimentica dei limiti, che lo guida e che egli comunica ai pochi compagni superstiti, non sarebbe che la frode da lui consumata ai danni di questi (ma per conseguire quale vantaggio ?). Ugolino è solo ferocia, non anche strazio paterno. E così via. Bisogna ammettere, contro corrente, che talvolta non c’è connessione tra peccato terreno e situazione descritta nel poema; che gli sforzi fatti per trovare sempre questa corrispondenza sono stati spreco di dottrina e di sottigliezza; per trovare quello che non c’è, volutamente si è ignorato quello che c’è. Non è esatta l’opinione vulgata nella critica recente, questa volta in accordo col De Sanctis che in genere invece maltratta, che in Male- bolge e nel IX cerchio sarebbe ritratta un’umanità sempre più degradata; e ciò Premessa IX susciterebbe nel poeta uno sprezzante distacco dalle sue figure. Invece, non c’è differenza tra le due grandi zone infernali; c'è disprezzo anche nella più alta, e anche nella più bassa c’è comprensione (Mosca, Bertram, in parte Maestro Adamo, Ugolino); o addirittura ammirazione malgrado i peccati (Giasone, Ulisse). Si può consentire che il ricordo delle passate vicende, il rimanere inchiodati per l’eternità ai peccati d’un tempo, sia secondo Dante voluto da Dio per accrescere e per così dire personalizzare la pena che i singoli hanno in comune con i colpevoli del loro stesso peccato; ma non sembra possibile andar oltre su questa strada. Accingendosi al suo viaggio oltremondano, il poeta sa di dover sostenere «la guerra / sì del cammino e sì de la pietate ». Additare come riprovevole una determinata azione o tendenza, e riconoscere quindi giusta la punizione relativa, dissuadendo gli uomini dal peccato attraverso la descrizione di questa, non im- plica necessariamente — come parecchi pensano o hanno pensato — che si debba ignorare che quell’azione è frutto di debolezza umana, e aver comprensione e pietà per i colpevoli puniti. Caso tipico è Francesca da Rimini: non c’è dubbio che per Dante il suo amore è colpevole; ma ciò non vuol dire che si debba negare la « pietà » che il poeta ripetutamente dice di aver provato per i due cognati. In taluni casi questa pietà si unisce all’ammirazione per i grandi meriti che, fuori del peccato, un personaggio aveva conseguiti: caso tipico Brunetto. Dante avrebbe potuto immaginare un suo pentimento in extremis, e collocarlo nell’ Antipurgatorio, il cui tono generale sarebbe stato più consono alla figura di lui com’è rappresen- tata; se non lo fece, se lo dannò, fu proprio per segnare il contrasto tra dignità e vizio da parte di Brunetto, e tra gratitudine e accettazione morale della condanna da parte sua. In altro e diversissimo campo egli, data la mancanza di battesimo, riconosce giusta la condanna di Virgilio all’Inferno; ma ciò non gl’impedisce di rammaricarsene. In altri casi, è noto, non solo è assente la pietà, ma il personaggio Dante si fa egli stesso attivo collaboratore della punizione (per es. di Bocca degli Abati). Erroneo dunque annullare la coesistenza di questi diversi atteggiamenti, negando, contro ogni evidenza, o l’uno o l’altro dei termini, mentre essa costi- tuisce uno dei motivi più frequenti dell'Inferno. Va sempre tenuto presente che l’avere introdotto nella grande poesia personaggi contemporanei, o visti come se fossero contemporanei, e quindi il giudizio su essi (non sempre, anche per i dan- nati, terrenamente negativo) è modo d’arte nella sua sistematicità peculiare a Dante, del quale questi non poteva trovare nella letteratura precedente se non esempi isolati. Ci siamo ben guardati dal cercare d’imporre ai lettori il nostro gusto perso- nale; tuttavia abbiamo ritenuto nostro dovere chiarire quali siano le commozioni e le emozioni — di ordine psicologico, naturalistico, stilistico-musicale, ecc. — che il poeta vuol suscitare di volta in volta nel lettore; giacché egli vuol certo susci- tarle, e non impartire solo lezioni di teologia morale. All’esplorazione umana egli non rinuncia neppure, qua e là, nei rigorosi trattati in prosa. Abbiamo cercato di spiegar Dante; non ce ne siamo fatti uno sgabello per

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