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La Costituzione di Roma antica PDF

116 Pages·2017·1.08 MB·Italian
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Biblioteca Universale Laterza Umberto Vincenti La Costituzione di Roma antica Editori Laterza © 2017, Gius. Laterza & Figli Edizione digitale: luglio 2017 www.laterza.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 9788858130544 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata Sommario Introduzione I. Monarchia 1. La Roma degli esordi tra mito e realtà 2. Il rex 3. Re latini e re etruschi II. Repubblica 1. Una repubblica di eroi popolari 2. La libertà repubblicana 3. In principio erano i consoli 4. Il potere che frena il potere: la pluralità delle magistrature della res publica 5. Il dittatore ‘democratico’ 6. Il potere rivoluzionario e costituzionale dei tribuni plebei 7. I censori, garanti della virtù repubblicana 8. Un popolo di cittadini ineguali 9. Il senato degli aristocratici 10. Definire questa repubblica III. Principato 1. La morte della res publica 2. Augusto e la finta restituzione della res publica 3. Il principato e la mitizzazione della res publica IV. Dominato 1. Diocleziano e la ricerca di un ordine nuovo 2. L’impero cristiano di Costantino 3. Il paradigma repubblicano del potere assoluto V. La costituzione di Roma dopo Roma 1. L’eredità di Roma nelle istituzioni medievali 2. La res publica romana nel pensiero politico moderno 3. Virtù e forme costituzionali di Roma nelle rivoluzioni settecentesche: in America e in Francia 4. La suggestione di Roma nel dibattito giuspolitico contemporaneo 5. La nostalgia della libertà degli antichi Bibliografia Nel bimillenario della morte di Tito Livio Introduzione Esistono molti libri, in varie lingue, dedicati alla storia della costituzione – o delle costituzioni – di Roma antica. In nessuno, o quasi, di essi si ha cura di indicare il significato del termine ‘costituzione’, a quale nome o nomi esso corrisponda nella lingua latina, se i romani possedessero, al di là del nome, una nozione di costituzione: in questa nostra storia incominceremo, invece, proprio da qui. Oggi per costituzione intendiamo, grosso modo, un insieme di regole di valore superiore a quello delle regole contenute nelle leggi ordinariamente approvate dal Parlamento. Le regole costituzionali sono, dunque, riconosciute e avvertite come primarie nella gerarchia delle fonti di produzione del diritto1. Una primazia che, a sua volta, dipende dalla circostanza che esse fondano la struttura dello stato: disciplinano, cioè, a chi spetti il potere di governo, come questo debba essere conferito, come debba essere esercitato. Ma le regole costituzionali contemporanee vanno oltre e considerano anche gli individui – i cittadini e, a certi effetti, pure gli stranieri – per proteggerli dagli arbitrii del potere e per aiutarli nelle vicende della vita. Per questo le regole costituzionali attribuiscono agli individui alcuni diritti fondamentali: i diritti di eguaglianza, di libertà, di partecipazione politica, di assistenza nella disoccupazione, nella malattia, nella vecchiaia. Il termine ‘costituzione’ è un derivato dal latino constitutio che solo talvolta era adoperato dai romani nel significato o, meglio, in uno dei significati – quello di forma del governo – che qui interessano2. Più frequente era l’espressione forma civitatis3 («forma della città») oppure forma rei publicae4 o forma rerum publicarum5 («forma della repubblica», cioè, diremmo noi, dello stato). Ma conta soprattutto sottolineare come, sotto le espressioni forma civitatis o forma rei publicae, si possa cogliere l’idea romana di costituzione: quelle regole che fondano il potere – o i poteri – di governo e ne stabiliscono la conformazione, ciò che essi possono e debbono fare. È una conclusione coerente con la storia: i diritti entrarono nel modello di costituzione oggi attuale con la loro positivizzazione – la loro traduzione in regole vigenti e obbliganti – nelle costituzioni e nelle dichiarazioni (dei diritti) settecentesche, che raccolsero gli esiti della riflessione dei filosofi dell’illuminismo. Sicché è un errore affermare e sostenere che nella Roma antica – e, particolarmente, nella costituzione dell’epoca repubblicana – esistessero i diritti, almeno nell’accezione del costituzionalismo moderno e contemporaneo dove al centro sono collocati i principi di eguaglianza, libertà, solidarietà economica e sociale. Invece, nella Roma antica, in ogni sua epoca, l’organizzazione della società fu schiavistica (e gli schiavi erano cose e non persone capaci giuridicamente), patriarcale (il potere familiare era consegnato esclusivamente ai maschi) e censitaria (i ricchi contavano, a tutti i livelli, molto più dei poveri o, comunque, dei non ricchi). L’idea di constitutio che avevano i romani era, dunque, quella di ‘forma del governo’. Lo stesso concetto si ritrova negli scritti dei giuristi romani di età imperiale e ancora nel manuale (le Institutiones) fatto redigere nella prima metà del VI secolo d.C. da Giustiniano per gli studenti delle facoltà giuridiche di Berito e Costantinopoli: il diritto pubblico – che concerne l’organizzazione della comunità generale – ha ad oggetto la titolarità dei poteri di governo (in magistratibus: così, nel III secolo d.C, il giurista Ulpiano6) e, più in generale, la struttura fondamentale della res romana (status rei romanae: così le Istituzioni giustinianee7), dello stato, come già si è detto. Prima di iniziare la nostra storia esauriamo i preliminari osservando che nella Roma antica la costituzione non fu mai scritta. Ciò nonostante, mutò poche volte nel corso di milletrecento anni di storia: fu cioè ben presente ai romani la necessità che essa dovesse mantenersi stabile nel tempo, firma come leggiamo nel De re publica di Cicerone8. Nelle pagine che seguono si eviterà il più possibile di usare parole, concetti, categorie proprie della modernità e/o della contemporaneità: il breve discorso fin qui svolto è esso stesso espressione di questo indirizzo. Qualche studioso autorevole ha però avanzato delle riserve sul ricorso, ai fini della ricostruzione della storia delle istituzioni di Roma antica, alla categoria di ‘costituzione’ perché essa si sarebbe formata in contesti completamente diversi. Ora il rischio di ripercorrere questa storia attraverso un filtro concettuale ad essa ignoto – e, dunque, falsificante – vi sarebbe se avessimo deciso di adottare la categoria moderna di costituzione. Se qualcuno lo ha fatto, noi non faremo così perché – si è già detto – qui l’obiettivo è di raccontare la storia di ciò che i romani intendevano per constitutio: dunque, nessuna gabbia concettuale imposta alle vicende istituzionali di Roma antica e al loro scorrere nel tempo, ma solo l’esposizione della storia delle regole del potere pubblico quali i romani stessi inclusero nell’area semantica del termine constitutio o, più frequentemente, delle espressioni forma civitatis o forma rei publicae. Un’area semantica che – a ben vedere – può ritenersi compresa in quella definizione ancor oggi insuperata che di costituzione dava, nel IV secolo a.C., Aristotele nella sua Politica: «la costituzione è un ordine delle magistrature cittadine, concernente il modo della loro distribuzione, il governo della cittadinanza e il fine di ciascuna comunità»9. Quel che non si dovrà ricercare nella costituzione romana è la sua superiorità gerarchica rispetto a leges o, comunque, a norme non costituzionali. Questa superiorità è propria delle costituzioni contemporanee, mentre per i romani non esisteva alcuna gerarchia tra le norme giuridiche e contava la sostanza del fenomeno regolato, per cui costituzionali – diremmo – erano tutte (e soltanto) le regole attributive del potere pubblico e/o disciplinanti il suo esercizio. Queste regole potevano mutare e mutarono nel corso del tempo; e quando il mutamento riguardò la stessa titolarità del potere supremo, mutò anche la forma di governo: mutò, come vedremo, la costituzione tout court. Una considerazione, questa, che avverte come, nell’esperienza giuridica di Roma antica, si siano succeduti (almeno) quattro tipi costituzionali tra loro diversi: venne prima la monarchia e poi la repubblica che, dopo cinque secoli di fortune, degenerò nelle forme del principato augusteo, la cui matrice autocratica sfociò, infine, nel dispotismo del dominato dioclezianeo- costantiniano. Le pagine che seguono sono necessariamente frutto di una stretta selezione di dati, vicende, istituzioni, regole e modelli normativi. Vi è però da dire che, a fronte di una pluralità di tipi costituzionali, la costituzione repubblicana è quella più rilevante non solo nella storia di Roma antica, ma anche in quella che, in Occidente, si farà dopo Roma, fino all’età contemporanea: perché sotto le nostre democrazie vi è sempre il modello della libera res publica civium romanorum. 1 Cioè gli atti (la legge, per esempio) o i fatti (come la consuetudine: un comportamento ripetuto egualmente nel tempo con la coscienza di adempiere a un obbligo) che hanno l’attitudine di generare una regola giuridica: in questo senso Livio (3.34.6) qualifica la cosiddetta codificazione delle XII Tavole della metà del V secolo a.C. come «fonte (fons) di tutto il diritto pubblico e privato». 2 Cic. rep. 2.21.37; 2.31.53 [Non. 526.10]; 1.45.69. 3 Cic. rep. 2.23.43; Liv. 3.33.1; Tac. hist. 4.8.2. 4 Cic. rep. 2.12.22; 5.1.2; fam. 2.8.1; 7.3.4. 5 Cic. Tusc. 2.36. 6 Dig. 1.1.1.2. 7 Inst. Iust. 1.1.4. 8 Cic. rep. 2.31.53 [Non. 526.10]. 9 Arist. Pol. 4.1.4.1289 a, l. 15 sgg. I. Monarchia 1. La Roma degli esordi tra mito e realtà La storiografia di epoca romana – principalmente Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso1 – racconta la fondazione di Roma e i suoi primi secoli dimostrando attenzione verso gli aspetti istituzionali: la spettanza del potere politico e religioso, la sequenza di atti necessari per la sua attribuzione, la dotazione di un nucleo fondamentale di regole per la convivenza civile. Ma questi autori scrivono verso la fine del I secolo a.C. e riferiscono di fatti molto lontani nel tempo, i più antichi risalenti addirittura a settecento anni prima: ci si è domandati se ne sapessero veramente qualcosa. Almeno fino al V secolo a.C. la scrittura a Roma non doveva essere molto diffusa; e probabilmente nemmeno dovevano esistere gli Annales, quei repertori dei fatti più importanti registrati annualmente dai sapienti della città quali i pontefici, un collegio religioso di gran potere nella Roma degli esordi e per tutta l’epoca repubblicana. In questo contesto è significativo che Livio non citi le sue fonti, mentre Dionigi elenca i nomi di alcuni storici le cui opere dichiara di avere consultato: il più antico è Marco Porcio Catone, che vive tra III e II secolo a.C., e dunque all’incirca mezzo millennio dopo l’evento fondativo. Dobbiamo allora supporre che le vicende relative ai secoli più alti della storia di Roma siano state consegnate principalmente alla tradizione orale, che facilmente le avrà deformate: il che non sarà poi dispiaciuto a storici come Livio o Dionigi, ai quali interessava comporre una narrazione che avesse valenza anche oratoria, moralistica, artistica. Entrambi lo ammettono espressamente: il fine di Livio è dimostrare come Roma sia potuta divenire un grande impero principalmente per le virtù e la parsimonia dei cittadini delle epoche precedenti la sua2; e Dionigi persegue un disegno non dissimile: far sapere al mondo – ai greci, in particolare – che la fortuna di Roma non è casuale3, ma dovuta alle qualità morali di un popolo che si è rivelato superiore fin dai suoi inizi.

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Edizione digitale: luglio 2017 Nel mondo antico Roma visse come entità politica indipendente per quasi milletrecento anni, nel corso dei quali le regole attributive del potere pubblico variarono più volte. La progressiva evoluzione fu categorizzata dagli stessi romani, che individuarono una plural
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