LA CONCEZIONE DELLE ARTI FIGURATIVE NELLA POLITICA CULTURALE DEL FASCISMO Tra le due guerre mondiali si assiste, in Europa, a una straordinaria fioritura di movimenti culturali, miranti a un rin novamento totale dell’uomo e della società. Ancora oggi non si è esaurita la carica vitale di quei movimenti, basta pensare all’e spressionismo o al surrealismo. Ma allora essi vennero banditi dai governi, tra loro cosi diversi, ma egualmente impegnati in una capillare politica culturale, di Russia, Italia, Germania. In modo particolare il mondo delle arti figurative conobbe polemiche vistose e rivisse fatti che da secoli non si ripetevano: roghi pubblici di quadri e libri, condanne di artisti, chiusura di scuole « manu militari » etc. Le personalità più significative del mondo culturale e artistico fuggirono all’estero, mentre dai go verni vennero imposte forme d’arte o pseudo-arte, tra loro straor dinariamente simili nella retorica e nel vuoto che le caratteriz zava. Accade così che per comprendere lo spirito più autentico dell’Europa degli anni 1920-40, dalla filosofia all’arte, bisogna ri correre al pensiero bandito e scomunicato. La politica culturale dei regimi europei tra le due guerre costituisce un fenomeno che meriterebbe di essere studiato in tutta la sua complessità e nei suoi rapporti con la cultura lette raria e figurativa. Per quanto riguarda l’argomento che ci inte ressa direttamente, e cioè, la politica delle arti, va subito detto che un’opera d’arte non può essere condannata in quanto tale, a causa cioè del suo valore di espressività e comunicabilità. A de terminare il suo gradimento o meno agli occhi di un governo stanno' le istanze culturali e morali che essa rivendica ed esprime. I governi combattono infatti la loro battaglia a favore o contro le poetiche che le opere d’arte sottintendono, per poter imporre fino in fondo le parole d’ordine confacenti la loro linea d’azione. La storia dei movimenti figurativi durante il regime fascista è interessante: rispecchia la situazione che fu di una « certa » cultura, quella che si sposò con il fascismo e che fu da esso pò- 4 Carla Sanguineti Lasagna tenziata. La sua analisi aiuta a comprendere quel complesso fé- nomeno che è la politica culturale del fascismo. Non si parlerà qui della cultura italiana tra le due guerre, perchè ciò impliche- rebbe prendere in esame le personalità più significative, da Croce a Gobetti, da Einaudi a Gramsci, da Pavese a Montale, da Ven- turi a Persico ecc., figure la cui opera andrebbe collocata neh l’ambito dell’opposizione al regime. Volendoci limitare a trattare della politica culturale fascista e, in particolare, di quella relativa alle arti figurative, ci occuperemo solo di coloro che si incontra' rono con il fascismo e dell’attività del governo nei confronti deb le arti. E’ un fatto che qualsiasi lavoro sulla situazione culturale e artistica dell’Italia durante il ventennio fascista sarà destinato a rimanere monco e a restringersi entro limiti cronologici arbitrari fino a quando non saranno resi consultabili gli archivi del Min' culpop; ma due circostanze almeno meritano e giustificano un’a' nalisi di per se stesse: la coincidenza tra la politica culturale del fascismo e la poetica del « Novecento » (il movimento figurativo del dopoguerra che proclamava la necessità di un ritorno a schemi romano-rinascimentali in dispregio a ogni internazionalismo cub turale); l’insabbiarsi di ogni tentativo valido di rottura. Sono note le tappe della politica culturale del regime: emar' ginazione, fino a eliminazione, di ogni personalità che potesse fungere da catalizzatore delle opposizioni; imbavagliamento della stampa; creazione di un apparato burocratico immenso e di di' spendiosi, quanto inutili, istituti culturali; propaganda incessante attraverso libri, giornali e cinema. Non è di tutto questo che si vuole discorrere qui. Si esamineranno piuttosto: i) I temi della cultura figurativa del dopoguerra: attraverso la lettura delle poe- tiche degli artisti sono infatti reperibili tutti i « leitmotive » della propaganda del regime. 2) L’azione del regime nei con- fronti delle arti figurative, cui venne attribuita una precisa fun- zione politico'pedagogica. Ai principali movimenti di rottura sarà fatto cenno soltanto perchè sono molto noti e per sottolineare come, nonostante le contraddizioni e la ridicolaggine di certi atteggiamenti, il fasci smo sarebbe riuscito nel suo intento di asservire completamente cultura e arte, anche se la mancanza di una seria impalcatura ideo logica permise a uomini come Gentile, Bottai e Pagano di com- La concezione delle arti figurative nella politica culturale del fascismo 5 piere un sia pure involontario doppio gioco contribuendo alla rea lizzazione di opere che conservano ancora valore e interesse. Involuzione culturale del dopoguerra. La cultura italiana negli anni immediatamente precedenti la guerra aveva visto il rapido costituirsi del fronte futurista. Per la prima volta, dopo secoli, si assisteva al diffondersi, in campo nazionale ed internazionale, di un movimento figurativo italiano. Per la prima volta in Italia venivano proposte istanze a una nuova realtà sociale, per la cui creazione era richiesto anche il concorso di opere d’arte; si parlava di un’arte e di un’architettura che avrebbero dovuto esprimere il mondo moderno non sfug gendo ai mutamenti apportati dalle scoperte scientifiche e tecni che, ma ponendosi al servizio dell’uomo per potenziare la sua libertà. Era parso, alla vigilia della guerra, che tutto il mondo dovesse rinnovarsi: ma era stata l’illusione di pochi anni. Morti nella guerra gli uomini più significativi, da Boccioni a Sant’Elia, rinati, negli uomini stessi del movimento, i vecchi pregiudizi con tro cui essi stessi avevano lottato, non rimaneva del futurismo che un vago anelito rivoluzionario, incapace di affrancarsi dalle sue contraddizioni e pronto a cadere di equivoco in equivoco in nome della rivoluzione. Non è il caso di ricordare oltre i pregi del Futurismo per quanto concerne il campo delle arti figurative, nè di parlare dei noti e fin troppo sopravvalutati aspetti negativi del movimento. Qui preme rilevare come nel dopoguerra non si parlasse più di scienza, di tecnica, di istanze sociali, di internazionalismo cultu rale, di filosofia straniera. Ma si assistè piuttosto a un ritorno alle posizioni anticulturali che avevano dato origine al Futurismo e ne avevano sempre più acuito il carattere di rottura fino a farlo diventare « rivoluzionario » in senso lato e confuso. E’ molto difficile capire la genesi di quell’involuzione che si presenta chiarissima nell’abbandono, una ad una, di tutte le posizioni del Futurismo: il ritorno al passato e alla tradizione si sostituirono allo slancio verso il futuro; la rivalutazione del nostro Ottocento al riconoscimento dell’Impressionismo francese come il primo grande movimento pittorico moderno. Si generò sdegno 6 Carla Sangumeti Lasagna verso il mondo della scienza e si attuò una chiusura, nuovamente, in ambito nazionale. E’ una semplificazione considerare questa involuzione del tutto naturale dopo la « truffa futurista » 1 o vedere in essa il risorgere di «ragioni ideali di un’Italia carducciana e post-risor- gimentole »1 2; significa semplificare una situazione che fu in realtà più complessa, perchè, nonostante l’apparente rovesciamento delle posizioni, l’istanza culturale futurista rimase e l’informazione non venne mai meno. Piuttosto, mentre le riviste e i giornali chie- devano uno svecchiamento di tutte le posizioni, e un rinnova- mento culturale completo, si generò un nuovo sdegno verso la cultura straniera, un nuovo «richiudersi in casa», in cui dovettero giocare fortemente la posizione politica dell’Italia nel dopoguerra al tavolo della pace, e, soprattutto, il desiderio di ricostruzione che veniva a innestarsi, quasi a sovrapporsi, su una situazione disastrosa economicamente e socialmente. Anche se non si vuole proporre come unica spiegazione del l’involuzione del Futurismo il clima del dopoguerra, perchè deb bono essere considerate anche le ragioni personali di ciascuno dei suoi esponenti, tuttavia è un fatto che la poetica delle arti figu rative dal 1919 al 1922 è una trasposizione della situazione poli tica e sociale. Il fascismo non fu un fenomeno ineluttabile o, come allora si amava presentarlo, un movimento di massa; la sua azione potè arrivare sino in fondo perchè seppe innestarsi su un terreno di violente rivendicazioni sociali e nazionalistiche, nel quale le pri me, incapaci di inserirsi in un chiaro programma, finirono con lasciar trionfare le seconde. Fu dunque possibile alla reazione presentarsi come rivoluzione. Qualche cosa di analogo accadde nella poetica delle arti figurative, dove la concezione dell’arte e della cultura come strumenti attivi per incidere nel vivo della società, lasciò il posto a una concezione dell’arte mutuata dal grandioso passato ed esaltatrice del genio italiano. Già nel 1916 (ancora durante la guerra, cioè) la cultura figurativa si presenta estraniata dal terreno sociale, e non più 1 R. De Grada, Le arti figurative all’origine del Fascismo, in « Il ’45 », Milano, feb braio 1956, p. 9. 2 E. Crispolti, Il secondo futurismo, 5 pittori + 1 scultore, F.Lli Pozzo, 1961, p. 16. La concezione delle arti figurative nella politica culturale del fascismo 7 interessata alla costruzione di una nuova coscienza artistica; e tale rimarrà poi, per circa un decennio, durante il regime. Si attuò un divorzio tra arte e cultura: rotto ogni rapporto con la cui' tura europea, dopo la parentesi futurista, l’Italia ripiombava nel secolare isolamento, foriero soltanto di uno scivolamento sempre più veloce entro gli schemi della politica fascista. Il ripiegamento sul passato altro non era che esaltazione nazionalistica nascente soprattutto dal rifiuto o dall’incapacità di una presa di coscienza della realtà. Il nazionalismo si trasformava, in arte, in ritorno alla tradizione pittorica rinascimentale, per trovarvi schemi capaci di rappresentare proprio quell’equilibrio e quel processo di ricostru- zione che sul terreno reale venivano effettivamente a mancare. Accadde a Mario Tozzi, nel 1929, a Parigi, di indicare la vera ragione della morte del Futurismo nell’abbandono del collo quio culturale con il resto dell’Europa a causa dell’acuirsi dello spirito nazionalistico, e le tappe che l’involuzione aveva seguito: « Le Futurisme, par la nature de ses recherches, échappait com plètement à la tradition etnique. Depuis la victoire des armes et, peu après, la révolution fasciste, devaient-elles, par le reveil du sentiment national, qu’elles provoquèrent, la rendre stérile. C’est de ce nouvel état d’esprit que sont éclos la Pittura Metafìsica, les ’ Valori Plastici ’ [...] et le mouvement dit du ’ Novecento ’ qui peut être considéré comme leur corollaire » 3. Già nel 1916, in piena guerra, C. Carrà aveva iniziato con G. de Chirico la Pittura Metafìsica, che si era risolta in un com pleto abbandono del Futurismo e del suo slancio verso la realtà storica; su «La Voce»4 5 derobertissiana aveva pubblicato nel 1915° una Parlata su Giotto di esclusivo valore formale in cui « il ri volgersi a Paolo Uccello, a Piero della Francesca aveva tutto il sapore di un mero interesse formale, di un esclusivo gusto intel lettuale; era veramente un consenso pieno alla poetica dell’eva sione, ossia un tentativo di risolvere la crisi generata dalla frat tura tra l’arte e la storia, eliminando un termine del contrasto, cioè la storia, la realtà » 6. 3 P. Tozzi, Catalogue Exposition art italien moderne, Paris, ed. Bonaparte, 1929. 4 La rivista fu pubblicata a Firenze dal 15 febbraio 1914 al 31 dicembre 1916, Li breria della Voce. Era diretta da Giuseppe De Robertis. 5 C. Carrà, Parlata su Giotto, « La Voce », 1915, VII, 3, pp. 162-174. 6 M. De Micheli, Scultura italiana del dopoguerra, Schwarz, 1959, p. 44. 8 Carla Sanguineti LaZagna A. Soffici, sempre su « La Voce », cominciava nel 1916 la pubblicazione dei suoi Primi principi di una estetica futurista 1 dove l’aggettivo « futurista » era usato esclusivamente in acce- zione pregnante7 8 9, e l’arte era presentata come « vertice solare dell’universo visto con gli occhi più fermi e chiari, felice me raviglia, [...], étonnement heureux » La pubblicazione conti nuò dopo la guerra sulla rivista « Valori Plastici », cui parteci parono C. Carrà, G. de Chirico, A. Savinio, A. Soffici10 11 e che fu la portavoce dell’abbandono della poetica futuristica e l’indice più sensibile della posizione degli artisti nel dopoguerra, non ancora dimentichi della lezione del futurismo, eppure tesi ad una rico struzione che, irrealizzata nel presente, voleva trarre le sue leggi dal passato. L’internazionalismo culturale e l’esaltazione naziona listica che coesistevano nel Futurismo, quasi due diversi aspetti della auspicata riaffermazione italiana, rimangono caratteri fon damentali della rivista, dal 1918 al 1921; ma il nazionalismo che per il Futurismo era riconoscimento di capacità creativa e intel lettuale italiana, quale poteva risultare solo dal colloquio con le avanguardie europee, è qui rivalutazione di tutto ciò che il Fu turismo aveva rigettato perchè causa prima del «provincialismo» italiano, mentre la presentazione della cultura europea avveniva in chiave di confronto, o piuttosto di polemica u. 7 A. Soffici, Primi principi di una estetica futurista, « La Voce », 1916, Vili, un. 2, 3, 5, in 12- Successivamente fu pubblicato nuovamente in « Valori Plastici » (1919, I, nn. 5, 6, 7); fu editato da Vallecchi nel 1920; è stato recentemente inserito negli Archivi del Futurismo, a cura di M. Drudi Gambillo e T. Fiori, Roma, 1958. 8 Non riferendosi al movimento culturale, ma significando « del futuro ». 9 I concetti esposti in questo volumetto saranno poi ripresi da Carlo Belli che sarà il teorico del gruppo degli astrattisti riunit®attorno alla galleria milanese del « Mi lione » nel libro Kn pubblicato nel 1935. 10 « Valori Plastici » fu pubblicata dal 15 novembre 1918 al 1921 da Mario Broglio. In tutto uscirono 15 fascicoli. « Valori Plastici » erano i valori anti-impressioni- stici, della nostra scultura a tutto tondo e della nostra pittura da Giotto in poi. 11 L’informazione sull’arte straniera contemporanea (Francia - Inghilterra - Olanda - Russia) non mancava, infatti; ed è diventato quasi luogo comune citare tutti i contributhi arrecati dagli stranieri alla rivista. (T. Van Doesburg, L’arte nuova in Olanda; Maurice Raynal, Idee sul cubismo; Kandinsky, Pittura come arte pura; Waldemar George, Alexandre Arkipenko; E. Walterowna Zur Muhlen, Com menti sull’arte russa, ecc.). Tuttavia, il solo L. Vitali rileva giustamente che una nota editoriale chiariva quale era la posizione della rivista nei confronti dell’arte straniera. La nota infatti asseriva che la rivista si era « riservata ogni libertà di giudizio laddove iniziati e iniziatori di questo movimento vengono a trovarsi in dissidio cogli ideali per cui la rassegna nacque a dar forza.» (L. VITALI, Morandi, ed. Del Milione, 1964). La concezione delle arti figurative nella politica culturale del fascismo 9 La rivalutazione dell’arte del passato, compresa quella del' l’Ottocento, il disdegno per quella straniera, soprattutto francese, la chiusura, in fondo, del colloquio iniziato dal Futurismo, che sono i motivi conduttori della rivista, sembrano corrispondere alla volontà, che allora appariva necessità, di affermazione politica del- l’Italia nei confronti delle altre nazioni vincitrici. Per Savinio, Carrà, De Chirico, Soffici, l’Italia doveva defi' nitivamente uscire dalla situazione di isolamento cui era relegata e che si rivelava « tragicamente incompatibile con la sua alta natura ». Essa doveva generare un’arte capace di imporsi al mon' do, come quella rinascimentale, perchè « non fossero gli esempi del passato, solo il lavoro di continua genesi confermerebbe il fatto che più di ogni altro popolo tendiamo alla ragione classica » I2. Il futurismo si era risolto, dunque, in un tradimento delle aspira- zioni italiane al primato nel mondo. Scriveva Carrà: « Uscendo dal provincialismo tendono gli Italiani a traversare quella zona morta che, secondo gli ignoranti, separa noi dai limiti raggiunti dai Francesi. Si tratterebbe insom' ma, per i pittori nostri, di mettersi al livello di Parigi. Errore grossolano [...] l’arte francese è un empirismo: guardiamoci dal- l’imitarla! ». «L’Impressionismo [...] fu il contro altare dell’italianismo [...]. E se l’arte nuova non ha da essere servile alle forme del passato », quelli che sostengono una simile obiezione « son quelli che la fanno poi piaggiatrice servile delle forme straniere ». Carrà faceva pubblica ammenda della sua passata adesione al Futurismo: «Anni fa, scrivendo su ’ La Voce ’ della ingrata confusione dovuta al predominio di alcuni elementi futuristi che ci avevano per così dire preso la mano, [...] ci parve necessario ristabilire in funzione i principi fondamentali della pittura [...] » I3. « E’ più di mezzo secolo che non si fa che dimostrare un’arte e una estetica sower- titrici. Ora, però, dopo essere stato sensuale e materialista, l’ar tista va ridiventando mistico, o, ciò che è lo stesso, idealista pla tonico scopritore di forme » u. Il linguaggio cominciava a risentire, anche sulle riviste di 13 E. Savinio, Fini dell’Arte, «Valori Plastici», 1919, 1, 4, pp. 17-21. 13 C. Carrà, Il Rinnovamento della pittura in Italia, « Valori Plastici », 1910, li, 4, pp. 34. 11 C. Carrà, Canova e il neoclassicismo, « Valori Plastici », 1920, II, 6, p. 93. IO Carla Sanguineti Lasagna arte, della contemporanea pubblicistica antibolscevica. Carrà, pre sentando il suo studio su Canova, dichiarava di volerlo rivolgere ai « lumi di luna estetico-bolscevichi » che lo avevano disprez zato. Anche Severini, da Parigi, rinnegava il Futurismo e il Cu bismo ribadendo la necessità di superare la pittura francese, inca pace di soddisfare le nuove esigenze di ordine e ricostruzione diffuse ovunque: « [...] Credo che noi tre si sia d’accordo [Carrà, Severini e Soffici] su certe cose essenziali; restando in contatto potremo sempre più accordarci e stabilire un centro di azione che può avere le migliori conseguenze. Si tratta di far trionfare la nostra idea in fatto di ’ regola ’ ; non c’è che l’estetica dei maestri ita liani, alla quale tutti i maestri dovettero in fondo riferirsi, che possa dettarne una. Bisogna riconquistare sulla Francia la supre mazia che ci spetta, e ciò non per spirito campanilistico, ma per chè la generazione attuale tende verso l’ordine, la certezza, l’equi librio basato sulla scienza e la supremazia francese, essendo basata sul disordine sulla fantasia e sull’istinto lasciato libero, non cor risponde più alle esigenze ed aspirazioni attuali. Invece la nostra tradizione la soddisfa pienamente; e si può affermare che essa soltanto ci può dare i mezzi di ricostruire la regola o la ’ legge ’ come si dice qui « lo. Non può non stupire la chiarezza con cui Severini parla di « legge » da ricostruire, per l’analogia di linguaggio con il « ri chiamo all’ordine fascista ». Il 1922 che vide la Marcia su Roma, vide anche la nascita del « Novecento » 15 16 che attuava su più larga scala la poetica di « Valori Plastici » e il primo enunciato della politica fascista delle arti su « Gerarchia » per bocca di Soffici 17. Qui Soffici non esitava a dichiarare il ritorno alla tradizione come quello che meglio rispecchiava lo spirito fascista, e introdu ceva un motivo chiaramente pragmatistico, presentando l’arte come 15 C. Severini, Lettera a Soffici, in « Archivi », cit., 1922, II, 6, p. 317. 16 Si costituì a Milano attorno alla « Galleria Pesaro » e riunì allora, all’inizio cioè, solo 7 pittori: U. Oppi, M. Sironi, A. Funi, E. Malerba, A. Bucci, L. Drudeville, P. Marussig. 17 A. Soffici, Il fascismo e l’arte, « Gerarchia », 1922, I, n. 9. « Gerarchia » si pubblicò a Milano mensilmente dal 1922 al 1943. Margherita Sarfatti vi curava nel 1922 una rubrica dedicata alle lettere. Tra gli illustratori era M. Sironi. Il problema delle arti non vi fu più toccato in seguito, sino al 1938. La concezione delle arti figurative nella politica culturale del fascismo ii espressione di un programma politico e, soprattutto, come lo stru mento più efficace per l’affermazione di un partito sul piano cul turale. Anche la concezione dell’arte come «étonnement heureux» veniva da lui violentemente messa da parte: l’arte doveva ade guarsi pienamente e coscientemente alle necessità politiche. Vale la pena di riportare l’articolo quasi per intero, perchè esaurisce tutti gli argomenti che la politica culturale fascista saprà trovare fino al 1938, quando cioè vi aggiungerà definitivamente il tema razziale: « I partiti politici trascurano in generale di includere nel loro programma le idee o i propositi ch’essi hanno circa la funzione delle arti nell’aspetto sociale che preconizzano e che cercano di attuare in un dato paese. I loro teorici e i propagandisti non di cono mai esplicitamente quale sia secondo loro l’indirizzo estetico che meglio corrisponde ai fini che la loro politica si propone, come dicono invece (sebbene di rado e spesso male) quale tendenza filosofica e religiosa è alla base della loro dottrina. Eppure è evidente, per chiunque sappia pensare con una certa profondità, che, essendo le manifestazioni dello spirito uma no tutte connesse tra loro e interdipendenti, ad ogni principio politico deve di necessità corrispondere un principio estetico, come gliene corrisponde uno morale e logico, armoniosamente, come membro corrisponde a membro in un corpo vivo, e che dunque è cosa di massima importanza rendersi o rendere altrui chiaro quale sia questo principio, affine [sic] di applicarlo in luogo di qualunque altro meno confacente, se non addirittura contrastante, con l’insieme della dottrina, nell’applicazione e nel pratico con cretarsi di questa » [...]. « Ora avviene [...] che i partiti ita liani non tengono nel dovuto conto questa verità evidente ed importante [...]. Prendiamo i partiti cosidetti dell’ordine, con servatori borghesi insomma. E’ chiaro che se essi avessero un’idea esatta della connessione che esiste tra tutte le manifestazioni dello spirito, comprenderebbero insieme quanto sarebbe giovevole al conseguimento dei loro scopi la propagazione e l’affermazione di principi estetici — e dunque d’indirizzi e modi letterari ed arti stici — concordanti con quelli della loro dottrina e del loro pro gramma considerati come un aggregato di formule filosofiche, mo rali, sociologiche ed anche economiche; e giacché quella dottrina 12 Carla Sanguineti LaZagna o programma tende alla costituzione di uno stato di solida archi- tettura, forte e disciplinato, ordinato gerarchicamente, saggio e rispettoso di ogni buona tradizione, le forme letterarie ed arti stiche che quei partiti dovrebbero incoraggiare e proteggere con ogni possa sarebbero quelle dove si riscontrano le stesse caratte ristiche; e cioè in questo caso le forme e i tipi che per comodità di discorso definiremmo con la parola di classici [...]. Per il fascismo portato per forza ad una visione d’insie me, [...] i fatti pratici si coniugano spontaneamente a quelli spi rituali, la filosofia si confonde con l’azione, la realtà con l’imma ginazione e quindi la poesia con la politica [...]. E’ vero che per essere più rigorosi e esatti bisognerebbe dire: che trionfi la non arte contro l’arte vera e sublime. Ma se è esatto che ogni poesia ed arte quando sono vive giovano alla gloria della nazione, è anche certo che chi, tra le tante specie, vuol rigenerare l’intero organismo di un paese, deve preferire e farsi banditore di quella che meglio risponde al suo scopo. In ogni caso non scegliere e patrocinare quella che gli è contraria [...]. Qual’è dunque la specie d’arte che il fascismo dovrebbe dif fondere e far trionfare? 11 fascismo non dovrebbe per esempio patrocinare legitti mamente tutte quelle forme letterarie ed artistiche che chiame remo filistee, le quali, rispecchiando uno stato d’animo volgare materialistico, o teatrale, o un sentimento da piccoli borghesi, o da socialisti, guidano lo spirito stesso verso la prosaicità, il sen sualismo grossolano, o la vigliaccheria democratica. Similmente le sue preferenze non possono andare verso forme, sia pure meno bestiali ma che sono di derivazione esotica, o il risultato di imi tazione di cose straniere, anziché il prodotto di un’assimilazione e di un’elaborazione personale di certi elementi i quali, ancorché pervenutici fuori via, vengano trasformati e perciò resi nostri. Ma quello che più importa sapere è un’altra cosa ancora, e cioè quale sarà tra le diverse tendenze dell’arte indigena di un dato periodo (poniamo l’attuale) quella che il fascismo dovrà favorire secondo le nostre premesse. E poiché queste tendenze nel momento pre sente sono (nelle grandi linee) due : la tendenza reazionaria o quella rivoluzionaria, quale di esse riterremo meglio rispondere alla nostra teorica e alla nostra pratica? Sarà quella di coloro i quali, partendo da questo concetto: essere l’arte del remoto passato
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