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La cittadella interiore. Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio PDF

336 Pages·1996·11.367 MB·Italian
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Pierre Hadot La cittadella interiore Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio Presentazione di Giovanni Reale Traduzione di Andrea Bori e Monica Natali Prefazione Presto tu avrai dimentkato tutto, presto tutti ti avranno dimenticato! (Pensied, VII 21) Su questo punto Marco Aurelio si è sbagliato. Diciono secoli (quasi duemila anni!) sono trascorsi dalla loro composizione, e i Pensieri sono sempre attuali. Queste pagine non sono state riservate unicamente a qualche aristocratico dell'intelligenza, come Shaftesbury, Federico II o Goethe, ma, nel corso dei secoli e ancora oggi, hanno fornito delle ragioni per vivere a numerosi sconosciuti, che le hanno potute leggere nelle molteplici traduzioni che ne sono state fatte da un capo all'altro della terra. Sorgente di saggezza inesauribile, «Vangelo eterno», ha detto Renan. Apparentemente, i Pensieri di Marco Aurelio non riservano alloro lettore particolari difficoltà. Gli aforismi o le brevi disserta zioni si succedono senza un legame apparente e, sfogliando queste pagine, il lettore finisce per trovare la formula sorprendente o com movente, che sembra parlare di per sé, senza alcun bisogno di inter pretazione. D'altra parte, non si tratta di un testo che si possa legge re tutto d'un fiato. Occorre tomarci sopra spesso, per scoprirvi, a seconda dei giorni, un nutrimento spirituale adatto al nostro stato d'animo di quel momento. Il lettore moderno può comprendere perfettamente il tale o il talaltro aforisma di Marco Aurelio, come quello che noi abbiamo citato nell'epigrafe. Nei Pensieri c'è qualcosa che ci attira sempre, sentenze di una limpidezza che non potrà mai invecchiare. Limpidezza ingannatrice, dunque! Infatti, accanto a queste for mule, ve ne sono altre molto più oscure, e che sono state interpreta te in maniera molto differente dagli storici. Il senso generale del libro,la sua finalità, alcune sue affermazioni, sono per noi assai diffi cili da cogliere. D'altra parte, questa non è una caratteristica peculia re di Marco Aurelio. Per tutta una serie di ragioni, delle quali la lon tananza temporale non è la più importante, la nostra capacità di comprendere le opere antiche è andata oscurandosi sempre più. Per ritrovarla, occorrerà praticare una sorta di esercizio spirituale, di ascesi intellettuale, per liberarci dai numerosi pregiudizi e per risco prire ciò che per noi è quasi un altro modo di pensare. È quello che cercheremo di fare nel corso di quest'opera. Ma, prima di inoltrarci su questa strada, sarà bene prendere coscienza di questi pregiudizi e di queste illusioni che rischiano di ingannare il lettore moderno nel PIERRE HADOT momento in cui egli intende affrontare la lettura di un'opera dell'Antichità. Innanzitutto, si immaginerà forse che, a partire dalla ormai lonta na epoca in cui è apparso, questo testo sia rimasto sempre il medesi mo, come se si tranasse di un libro pubblicato di recente. Ma non si deve dimenticare che si tratta di un testo antico che non fu stampa to: durante i secoli è stato più volte ricopiato a mano, introducendo vi così una serie di errori di copiatura. Non si deve attribuire tutta la colpa ai copisti antichi, poiché, anche nei nostri testi contemporanei, benché stampati con ogni cura, si trova una serie di imprecisioni che deformano talvolta il pensiero dell'autore o lo rendono inintelligibi le. Ma questa è un'altra storia. Comunque sia, non si ripeterà mai abbastanza che è grazie agli sforzi degli esperti che ricercano e clas sificano i manoscritti nei quali sono state conservate le opere dell'Antichità e che cercano di ricostruire, attraverso un metodo cri tico di classificazione degli errori, la redazione originale del testo, che noi oggi possiamo leggere le opere antiche in uno stato quasi soddisfacente, che, però, non porrà mai essere assolutamente perfet to. Mi sia permesso di insistere su questo punto, benché talvolta completamente ignorato dalle considerazioni scientifiche degli stu diosi o da alcuni storici della filosofia, i quali credono che si possa dissertare di teorie del tale o talaltro autore antico, senza sapere ciò che egli ha realmente scritto. Nel caso di Marco Aurdio, comunque, come torneremo a ripetere, regna la più grande incertezza su alcune espressioni nei suoi scritti. Ciò non intacca, tuttavia, l'insieme dell'o pera, ma alcuni passaggi presentano delle difficoltà pressoché inso lubili, e non bisognerà sorprendersi che questi problemi si ritrovino anche nelle traduzioni che sono state fatte di questo autore. Poiché il lettore moderno ha la tendenza a immaginare troppo spesso che non vi sia che una sola traduzione possibile del testo greco, egli rimarrà sorpreso di constatare delle divergenze spesso considerevoli. Ma questo dovrebbe fargli prendere coscienza della distanza che ci separa dagli Antichi. La traduzione presuppone, in effetti, una scelta rispetto al testo greco, nel caso in cui, come abbia mo visto, quest'ultimo è talvolta incerto. Ma le esitazioni dei tradut tori corrispondono anche alle difficoltà che essi incontrano nel com prendere il testo, e alle interpretazioni talvolta radicalmente diffe renti che essi ne propongono. Nel caso di Marco Aurelio, per esem pio, numerosi sono gli studiosi che non hanno saputo rendere in maniera esatta i termini tecnici, propri del sistema stoico, che si incontrano in ogni pagina dei Pensieri. D'altronde, sempre od caso di Marco Aurelio, la suddivisione del testo in capitoli è molto incer ta e, sovente, i limiti di ciascun «pensiero» non sono affatto sicuri. La presentazione stessa del testo potrà, dunque, variare molto. Infine, illenore moderno potrà pensare (e nessuno è al riparo da questo errore) che l'aurore antico viva in un mondo intellettuale identico al proprio. Egli considererà le affermazioni dell'autore anti co esattamente come se fossero queUe di un autore contemporaneo. Crederà, dunque, di comprendere immediatamente ciò che ha volu to dire l'autore, ma, in effetti, ciò avverrà in modo anacronistico, ed egli rischierà di incorrere in grossolani controsensi. È vero che oggi è consuetudine affermare che, in ogni caso, noi siamo incapaci di sapere esattamente ciò che l'autore ha voluto dire, e che questo, d'altronde, non ha nessuna importanza, dato che noi possiamo dare alle opere antiche il senso che preferiamo. Per parte mia, senza entrare nel merito di questa polemica, direi che prima di scoprire i sensi «non voluti», mi sembra possibile e necessario scoprire il senso «va/uta» dall'autore. È assolutamente indispensabile tendere alla ricostruzione di un senso di base, al quale si potrà far riferimento in seguito per scoprire, se lo si vorrà, il senso di cui l'autore stesso non ha potuto essere consapevole. Ma è vero che questo tipo di ricostru zione è per noi estremamente difficoltoso, dato che noi proiettiamo nel passato atteggiamenti e intenzioni che sono propri della nostra epoca. Per comprendere le opere antiche, è necessario collocarle nel loro contesto, nel senso più ampio del termine, che può significare tanto la situazione concreta, sociale e politica, quanto l'universo del pensiero, retorico e filosofico. Bisogna ricordare che i meccanismi della composizione letteraria erano all'epoca estremamente diversi da quelli dei nostri giorni. Nell' Antichità, le regole del discorso erano rigorosamente codificate: per dire ciò che voleva dire, un autore doveva farlo in una certa maniera, secondo modelli tradizio nali, secondo i dettami della retorica o della filosofia. I Pensieri di Marco Aurelio, per esempio, non sono l'effusione spontanea di un'a nima che vorrebbe esprimere immediatamente i suoi sentimenti, ma sono un esercizio realizzato secondo alcune regole ben definite; que ste presuppongono, come vedremo in seguito, un canovaccio preesi stente, sul quale l'imperatore-filosofo non può fare altro che ricama re. Spesso, egli dice alcune cose solo perché bisogna che egli le dica, in virtù di modelli e di precetti che gli vengono imposti. Si porrà, dunque, comprendere il significato di quest'opera solo dopo aver scoperto, rra le alrre cose, gli schemi preordinati che le fanno da sfondo. La nostra proposta, dunque, che è quella di offrire al lettore moderno un'introduzione alla lettura dei Pensieri, forse non sarà inutile. Cercheremo di scoprire ciò che Marco Aurelio ha voluto fare scrivendoli, cercheremo di precisare il genere letterario al quale essi appartengono, cercheremo soprattutto di definire il loro rapporto con il sistema filosofico che li ispira, e, infine, senza fare una biogra- fia dell'imperatore, cercheremo di svelare ciò che traspare di lui nella sua opera. Ho insistito nel citare ampiamente i Pensieri. Detesto quelle monografie che, invece di restare aderenti al testo originario e di dare la parola all'autore, si perdono in elucubrazioni oscure che pre tendono di fornire una decodificazione e di rivelare il non detto del l'autore, senza che illenore abbia la minima idea di ciò che egli ha realmente «detto)). Un tale metodo, sfortunatamente, permette ogni tipo di deformazione e di stortura interpretativa. La nostra epoca è awincente per molte ragioni, ma, troppo spesso, la si potrebbe defi nire da un punto di vista filosofico e letterario come l'era del contro senso, se non del gioco di parole: non importa che cosa non importa a proposito di che cosa! Citando Marco Aurelio, ho voluto che il mio lettore prendesse contatto con il testo stesso, che è superiore a qualsiasi commentario; ho voluto che egli prendesse coscienza di come la mia interpretazione si sforzi di basarsi sul testo originario e che potesse così verificare direttamente e immediatamente le mie affermazioni. La traduzione che propongo è interamente originale: lavoro da più di vent'anni su Marco Aurelio, segnatamente in vista di una nuova edizione e traduzione dei Pensieri, che apparirà nei prossimi anni: nel corso di questo lavoro, interpretazione e traduzio ne sono andate di pari passo; è per questo che io non ho potuto quasi mai, per illustrare i miei progressi, rinviare il lettore a tradu zioni già esistenti, le quali, essendo molto diverse dalla mia, non avrebbero potuto corrispondere esattamente all'idea che mi sono fatto dell'opera dell'imperatore-filosofo. Ringrazio cordialmente Bemard Clesca, per la sua pazienza e per i suoi consigli, BIanche Buffet, Simona Noica, )ean-François Balaudé, che mi hanno fornito un prezioso aiuto nella correzione delle bozze, e Wojtek Kolecki, che ha redatto gli indici e ha svolto per me alcune ricerche bibliografiche. Note sulla traslitterazione dei termini greci e sulle citazioni dei Pensieri di Marco Aurelio e delle Diatribe di Epitteto Talvolta, nel corso del mio lavoro, è stato utile fare riferimento ad alcu,l}(termini tecnici propri della filosofia stoica. Ho cercato di for nire di questi termini la traslitterazione più semplice possibile, utiliz zando l'é per la lettera eta e 1'6 per la lettera oméga. Per non moltiplicare inutilmente i rimandi alle note, i riferimenti agli scritti di Marco Aurelio e di Epineto sono stati indicati tra parentesi nel testo. In entrambi i casi, la prima cifra corrisponde al numero del libro, la seconda al numero del capitolo, e la terza al numero del paragrafo nel capitolo. Salvo indicazione contraria, i riferimenrj forniti alle pagine 61-73 rinviano sempre al testo delle Diatribe di Epitteto. Il testo greco di Marco Aurelio sul quale si basa la traduzione è quello di W. Theiler (Marc AureI, Wege lU sich selhst, Ztirich, Artemis Verlag, 1974). Capitolo primo L'imperatore-filosofo 1. Una giovinezza felice, un regno tormentato Il futuro Marco Aurelio, che avrebbe ricevuto più tardi questo nome, in seguito alla sua adozione da parte dell'imperatore Aurelio Antonino il Pio, nacque a Roma nd 121 e portò dapprima il nome di Marco Annio Vero. Le famiglie di suo padre e di sua madre pos sedevano numerose fornaci per la produzione di mattonil, il che rappresentava un'immensa fortuna e un investimento notevole di capitali. Questa ricchezza permetteva di esercitare un'influenza poli tica, e i proprietari di fornaci spesso riuscivano a occupare posti di rilievo nella vita pubblica, dai quali potevano influenzare la pro grammazione edilizia, come fu il caso del nonno di Marco Aurelio. Dopo la morte del padre, avvenuta nella sua prima infanzia, egli fu notato, protetto e favorito dall'imperatore Adriano. Poco prima di morire, nel 138, costui, per assicurare la sua successione, adottò Antonino, lo zio acquisito del futuro Marco Aurelio, chiedendogli di adottare quest'ultimo e al tempo stesso Lucio, il figlio di Elio Cesare, un personaggio che Adriano aveva scelto come erede e che era appena morto. Il lO luglio 138 Antonino succede ad Adriano. Un anno dopo, all'età di 18 anni, il futuro Marco Aurelio è insignito del titolo di Cesare e, nel 145, sposa Faustina, la figlia di Antonino. Da questo matrimonio nascono tredici figli, dei quali solo sei vivono oltre l'in fanzia: cinque femmine e un maschio, il futuro imperatore Commod02. Lo scambio epistolare con Frontone, suo maestro di retorica, che si protrae per quasi trent'anni, dal 139 al 166 o 167 (data della morte di Frontone3) -, ci fornisce preziosi dettagli su questo periodo della vita di Marco Aurelio e sull'atmosfera alla corte di Antonino: la vita familiare, le malattie dei bambini, la caccia, la vendemmia, gli studi e le letture del futuro imperatore, gli esercizi di retorica che egli pun tualmente invia a Frontone, la tenera amicizia che lega il maestro e l'allievo, così come la famiglia di Marco Aurelio e quella di Frontone. Alla morte di Antonino (160, Marco Aurelio, a trentano ve anni, diventa imperatore e associa immediatamente al potere imperiale Lucio Vero, suo fratello adottivo. L'anno stesso della loro ascesa al trono, i Pani invadono le pro- lO vince orientali dell'Impero. La campagna militare comincia con una sconfitta disastrosa per l'Impero romano. Lucio viene allora inviato in Oriente, clove, sotto la guida di due generali agguerriti, Stazio Prisco e Avidio Cassio, le truppe romane riprendono il sopravvento (163·166), invadono il regno dei Parti e si impadroniscono di Ctesifante e Seleucia. Dopo la vittoria (166), appena terminate le cerimonie indette per il trionfo dei due imperawfi, le notizie più allarmanti provengono da un'altra frontiera dell'Impero. Alcune tribù germaniche nomadi della regione del Danubio, i Marcomanni e i Quadi, minacciano il Nord dell'Italia. I due imperatori intervengono di persona per risol levare la situazione e passano l'inverno ad Aquileia. Ma all'inizio del 169 Lucio muore nella carrozza in cui si trovava con Marco Aurelio. Dal 169 al 175 l'imperatore deve condurre operazioni militari nelle regioni danubiane. Proprio all'apice del successo, nel 175, gli giunge la notizia della ribellione di Avidio Cassio, il quale, grazie a una congiura che si estende in diverse province d'Oriente e dell'Egitto, si è fatto procla mare imperatore. La fedeltà di Marzio Vero, governatore della Cappadocia, salva probabilmente Marco Aurelio. In ogni caso, nel momento in cui l'imperatore si prepara a partire per l'Oriente, apprende dell'assassinio di Avidio Cassio, il che mette fine a questo episodio tragico. Marco Aurelio decide comunque di fare un viaggio nelle pro vince orientali, accompagnato da Faustina e dal loro figlio Commodo. Si reca in Egitto, in Siria e in Cilicia, dove Faustina muore. Gli storici antichi si sono esercitati nel ricordare i numerosi adultèri di Faustina. L'imperatore, nonostante tutti questi pettego lezzi sulla moralità della consone, fu molto colpito dalla sua scom parsa, e, nei Pensieri (I 17, 18), evoca con emozione sua moglie «così docile, così amorevole, così semplice nella sua vita». Ritornando a Roma, l'imperatore passa per Smirne, poi è ad Atene, dove, con Commodo, viene iniziato ai misteri eleusini. A Roma hanno luogo, il 23 dicembre 176, le feste per il trionfo sulle popo lazioni germaniche e sui Sàrmati, ma, nel 178, Marco Aurelio deve ripartire per la frontiera danubiana. Muore a Sirmium o a Vienna il 17 marzo 180. Più ancora che dalle guerre, l'Impero fu devastato dalle catastro fi naturali, dalle inondazioni del Tevere (161), dai terremoti di Cizico (65) e di Smirne (78), e soprattutto dalla terribile epide mia di peste giunta dall'Asia e portata dagli eserciti romani dalla guerra contro i Parti (66). Come ha dimostrato].E Gilliam4, la peste non fu la causa dello spopolamento descritto da alcuni storici, che ne hanno fatto la causa determinante della decadenza di Roma,

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