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Karl Marx. La soggettività come prassi PDF

119 Pages·2019·0.929 MB·Italian
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Federico Chicchi Karl Marx La soggettività come prassi © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale 2019 da prima edizione in “Eredi” aprile 2019 Ebook ISBN: 9788858834763 In copertina: illustrazione di Umberto Mischi. Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Introduzione Sull’inattualità del pensiero di Karl Marx Dobbiamo, innanzitutto, mettere le nostre carte sul tavolo. Il lettore che voglia avventurarsi tra queste pagine sappia subito che non troverà una ricostruzione sistematica del pensiero di Marx. Non si tratta di proporre qui un testo che voglia, anche solo parzialmente, ambire alla ricostruzione o all’interpretazione esaustiva del pensiero di Marx. Non ne abbiamo né i mezzi né le possibilità. Una ricostruzione antologica del pensiero del grande filosofo tedesco richiederebbe gli sforzi di una vita, di una vita dedicata per intero all’analisi e allo studio della sua opera (e pure al modo in cui quest’ultima è stata proposta in ambito editoriale negli anni successivi alla sua morte). Molto più modestamente, quella che intendiamo presentare nelle pagine seguenti è una analisi di alcuni concetti marxiani che pensiamo essere indispensabili per la comprensione dei processi di trasformazione sociale del contemporaneo. L’eredità di Marx non può andare perduta, soprattutto se si è convinti, come lo siamo fortemente noi che scriviamo, che il tempo presente debba essere trasformato con urgenza. Ecco allora che diventa fondamentale e non rinviabile lavorare sull’inattualità – in senso nietzschiano – del pensiero marxista. Dove, per inattualità, dobbiamo assumere il tentativo di “intendere come danno, colpa e difetto dell’epoca qualcosa di cui l’epoca va a buon diritto fiera”.1 Per andare in questa direzione occorre fare i conti fino in fondo con alcune questioni che hanno trovato in Marx e nel marxismo il loro naturale alveo di scorrimento concettuale. Sono le stesse questioni che ci impongono un confronto aperto con l’inattuale. Al contempo deve essere chiaro, a chi leggerà il testo, che Marx verrà qui presentato non recluso nella sua torre di avorio, ossia dentro il feudo del lessico specialistico che ha rilasciato il marxismo senza fare economie, ma nello spregiudicato confronto con pensatori cui insolitamente, o comunque non troppo frequentemente, viene accostato. Tale operazione concettuale è quella che segnerà l’originalità, se si riuscirà a distillarla e a metterla in forma, di questo nostro breve lavoro dedicato al filosofo de Il Capitale. A chi ci riferiamo? A pensatori che appartengono a diverse collocazioni disciplinari e che ci serviranno per fare i conti e prendere una certa distanza dal marxismo, intendendo per marxismo una posizione di aderenza acritica ed esclusiva verso il lessico marxiano. Chi scrive ha una formazione sociologica, ma siamo fortemente convinti che il sapere autentico (mi si passi questa definizione pretenziosa) si produca soltanto nel momento in cui si accetta di avventurarsi al di fuori degli steccati all’interno dei quali il sapere universitario si è rintanato per comodità esplicativa, leziosità accademica e/o conformazione identitaria. Marx è prima di ogni altra cosa un pensatore della prassi umana, e quest’ultima non è mai sezionabile in parzialità disciplinari. Ogni disciplina che ci sentiremo di esplorare, per affrontare il compito di raccontare il nostro Marx e la sua eredità, sarà qui la benvenuta. L’inattualità di Marx di cui dicevamo poc’anzi è in primo luogo un’indicazione della grande capacità che il suo pensiero ha di mostrare l’elemento ideologico e artificiale di ciò che oggi tende a essere dato per scontato. In altre parole, il marxismo torna a essere apprezzabile proprio nel punto più interessante su cui si è costituito, e cioè nella fondazione della critica all’ideologia borghese, prima, e nella critica dell’economia politica, poi. L’inattualità del marxismo cui ci stiamo riferendo è allora rinvenibile nella sua insuperata capacità di rivelare il rovescio delle cose, ovvero rendere visibili le trame che attraversano la realtà tessendone le manifestazioni. Il pensiero di Marx è, infatti, un’interrogazione continua di ciò che troppo spesso tendiamo ad assumere come intrinsecamente necessario e per questo a non problematizzarlo. Dove risiede in Marx il fulcro di tale specifica predisposizione? Nella sua straordinaria attitudine a cercare di individuare l’elica del rapporto sociale vigente, di assumere la qualità dei caratteri fondamentali che orientano (anche strutturalmente) il funzionamento del sistema capitalistico e, con esso, delle sue complesse fenomenologie sociali che in suo seno si organizzano e riproducono. Innanzitutto, dunque, è la qualità dinamica di questo modo sociale di produzione che ci interessa e che cercheremo, attraverso Marx, di ricostruire di seguito. La dinamica è realizzata dal capitale in un modo assolutamente preciso: attraverso lo sfruttamento del lavoro vivo. “Il lavoro vivo è sussunto e posto come condizione della perpetuazione del valore sociale del capitale.”2 “Il lavoro è fuoco che dà vita e forma.”3 “Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.”4 Il capitale è dunque un organismo in continua trasformazione che risponde però ad alcuni presupposti (o assiomi) che non possono non ripetersi continuamente e che restano distanti dalla polemica contingente dei rapporti di forza storico-sociali che di volta in volta si producono al di sopra delle sue stratificazioni. Individuare tali assiomi a partire dalle analisi marxiane sul capitalismo sarà il nostro obiettivo principale. Esiste, potremmo dire, una sorta di inconscio del capitalismo che orienta la ragione del mondo, il modo di osservare il mondo. Qualcosa che spinge in una direzione e che attraverso i suoi fantasmi interviene a motivare le scelte e a condizionare l’estetica soggettiva. Attraversare tali fantasmi, per svelarne l’architettura e la qualità, per trasformarli e quindi superarli è stata una delle principali vocazioni di Marx. Cercheremo di renderne conto. Questo volume si costruisce sulla base delle questioni che interrogheremo a partire dal pensiero di Karl Marx. Quali sono? In primo luogo, dovremo intendere il metodo di Marx, e il primo capitolo sarà dedicato a ricostruire quelli che potremmo definire come i presupposti del suo pensiero. Il rapporto di Marx con il materialismo storico e l’idealismo saranno il punto di partenza e la chiave di violino per tentare di indicare la qualità della soggettività così come egli l’ha intesa durante il suo lungo insegnamento. Il secondo capitolo sarà invece dedicato a definire il capitalismo e le sue principali determinazioni (che strizzando l’occhio alla psicoanalisi chiameremo anche come i suoi sintomi). In particolare, cercheremo di precisare cosa il capitalismo deve continuamente ri-attualizzare per garantire nel tempo storico il suo funzionamento. Durante questo impervio attraversamento metteremo dunque in evidenza anche alcuni dei limiti che il pensatore tedesco ha manifestato nella sua lunga e attenta analisi di questo modo di produzione specifico. Nel terzo capitolo proveremo ad avviare un movimento che ha come obiettivo quello di toccare alcuni dei concetti marxiani fondamentali, non tutti ovviamente, ma quelli “catturati” e “catturabili” dentro la nostra specifica prospettiva di analisi: alienazione, forza-lavoro, plusvalore, sussunzione, lavoro vivo, lavoro astratto. Il quarto capitolo sarà invece dedicato a ricostruire lo scheletro di una delle più entusiasmanti vicende dell’opera marxiana: il feticismo delle merci. Tale questione è a nostro avviso fondamentale per comprendere la fecondità del pensiero marxiano, e troverà qui, per questa nostra convinzione, uno spazio adeguato alla sua discussione e attualizzazione. Cercheremo in proposito anche di sostenere che la questione del feticismo non occupa in Marx una posizione marginale e secondaria rispetto al respiro complessivo della sua opera, e che, al contrario, è questa stessa riflessione, di taglio per così dire anche antropologico, che sorregge tutto il suo sforzo rivoluzionario. Nel quinto e ultimo capitolo cercheremo, infine, di indagare una teoria dello sfruttamento (e per converso della rivoluzione) a partire dai limiti della proposta marxiana. Per limiti vogliamo intendere qui non tanto una loro funzione di trattenimento della teoria bensì il punto saldo da cui oggi ripartire per spingere in avanti un pensiero che non rinunci a fare dell’altrove il suo riferimento. Questo libro è il frutto diretto e indiretto di molti incontri. In tal senso mi sento debitore, per aver ricevuto supporto e stimoli alla scrittura, nei confronti di molte persone che non posso per vastità nominare una per una. Vorrei però trasformare qui questo sentimento in un ringraziamento circoscritto almeno nei confronti di alcuni. In particolare desidero ringraziare Massimo Recalcati, Giuseppe Chicchi, Luciano Chicchi, Michele La Rosa, Alex Pagliardini, Pierre Dardot, Vando Borghi, Paolo Zurla, Stefano Lucarelli, Emanuele Leonardi, Andrea Fumagalli, Cristina Morini, Lelio Demichelis, Franco Berardi, Ana Hounie, Laura Bazzicalupo, Antonio Tucci, Nicolas Martino, Ilaria Bussoni, Anna Simone, Pino Pitasi, Maria Laura Bergamaschi e tutto il gruppo di “Pensare il rovescio”. Mia moglie Patrizia, le mie figlie Irene e Lucia, infine, last but not least, la mia gatta Dorothy. Questo libro è dedicato al compianto Pietro Bellasi, che mi ha insegnato a vedere l’arte nell’antagonismo e l’antagonismo nell’arte. 1. Il metodo di Marx […] se c’è stato un momento in cui Freud è stato rivoluzionario, è nella misura in cui ha messo in primo piano una funzione introdotta anche da Marx – è del resto l’unico elemento che abbiamo in comune –, la quale consiste del considerare un certo numero di fatti come dei sintomi. J. LACAN, Il seminario. Libro XVIII, p. 18 1. Abolire lo stato delle cose presenti Quando si prende in mano per la prima volta il testo di Marx se ne resta subito impressionati. C’è un acume lirico, un sarcasmo raffinato, una pulsante voglia di convincere il lettore rispetto alla tesi proposta, tesi che viene lavorata sempre, in ogni fase del suo “insegnamento”, con una precisione metodologica e, al contempo, una capacità interpretativa sorprendenti. Eppure il suo pensiero non appare mai sopra le righe, mai portato all’eccesso, e al contrario è, senza perdere di vivacità, sempre ordinato e puntuale. A volte, mentre si legge, ci si lascia sorprendere e guidare come rapiti dalle sue argomentazioni. Si capisce subito, leggendo Marx, di essere in presenza di un pensatore acutissimo, coltissimo, capace di lasciare la sua indelebile impronta nella coscienza e nella storia del pensiero umano. Viene da aderire alle parole di Lenin quando, nel 1913, descrivendo la dottrina di Marx, commentava: “Essa è completa e armonica e dà agli uomini una concezione integrale del mondo, che non può conciliarsi con nessuna superstizione, con nessuna reazione, con nessuna difesa dell’oppressione borghese”.1 Al di là di tale consistenza immaginaria evocata da Lenin (non mancano a dire il vero in Marx, come in ogni pensatore che possa dirsi classico, le contraddizioni e le aporie), siamo fermamente convinti che per entrare nel cuore del pensiero di Marx occorra innanzitutto individuare il suo orizzonte. L’orizzonte è al contempo lo spazio aperto e il limite all’interno del quale ci si muove per fondare l’analisi. Inoltre, tale orizzonte ci pare possa coincidere, per approssimazione, con le peculiarità del suo metodo. Inteso però, quest’ultimo, non solo e non tanto nella sua accezione tecnica e procedurale, bensì in quella più ampia ed etimologica di cammino. Seguendo l’intuizione del filosofo francese Étienne Balibar,2 riteniamo quindi che lo spazio all’interno del quale il pensiero e il cammino del filosofo di Treviri si muovono sia circoscrivibile a partire da una questione molto precisa: la prassi. La questione della prassi tocca infatti una serie di assi portanti del pensiero marxiano su cui occorre soffermarsi prima di “inasprire” la nostra analisi sulla eredità di Marx. Gli assi cui ci riferiamo riguardano innanzitutto il rapporto del filosofo con il metodo dialettico e la tradizione hegeliana e, in secondo luogo, in forte tensione con questa, la definizione di una sua (certo non priva di aspetti controversi) antropologia, che in ogni caso metterà sottosopra, dopo la sua formulazione, il modo tradizionale di guardare al politico come spazio privilegiato del rapporto tra uomo e natura e tra uomo e storia. Di che si tratta, più specificamente? È la necessità, secondo Marx, di individuare un soggetto pratico capace di dissolvere l’ordine esistente, di rivoluzionare i rapporti sociali vigenti e, così facendo, di cambiare il modo di fare esperienza del mondo. Questo soggetto, come è noto, ha per Marx anche uno statuto collettivo e storicamente determinato: il proletariato. Ma facciamo un passo indietro e proviamo a individuare alcuni dei passaggi cruciali dell’opera marxiana, opera che a partire dagli anni quaranta del Diciannovesimo secolo trova un primo e importante momento di definizione. Il durissimo corpo a corpo che Marx intrattiene con Hegel3 a partire da quegli anni è cosa per lo più nota e non ci è possibile, ovviamente, ricostruirlo qui. È utile tuttavia sottolineare come da tale disputa, giocata su più livelli, Marx arrivò a concepire la sua nuova concezione del politico.4 Più nello specifico, come ha ben sottolineato, fra i tanti, Petrucciani,5 la critica di Marx a Hegel si precisò per la prima volta in un corposo manoscritto di commento della Filosofia del diritto hegeliana, uscito molto probabilmente nella primavera-estate del 1843.6 In questo commentario Marx, attaccando apertamente la visione sovranista e statalista di Hegel, accusò quest’ultimo di operare un rovesciamento inaccettabile tra empiria e speculazione, tra esperienza e concetto. “Questo rovesciamento del soggettivo nell’obiettivo e dell’obiettivo nel soggettivo (rovesciamento che proviene da ciò, che Hegel vuol scrivere la storia dell’astratta sostanza, dell’idea, e che l’umana attività deve dunque apparire come attività e risultato di qualcosa d’altro, e che Hegel vuol fare agire come una immaginaria individualità l’essere dell’uomo per sé, invece di lasciarlo agire nella sua reale, umana esistenza) ha necessariamente il risultato che acriticamente viene assunta una empirica esistenza come la reale verità dell’idea […].”7 In Hegel, il giovane Marx aveva certo trovato, al di sotto del robusto camuffamento mistificatorio dell’idealismo, un viatico irrinunciabile per sostenere la costruzione della sua nascente teoria materialistica. “L’importante lavoro preparatorio di Hegel per l’indagine materialistica della società di Marx era consistito nell’aver egli visto in generale per la prima volta, in forma idealistica, questo nesso materiale e nell’averne fatto il tema di una esposizione filosofico-scientifica.”8 Si trattava per Marx di capovolgere l’idea – e questo però senza sacrificare il movimento dialettico che si realizza attraverso le contraddizioni – di un mondo storico-sociale e oggettivo che trovava in Hegel definizione solo a partire da un movimento che cadendo dall’alto verso il basso muoveva poi inesorabilmente in direzione della determinazione dello spirito assoluto.9 Il capovolgimento da operare non aveva a che fare solamente con la necessaria critica verso l’idea dello Stato che Hegel aveva posto a compimento reale del movimento terreno dello spirito assoluto, ma doveva coinvolgere anche tutte quelle manifestazioni “superiori” dello spirito come la religione, l’arte e la filosofia, che vengono spogliate da Marx “dalla loro posizione sovramondana e degradate a semplici ‘forme di coscienza sociale’, che dipendono dai rapporti materiali dell’esistenza”.10 In tal senso, la critica marxiana appare sin dalle sue prime mosse, al contempo, critica del diritto e dello Stato e critica delle sue manifestazioni ideologiche. Non è quest’ultima, come vedremo ancora, cosa di poca importanza per comprendere il pensiero di Karl Marx. Lucio Colletti nell’analizzare il rapporto tra Marx ed Hegel11 tocca, a nostro parere, un punto nevralgico della questione: la concezione di Hegel, dice Marx, “è semplicemente la rappresentazione di una separazione realmente esistente”.12 È ancora una volta la vicenda di una sostituzione, di uno stare di qualcosa al posto di qualcos’altro. “Non diversamente da come nell’idealismo la ‘mistica sostanza’ si sostituisce al soggetto reale, così nella società borghese il citoyen – ‘l’uomo astratto, artificiale, l’uomo come

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