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ita] Anne Rice Un Grido Fino Al Cielo PDF

410 Pages·2016·1.03 MB·Italian
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Preview ita] Anne Rice Un Grido Fino Al Cielo

ANNE RICE UN GRIDO FINO AL CIELO (Cry To Heaven, 1982) Dedicato a Stan Rice e Victoria Wilson con amore PARTE I 1 Guido Maffeo venne castrato all'età di sei anni e mandato a studiare presso i migliori maestri di canto di Napoli. Undicesimo figlio di una numerosa famiglia di contadini, Guido aveva conosciuto soltanto fame e crudeltà; per tutta la vita si ricordò di aver ricevuto il suo primo pasto decente e un letto morbido da coloro che avevano fatto di lui un eunuco. Lo portarono nella città di montagna di Caracena e gli diedero una bellissima stanza, con un vero pavimento di pie tra levigata; su una parete vide per la prima volta nella sua vita un orologio ticchettante e ne fu intimorito. Gli uomini dalle parole gentili che lo avevano portato via dalle braccia di sua madre gli chiesero di cantare per loro e dopo gli diederoin premio un calice di vino rosso con molto miele. Quegli uomini lo spogliarono e lo immersero in un bagno caldo, ma era così piacevolmente assonnato che ormai non aveva paura di nulla. Mani delicate gli massaggiarono il collo e, mentre scivolava nell'acqua, Guido capì che gli stava acca dendo qualche cosa di meraviglioso e di importante. Nessu no gli aveva mai prodigato tante attenzioni. Era quasi addormentato quando lo sollevarono e lo lega rono con delle cinghie sopra un tavolo. Per un attimo gli sem brò di cadere. Gli avevano disposto il capo più in basso dei piedi. Ma si riaddormentò, saldamente legato e quelle mani vellutate che lo accarezzavano in mezzo alle gambe gli diedero un sottile e perverso piacere. Quando avvertì il coltello, aprì gli occhi e urlò. Inarcò la schiena. Lottò con le cinghie. Ma una voce rassi curante gli sussurrò all'orecchio un gentile rimprovero: «Ah, Guido, Guido.» Il ricordo di tutto quello che era accaduto allora non lo abbandonò mai. Page 1 Quella notte si svegliò fra lenzuola candide come la neve, odorose di verdi foglie sminuzzate. E quando scivolò fuori dal letto nonostante il dolore della piccola ferita bendata in mez zo alle gambe, si trovò faccia a faccia con un ragazzino den tro ad uno specchio. Si rese subito conto che si trattava della sua immagine riflessa, che non aveva mai visto prima se non nell'acqua immobile. Vide i suoi neri capelli ricciuti e si palpò tutto il viso, specialmente il piccolo naso schiacciato che gli sembrava un pezzo di creta umida, diverso da quello dell'al tra gente. Un uomo lo sorprese, ma invece di punirlo gli diede una minestra imboccandolo con un cucchiaio d'argento; gli parlò in una strana lingua e lo rassicurò. Alle pareti erano appesi dei piccoli dipinti a colori vivaci, pieni di volti che il sole nascente rese visibili. Guido scorse sul pavimento un paio di scarpine di pelle, lucide e nere, così piccole da adattarsi proprio ai suoi piedi. Sapeva che le avrebbero date a lui. Era l'anno 1715. Luigi XIV, le roi soleil di Francia, era ap pena morto. Pietro il Grande era lo zar di Russia. Nella lontana colonia del Massachusetts, nell'America del Nord, Benjamin Franklin aveva nove anni, Giorgio I era ap pena salito al trono d'Inghilterra. Schiavi africani coltivavano i campi del Nuovo Mondo sui due lati dell'equatore. A Londra si poteva essere impiccati per il furto di una pagnotta e in Portogallo si poteva essere bru ciati vivi per eresia. Quando uscivano di casa, i gentiluomini si coprivano il ca po con grandi parrucche bianche; portavano la spada e fiuta vano tabacco da preziose scatolette decorate. Portavano cal zoni allacciati alle ginocchia, calze lunghe, scarpe a tacco alto e giacche con enormi tasche. Dame con bustini ornati di trine si applicavano sulle guance dei piccoli nei di seta; ballava no il minuetto in crinolina, tenevano salotto, si innamoravano, commettevano adulterio. Il padre di Mozart non era ancora nato. Johann Sebastian Bach aveva trent'anni. Galileo era morto da settantatré anni; Isaac Newton era vecchio e Jean Jacques Rousseau un bam bino. Il melodramma italiano aveva conquistato il mondo. In quell'anno a Napoli ci sarebbe stata la rappresentazione del Tigranne di Alessandro Scarlatti e di Nerone fatto Cesare di Vivaldi a Venezia. Georg Friedrich Händel era il compositore più famoso di Londra. La solatia penisola italiana aveva subito grandi invasioni straniere. L'Arciduca d'Austria governava la città di Milano a nord e il Regno di Napoli a sud. Ma Guido non sapeva nulla del mondo. Non sapeva nem meno parlare la lingua della sua terra natale. Non aveva mai visto niente di più mirabile della città di Napoli e il conservatorio dove lo portarono, con la sua vista della città e del mare, gli sembrava magnifico come un pa lazzo. L'abito nero con la fascia rossa che gli avevano dato da indossare era del tessuto più bello che avesse mai toccato; e quasi stentava a credere che sarebbe potuto rimanere in quel luogo, a cantare e suonare per sempre. Certo non poteva es sere il suo destino! Un giorno lo avrebbero rimandato a casa sua. Ma questo non accadde mai. Page 2 Negli afosi pomeriggi festivi, in lenta processione con gli altri bambini castrati attraverso le strade affollate, con le vesti immacolate, i riccioli bruni puliti e luminosi, era orgo glioso di essere uno di loro. I loro inni fluttuavano nell'aria, mescolati al profumo dei gigli e delle candele. Quando entra rono nella chiesa maestosa, mentre le loro voci sottili cre scevano improvvisamente d'intensità in mezzo a uno splendore che mai aveva conosciuto, Guido provò la sua prima, vera fe licità. Gli anni passarono e tutto procedette bene. La disciplina del conservatorio non era affatto rigida. Guido aveva una voce da soprano che riusciva a mandare in frantumi i vetri; scri veva melodie ogni volta che gli davano una penna e imparò a comporre prima ancora di saper leggere e scrivere; gli inse gnanti gli volevano bene. Ma a poco a poco la sua comprensione si fece più acuta. Ben presto Guido capì che non tutti i musicisti che gli sta vano intorno erano stati «tagliati» da bambini. Alcuni sareb bero diventati uomini, si sarebbero sposati, avrebbero avuto dei figli. Ma per quanto i violinisti suonassero bene ed i com positori scrivessero, nessuno di loro poteva mai ottenere la fama, la ricchezza, la pura gloria di un grande cantante ca strato. I musicisti italiani erano richiesti in tutto il mondo per i cori delle chiese, le orchestre di corte, i grandi teatri d'opera. Ma era il soprano ad avere tutti i maggiori onori. Era lui che era conteso dai re, era per lui che il pubblico tratteneva il re spiro; era il cantante che dava vita alle più profonde qualità di un'opera. Il ricordo di Nicolino, Cortono, Ferri perdurava ancora quando ormai da lungo tempo i compositori che avevano scritto per loro erano stati dimenticati. E nel piccolo mondo del conservatorio, Guido faceva parte di un gruppo di eletti, di privilegiati che erano nutriti meglio, avevano abiti più bel li e stanze più calde, mentre il loro singolare talento veniva coltivato. Ma il numero dei nuovi castrati aumentava, i più vecchi se ne andavano e Guido ben presto si rese conto che per un pu gno di belle voci ogni anno centinaia di ragazzi subivano il coltello. Provenivano da tutte le parti: Giancarlo, primo canto re di un coro della Toscana, mutilato a dodici anni per vo lontà del suo maestro che successivamente lo aveva portato a Napoli; Alonso, nato in una famiglia di musicisti e il cui zio, un castrato egli stesso, aveva predisposto l'operazione; o il fiero Alfredo, vissuto tanto a lungo nella famiglia del suo pa trono da non ricordare più né i suoi genitori, né il chirurgo. E poi c'erano i ragazzini sudici e ignoranti che non sape vano parlare la lingua di Napoli al loro arrivo — ragazzi co me Guido. Si rendeva perfettamente conto, ormai, che i suoi genitori lo avevano, venduto. Si domandava se qualche maestro gli avesse mai esaminato la voce a dovere prima che lo castras sero. Non se ne ricordava. Forse lo avevano preso a caso nel la rete, sicuri di aver catturato un elemento di valore. Ma di tutto ciò Guido era consapevole solo di sfuggita. Pri mo cantore nel coro, solista nel teatro del conservatorio, scri veva già esercizi per gli allievi più giovani. A dieci anni lo avevano portato in teatro a sentire Nicolino, gli avevano dato un clavicembalo personale e il permesso di rimanere alzato fi no a tardi per esercitarsi. In premio riceveva più di quanto avrebbe mai chiesto, coperte calde, un bel soprabito; e ogni tanto lo portavano a cantare nello splendore di un vero pa lazzo per gente che lo ascoltava affascinata. Page 3 Prima che giungesse l'età del dubbio e delle domande, en tro i primi dieci anni di vita, Guido si era già formato delle buone basi nello studio e nell'autodisciplina. La sua voce, al ta, pura, insolitamente delicata e flessibile, era riconosciuta da tutti come un prodigio. Ma come succede in ogni essere umano, il sangue dei suoi antenati — nonostante il mutamento provocato dalla castra zione — continuava a foggiarlo. Discendeva da gente scura e tarchiata, né si trasformò in un giunco come molti degli eu nuchi intorno a lui. Anzi, era piuttosto massiccio, ben propor zionato, e dava un'ingannevole impressione di forza. E seb bene i riccioli bruni e la bocca sensuale conferissero al suo volto qualcosa del cherubino, la peluria scura sul labbro su periore gli dava un che di virile. Avrebbe avuto una fisionomia molto gradevole, se non fosse stato per due ragioni: il naso, che si era rotto cadendo da piccolo, era appiattito proprio come se glielo avesse schiaccia to la manata di un gigante. E poi gli occhi scuri, grandi ed espressivi, brillavano della scaltra brutalità contadina dei suoi avi. Quegli uomini erano stati taciturni ed astuti, ma Gui do era studioso e stoico. Loro avevano lottato con gli elemen ti della terra, lui si era abbandonato con passione a qualun que sacrificio per amore della musica. Guido era però tutt'altro che rozzo di modi e di aspetto. Anzi, prendendo a modello i suoi maestri, aveva assorbito tut to ciò che poteva della loro grazia nel portamento, così come aveva assimilato la poesìa, il latino, l'italiano colto che gli ve niva insegnato. Fu così che divenne un giovane cantore di no tevole presenza, con delle caratteristiche marcate che gli con ferivano un'inquietante capacità di seduzione. Per tutta la vita si sarebbe sempre sentito dire: «Come è brutto!» e altrettanti avrebbero detto: «Ma è bellissimo!» Di una cosa però non era consapevole: emanava un senso di minaccia. La sua gente era stata più brutale degli animali che allevava, e Guido aveva l'aria di chi avrebbe potuto farti qualsiasi cosa. Un po' era per via dei suoi occhi vivi e appas sionati, un po' per il naso schiacciato, per la bocca carnosa — un po' per tutto l'insieme. Senza che se ne rendesse conto, gli si era formata intorno una corazza protettiva. Nessuno osa va fargli delle prepotenze. Eppure tutti quelli che lo conoscevano gli volevano bene: tanto i ragazzi normali quanto i suoi compagni eunuchi. An che i violinisti lo amavano sia perché lui si interessava con grande entusiasmo a ciascuno di loro sia perché componeva per loro della musica stupenda. E Guido finì per essere noto come un ragazzo tranquillo, assennato, un orsacchiotto alla mano, un ragazzo per nulla temibile una volta che lo si era conosciuto. Una mattina, quando aveva quasi quindici anni, Guido ven ne svegliato e informato che doveva scendere nell'ufficio del maestro. La notizia non lo mise in ansia. Non era mai nei guai. «Accomodati», gli disse il suo insegnante favorito, il mae stro Cavalla. Tutti gli altri erano riuniti intorno a lui. Non erano mai stati così informali con lui prima. Trovò qualcosa di sgradevole in quell'anello di facce e capì subito che cos'era. Gli ricordava la stanza nella quale era stato castrato, ma cac ciò via quel ricordo che non significava più nulla. Il maestro, seduto dietro ad un tavolo intarsiato, intinse la penna nell'inchiostro, scrisse qualcosa a grandi lettere e por se la pergamena a Guido. Page 4 Dicembre 1727. Che cosa significava? Guido fu percorso da un leggero tremito. «Quella è la data», disse il maestro, alzandosi, «in cui com parirai nella tua prima opera a Roma come primo uomo.» Dunque Guido ce l'aveva fatta. Per lui non ci sarebbe stato il coro di una chiesa, né le parrocchie di campagna, e nemmeno le cattedrali delle gran di città. E neppure il Coro della Cappella Sistina. Aveva salta to di un balzo tutta la trafila, per entrare direttamente in quel sogno che dava le ali a tutti loro, anno dopo anno, indipen dentemente dalla loro povertà, dalla loro ricchezza o prove nienza: l'opera. «Roma», sussurrò, uscendo da solo nel corridoio. Si tro vò accanto due studenti, che sembrava lo aspettassero. Ma Guido passò oltre, avviandosi verso il cortile, come se non li avesse visti. «Roma», ripeté in un sussurro, lasciando uscire dalla bocca quel nome, come una densa emissione di fiato, che da duemila anni gli uomini pronunciavano con sgomento e terrore: Roma. Sì, Roma, e Firenze, Venezia e Bologna, e poi Vienna, Dresda, Praga, tutte le prime linee dove i castrati erano i conqui statori. Londra, Mosca, e di nuovo a Palermo. Rise quasi ad alta voce. Qualcuno gli toccava il braccio. Ne fu infastidito. Non riu sciva ad allontanare la visione delle file di palchi e di spet tatori acclamanti. Quando la visione svanì, vide Gino, un eunuco del Nord Italia, alto, biondo e flessuoso, dagli occhi limpidi, che era sempre stato più avanti di lui. E accanto c'era Alfredo, quel lo ricco, che aveva sempre soldi in tasca. Gli stavano chiedendo di andare in città; gli stavano di cendo che il maestro gli aveva concesso la giornata per festeg giare. Allora capì perché si trovavano là. Erano le stelle nascen ti del conservatorio, e adesso lui era uno di loro. 2 All'età di cinque anni Tonio Treschi era caduto dalle scale per uno spintone datogli dalla madre. Lei non lo aveva fatto apposta, aveva solo voluto dargli uno schiaffo. Ma lui era sci volato all'indietro sul gradino di marmo ed era caduto giù, in preda al panico, fino a raggiungere il fondo. Eppure avrebbe anche potuto dimenticarsene. L'amore del la madre per lui era pieno ogni giorno di imprevedibili cru deltà. Poteva essere colma di disperato calore il minuto pri ma e furiosa un attimo dopo. E infatti Tonio viveva diviso tra uno spaventoso bisogno d'affetto da un lato ed un vero e proprio terrore dall'altro. Ma quella sera, per compensarlo, la madre lo portò a San Marco a vedere il padre in processione. Page 5 La grande chiesa era la Cappella Ducale del Doge e il pa dre di Tonio era Gran Consigliere. Negli anni che seguirono per lui fu come un sogno; ma non fu un sogno. E se ne ricordò per tutta la vita. Dopo la caduta era andato a nascondersi lontano da lei per ore. Sembrava che il grande Palazzo Treschi lo avesse inghiottito. La verità era che lui conosceva meglio di chiunque altro tutti e quattro i piani della casa rinascimentale in rovi na e, pratico com'era di ogni cassapanca o stanzino in cui po tesse nascondersi, riusciva sempre a tenersi lontano per tutto il tempo che voleva. Il buio non gli faceva nessuna impressione. Nemmeno per dersi da una parte o dall'altra lo preoccupava. Non aveva paura dei topi. Anzi, rimaneva a guardarli passare veloci at traverso i corridoi, con un certo interesse. Gli piacevano anche le ombre sui muri, i pallidi guizzi di luce che il Canal Grande proiettava sui soffitti dipinti di an tiche figure. Conosceva molto meglio quelle stanze ammuffite che il mondo esterno. Erano i luoghi della sua infanzia e lungo tutto quel labirinto c'erano segni di altri nascondigli e di altri pel legrinaggi. Ma la vera pena era stare senza di lei. Angosciato e tre mante, alla fine era strisciato di nuovo da lei, come sempre, quando i servitori avevano ormai perso la speranza di ritro varlo. Lei era distesa sul letto, singhiozzando. E lui le era comparso davanti, un uomo di cinque anni, avido di vendetta, rosso in volto e tutto rigato di sporco per il gran piangere. Naturalmente non le avrebbe mai più rivolto la parola per tutta la vita: anche se non riusciva a sopportare di stare senza di lei. Ma non appena lei allargò le braccia, le volò in grembo e si tenne stretto a lei, immobile come se fosse morto, circondan dole il collo con un braccio e afferrandole la spalla con l'altra mano, tanto forte da farle male. Era poco più di una bambina, ma lui non lo sapeva. Sen tì le sue labbra sulla guancia, sui capelli. La sua dolcezza era struggente. Nel profondo di quel pozzo di dolore che era in quel momento la sua mente, pensò: se io la tengo stretta stretta, allora lei sarà sempre come adesso, e quell'altra crea tura che è in lei non uscirà a farmi del male. La madre si sollevò, passandosi le dita tra le onde ribelli dei capelli neri, con gli occhi scuri ancora arrossati ma tra boccanti di improvviso eccitamento. «Tonio!» esclamò d'im pulso, dondolandosi come una bambina. «C'è ancora tempo, ti vestirò io stessa.» E battendo le mani, aggiunse: «Ti porto a San Marco con me». Le sue balie dissero di no, ma non ci fu modo di fermare sua madre. La stanza si riempì subito di gaiezza; i servi li seguivano dappertutto, facendo vacillare e sgocciolare le can dele che tenevano in mano; le abili dita di sua madre gli ab bottonarono i calzoni di raso, il panciotto di broccato. Gli pet tinò i morbidi riccioli che sembravano seta nera, cantando una vecchia cantilena, e d'improvviso lo baciò due volte. Page 6 La sentì che cantava dolcemente per tutto il corridoio men tre la precedeva saltellando, deliziato dal ticchettio delle sue pantofoline ricamate sul marmo del pavimento. Marianna era splendida nell'abito di velluto nero; la sua pelle olivastra era soffusa di un lieve rossore e quando spro fondò nel buio felze della gondola, sotto la luce della lam pada il suo volto, con quegli occhi a mandorla, era simile in tutto e per tutto a quelle Madonne dei vecchi dipinti bizantini. Lo tenne in grembo. Le tendine erano tirate. «Mi ami?» gli chiese. Lui la sbeffeggiò, dispettoso. Lei premette la guancia contro la sua, confondendo le sue ciglia con quelle del figlio, finché lui si abbandonò ad una fragorosa risata. «Mi ami?» ripeté afferrandolo per le spalle. Quando Tonio disse sì, sentì il suo abbraccio struggente e per un attimo rimase immobile contro di lei, come paraliz zato. Mentre attraversavano la piazza si mise a ballare appoggian dosi al braccio della madre. C'erano proprio tutti! Fece un inchino dopo l'altro, mentre molte mani si tendevano per arruffargli i capelli, per attirarlo contro gonne profumate. Il Signor Lemmo, il giovane segretario del padre, lo lanciò in aria sette volte prima che sua madre gli dicesse di smetterla. E la sua bellissima cugina Catrina Lisani, con due dei figli al seguito, si scostò il velo dal volto e, prendendolo in braccio, se lo strinse forte al petto bianco e profumato. Ma non appena misero piede nell'immensa chiesa Tonio si zittì. Non aveva mai visto uno spettacolo simile. Innumerevoli candele inghirlandavano le colonne di marmo e, alle folate d'aria provenienti dalle porte aperte, le torce mugghiavano nei candelabri. Le grandi cupole splendevano di angeli e san ti e tutt'intorno gli archi, le pareti e le volte palpitavano d'oro in milioni e milioni di minuscole sfaccettature scintillanti. Zitto zitto, Tonio si arrampicò tra le braccia di sua madre, come su un albero. Il suo peso la fece vacillare all'indietro e lei scoppiò a ridere. Poi fu come se la folla fosse percorsa da un fremito simile al fruscio di fuscelli che bruciano. Squillarono le trombe. To nio si voltò da tutte le parti, ma non riusciva a scorgerle. «Guarda!» gli sussurrò sua madre, stringendogli la mano. E al di sopra delle teste della folla apparve il Doge sul suo gran de seggio protetto da un ondeggiante baldacchino. L'aria si impregnò del profumo penetrante dell'incenso e il suono delle trombe si levò acuto, limpido e agghiacciante. Poi sopraggiunsero i componenti del Gran Consiglio, nei loro abiti splendenti. «Tuo padre!» disse la madre di Tonio, presa da un accesso di infantile eccitazione. Apparve l'alta e ossuta figura di Andrea Treschi, le ma niche della toga lunghe fino a terra, i capelli bianchi disposti come la criniera di un leone, i profondi occhi chiari fissi da vanti a sé come quelli di una statua. «Papà!»: il sussurro di Tonio fu perfettamente udito. Qual che testa si voltò e ci furono risate soffocate. E quando il Consigliere volse lo sguardo fissando il figlio tra la folla, il suo volto di vecchio fu trasfigurato da un sorriso quasi estatico e gli occhi brillarono di vita improvvisa. La madre di Tonio era arrossita. Page 7 Ma ad un tratto sembrò che nell'aria prorompesse un canto spiegato, un canto di voci alte e limpide e declamanti. Tonio sentì un nodo alla gola. Per un attimo non riuscì a fare il minimo movimento; il suo corpo si era come pietrificato, quasi ad assorbire meglio la scossa provocata da quel canto; ma poi si mosse, gli occhi verso l'alto, accecato per un attimo dal le candele. «Stai fermo», lo ammonì sua madre, che riusciva a stento a farlo star fermo. Il canto divenne più ricco e più pieno. Veniva a ondate, da entrambi i lati della immensa navata, in un intreccio di melodie. A Tonio sembrava quasi di ve derlo: era come una grande rete dorata gettata sul mare scia bordante, sotto lo scintillio del sole. L'aria era tutto un pul lulare di suoni. Alla fine vide, proprio sopra di lui, i cantori. In piedi, in due immense gallerie poste ai due lati della navata centrale della chiesa, con le bocche aperte e i volti splendenti di luce riflessa, sembravano proprio gli angeli dei mosaici. In un baleno Tonio si lasciò scivolare a terra. Sentì la mano della madre che cercava di afferrarlo, ma si precipitò tra gonne e mantelli, profumi e frizzante aria invernale e scorse la porta aperta che portava alle scale. Mentre saliva, gli sembrava che le pareti intorno palpitas sero insieme alle corde dell'organo e d'un tratto si trovò nel calore della galleria del coro, in mezzo agli alti cantori. Ci fu un po' di confusione. Tonio si trovava proprio ac canto alla ringhiera e alzando lo sguardo incontrò gli occhi di un autentico gigante la cui voce sgorgava pura e dorata come lo squillo di una tromba. L'uomo cantava la grande pa rola, «Alleluia!», che per alcuni suonava come un richiamo speciale, un appello. E tutti gli uomini dietro di lui la ri petevano, cantandola più e più volte ad intervalli, con le voci che si sovrapponevano l'una all'altra. Dall'altro lato della chiesa il secondo coro replicava in un crescendo di volume. Tonio aprì la bocca ed incominciò a cantare. Cantò quel l'unica parola perfettamente in tempo con il cantore e intanto sentiva la calda mano dell'uomo sulla sua spalla. Il cantante annuiva e con i grandi occhi scuri, quasi assonnati, sembrava dirgli, senza parlare: sì, canta. Tonio sentì contro di sé il fianco magro dell'uomo, e poi un braccio gli circondò la vita sollevandolo. In basso la congregazione era un balenare di luci: il Doge nel suo seggio di tessuto dorato, il Senato con gli abiti color porpora, i consiglieri vestiti di scarlatto, tutti i patrizi di Ve nezia in parrucca bianca; ma gli occhi di Tonio erano fissi sul volto del cantante, mentre sentiva la sua stessa voce ri suonare nitida come una campana che si distingueva dalla tromba del cantore. Il corpo di Tonio si era come dissolto. Lui lo aveva abbandonato, trasportato nell'aria con la sua voce e quella del cantore, mentre i due suoni si fondevano in sieme. Vide un'espressione di piacere negli occhi frementi del cantore, non più assonnati. Ma il suono poderoso erompente dal petto dell'uomo lo sbalordì. Quando la cerimonia fu finita e Tonio fu di nuovo tra le braccia di sua madre, lei sollevò lo sguardo verso il gigante che le faceva un profondo inchino, e disse: «Grazie, Alessandro». «Alessandro, Alessandro», mormorò Tonio. E quando nel la gondola si rannicchiò accanto a lei, le disse Page 8 con accento ap passionato: «Mamma, quando sarò grande canterò come lui? Canterò come Alessandro?» Era impossibile spiegarle. «Mam ma, voglio diventare uno di quei cantanti!» «Mio Dio, Tonio, no!» e scoppiò in una risata. Poi con un gesto fatuo della mano all'indirizzo della nutrice, Lena, alzò gli occhi al cielo. Tutta la famiglia, compresi i domestici, era salita con gran de rumore fin sul tetto. Ma fissando lo sguardo verso l'imbocco del Canal Grande, convinto già di vedere l'incanto sen za fine della laguna buia, Tonio vide invece il mare in fiamme: centinaia e centinaia di luci dondolavano sull'acqua. Sembra va che tutte le guizzanti luci di San Marco fossero state ri versate nel Canale, e in tono di reverenza sua madre gli sus surrò che gli uomini di stato stavano andando a venerare le reliquie di San Giorgio. Per un attimo tutto fu immerso nel silenzio, a parte il vento che fischiava e che da tempo aveva rotto le fragili grate del giardino pensile in rovina. Qua e là giacevano riversi alberi morti, tuttora ancorati ai loro vasi rovesciati pieni di radici e di terra, insieme alle foglie scricchiolanti strappate dal vento. Tonio chinò il capo, abbandonando alla calda mano di sua madre il collo lungo e fragile, e provò un muto, spaventoso terrore che lo spinse a stringersi a lei. Nel cuore della notte Tonio, coperto fino al mento nel suo letto, non riusciva a dormire. Sua madre giaceva riversa con le labbra socchiuse, il volto angoloso ammorbidito quasi con tro la sua volontà, gli occhi ravvicinati, tanto diversi dai suoi, stretti verso il centro del viso in una espressione accigliata. Non sembrava proprio che dormisse, ma piuttosto che fosse molto preoccupata. Togliendosi le coperte di dosso (suo padre non dormiva mai con loro, rimaneva sempre nei suoi appartamenti), Tonio si lasciò scivolare sul freddo pavimento, a piedi scalzi. Fuori nella notte dovevano esserci cantanti di strada, ne era certo: spalancò le persiane di legno e si mise in ascolto, con le orecchie tese, finché non riuscì a cogliere la debole melodia del lontano tenore. Sotto di lui si alzò una voce di basso e l'aspra dissonanza di strumenti a corda; e tutt'intorno la musica si levò sempre più alta, più ampia. Era una notte nebbiosa, senza forme o contorni, a parte l'aureola di un'unica torcia di resina giù in basso, il cui acre odore si mischiava a quello della salsedine del mare. E mentre ascoltava, con la testa appoggiata contro il muro umido, ab bracciandosi le ginocchia, Tonio era ancora nella galleria del coro di San Marco. Adesso la voce di Alessandro gli sfuggiva, ma riusciva a percepire il sognante dilagare della musica. Dischiuse le labbra, cantò qualche nota alta, a tempo con i lontani cantanti della strada, e risentì la mano di Alessandro sulla sua spalla. Ma che cosa adesso improvvisamente gli dava tanto fasti dio? C'era qualcosa sopraggiunto a tormentarlo, come un mo scerino in un occhio. La sua mente sempre così acuta e non ancora offuscata dalla lingua scritta risentì il palmo di quella mano appoggiata con tanta dolcezza sul suo collo, rivide la manica ondeggiante che si sollevava sempre più fino alle spal le. Tutti gli altri uomini alti che aveva incontrato avevano sem pre dovuto chinarsi per accarezzare un bambino come Tonio. E si ricordò che Page 9 anche nella galleria del coro, in mezzo a quei canti, era rimasto sbalordito nel sentire quella mano appog giarsi così facilmente su di lui. Gli sembravano mostruosi, magici, quel braccio che lo ave va sollevato, quella mano che aveva stretto le ossa del suo torace come se lui fosse stato un giocattolo e lo aveva portato più in alto, fra la musica. Ma intanto la canzone aveva catturato la sua attenzione e lo trasportava lontano da quei pensieri; sempre la musica lo trascinava, e gli dava una sorta di disperazione sentire il cla vicembalo o il tamburello di sua madre, o anche solo il suono delle loro voci unite. Avrebbe fatto qualsiasi cosa purché non finisse mai. Tremando, si addormentò di colpo sul davanzale. Aveva ormai sette anni quando venne a sapere che Ales sandro e tutti gli altri alti cantori di San Marco erano degli eunuchi. 3 All'età di nove anni, invece, seppe esattamente che cosa era stato tagliato a quelle creature esili e longilinee e che cosa era loro rimasto; e che la loro altezza e le loro lunghe gam be erano la conseguenza del coltello, perché dopo quella ter ribile mutilazione le loro ossa non si indurivano come quelle degli uomini che avrebbero potuto dar figli. In realtà era un segreto noto a tutti. Essi cantavano in tut te le chiese di Venezia. Quando diventavano vecchi insegnava no musica. Beppo, il precettore di Tonio, era un eunuco. E nell'opera lirica, a cui Tonio non poteva assistere perché era ancora troppo piccolo, erano considerati come prodigi ce lestiali. Il giorno successivo allo spettacolo i servi sospirava no pronunciando il nome di Nicolino, Carestini, Senesino; e una volta persino la madre di Tonio si era lasciata attirare fuori dalla sua vita solitaria per vedere il giovane di Napoli, che chiamavano il Ragazzo, Farinelli. Tonio aveva pianto per ché non gli avevano permesso di andare. E parecchie ore dopo, svegliandosi, aveva visto che lei era ritornata a casa e, seduta al clavicembalo nell'oscurità, con il velo imperlato di pioggia, il volto bianco come una bambola di porcellana, con voce de bole e incerta ripeteva le arie di Farinelli. Ah, i poveri fanno qualunque cosa per mangiare e bere. Avremo sempre il miracolo di queste voci sublimi. Ma ogni volta che Tonio incontrava Alessandro fuori dalla porta della chiesa, non poteva fare a meno di domandarsi: avrà pianto? Avrà cercato di fuggir via? Perché sua madre non ha tentato di nasconderlo? Ma non c'era nulla nella lunga faccia di Ales sandro se non il suo pigro buonumore, i capelli castani che facevano da lucente cornice a una pelle bella come quella di una giovanetta; e quella voce sonnecchiante dentro di lui, in attesa del suo momento nella galleria del coro, dello sfondo d'oro lavorato che a Tonio sembrava lo rendesse tutt'uno con gli angeli. Ma a quell'età Tonio seppe anche di essere Marc'Antonio Treschi, figlio di Andrea Treschi che un tempo aveva coman dato i galeoni della Serenissima sui mari stranieri e che, dopo anni di attività nel Serenissimo Senato, era stato appena elet to nel Consiglio dei tre, il temutissimo triumvirato di inquisitori che avevano l'autorità di arrestare, processare, pronun ciare condanne e renderle operanti — anche se si fosse trat tato di pena di morte — nei confronti di chicchessia. Page 10

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