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ita] Anne Rice Armand Il Vampiro PDF

298 Pages·2016·0.81 MB·Italian
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Preview ita] Anne Rice Armand Il Vampiro

ANNE RICE ARMAND IL VAMPIRO (The Vampire Armand, 1998) Per Brandy Edwards, Brian Kobertson e Christopher e Michele Rice Gesù, parlando a Maria Maddalena: Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora sali to al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Giovanni,20,17 I CORPO E SANGUE 1 Si diceva che una bambina fosse morta nel solaio. I suoi abiti erano stati trovati murati in una parete. Volevo salire lassù e sdraiarmi accanto alla parete e restare solo. Avevano visto saltuariamente il fantasma della bambina. Ma nessuno di quei vampiri riusciva a vedere davvero gli spiriti, al meno non nel modo in cui li vedevo io. Non aveva importanza. Non era la compagnia della bambina ciò che desideravo. Volevo trovarmi in quel posto. Ormai non sarebbe servito a nulla rimanere vicino a Lestat. Ero venuto fin lì. Avevo raggiunto il mio scopo. Non potevo aiu tarlo. Page 1 Vedere i suoi occhi con le pupille fisse e immutabili m'inquie tava, mentre mi sentivo tranquillo e colmo d'amore per quanti mi erano più vicini - i miei figli umani, il mio bruno, piccolo Benji e la mia tenera, flessuosa Sybelle -; tuttavia non ero ancora abbastanza forte per portarli via. Lasciai la cappella. Non badai nemmeno a chi fosse presente. Ormai l'intero con vento era divenuto una dimora di vampiri. Non era un luogo tur bolento o negletto, tuttavia non feci caso a chi rimase nella cap pella quando me ne andai. Lestat giaceva nel solito posto, sul pavimento di marmo della cappella davanti all'enorme crocifisso, sdraiato su un fianco, la mano sinistra appena sotto la destra, le dita che toccavano deli catamente il marmo come per uno scopo preciso, quando in realtà non esisteva nessuno scopo. Le dita della mano destra era no ripiegate, formando nel palmo una piccola infossatura su cui cadeva la luce, e anche quello sembrava avere un significato, ma non esisteva nessun significato. Quello era soltanto il corpo sovrannaturale, steso lì senza vo lontà o animazione; non sembrava più risoluto del viso, la sua espressione astuta in modo quasi insolente, considerando che Lestat non si muoveva da mesi. Le alte finestre di vetro istoriato venivano debitamente coper te da drappi per proteggerlo prima del sorgere del sole. Di notte brillavano, grazie alle meravigliose candele disseminate intorno alle pregevoli statue e alle reliquie che riempivano quel luogo, un tempo consacrato e santo. Bambinetti mortali avevano ascoltato la messa sotto quell'alta volta; un prete aveva cantato in latino da un altare. Adesso apparteneva a noi. Apparteneva a lui: a Lestat, all'uo mo che giaceva immobile sul pavimento di marmo. Uomo. Vampiro. Immortale. Figlio delle Tenebre. Sono tutti termini perfetti per descriverlo. Voltandomi a guardarlo, scoprii di non essermi mai sentito così simile a un bambino. È questo che sono. Rendo giustizia alla definizione, come se fosse del tutto codificata in me e non fosse mai esistito nessun al tro schema genetico. Avevo forse diciassette anni quando Marius mi trasformò in un vampiro. A quel punto avevo già smesso di crescere. Ormai da un anno ero alto un metro e sessantotto. Le mie mani appari vano delicate come quelle di una fanciulla, ed ero glabro, com'eravamo soliti dire a quell'epoca, alla fine del XV secolo. Non un eunuco, no, assolutamente, ma un ragazzo. Ai tempi era di moda, per i ragazzi, essere belli come fanciul le. Soltanto adesso sembra una caratteristica utile, ed è perché amo gli altri, i miei cari: Sybelle col seno da donna e le gambe lunghe da ragazzina, e Benji col tondo, intenso visino arabo. Mi fermai ai piedi delle scale. Niente specchi, lì, solo le alte pareti di mattoni private dell'intonaco, pareti che erano vecchie solo per l'America, scurite dall'umidità persino all'interno del convento, ogni struttura ammorbidita dalle afose estati di New Orleans e dai suoi umidi, lenti inverni, che io chiamo «inverni verdi» perché lì gli alberi non sono quasi mai spogli. Sono nato in un luogo d'inverno perenne, se lo si paragona a questo posto. Non stupisce che, nella soleggiata Italia, io abbia del tutto dimenticato l'infanzia e modellato la mia vita sul pre sente dei miei anni Page 2 con Marius. «Non ricordo.» In quel periodo amavo così tanto il vizio, ero così assuefatto al vino, ai sontuosi pasti italiani e persino alla sensazione offerta dal marmo tiepido sotto i miei piedi nudi quando le stanze del palazzo erano pecca minosamente, diabolicamente riscaldate dagli esorbitanti fuochi di Marius. I suoi amici mortali - esseri umani come me, all'epoca - lo rimproveravano per quelle spese: legna da ardere, olio, candele. E Marius considerava accettabili solo le più pregiate candele di cera d'api. Ogni fragranza era significativa. Smetti di pensare a queste cose. Ormai i ricordi non possono farti nessun male. Sei venuto qui per un motivo ben preciso e adesso hai finito e devi trovare coloro che ami, i tuoi giovani mortali, Benji e Sybelle, e devi andare avanti. La vita non era più un palcoscenico dove il fantasma di Banquo tornava ripetutamente a sedersi al lugubre tavolo. La mia anima doleva. Su per le scale. Rimani sdraiato per un po' in questo convento di mattoni dove sono stati trovati gli abiti della bambina. Rimani sdraiato con la piccola, assassinata in questo convento, come so stengono i pettegoli, i vampiri che adesso infestano queste stanze e sono venuti a vedere il grande vampiro Lestat immerso nel suo sonno da Endimione. Non avvertivo la presenza di nessun omicidio, lì, solo le voci delicate delle suore. Salii le scale, lasciando che il mio corpo trovasse il suo peso umano e il suo passo umano. Dopo cinquecento anni, conosco bene questi trucchi. Potrei spaventare tutti i giovani - gli scrocconi e quelli che fissano a bocca aperta - con la stessa sicurezza con cui lo facevano gli altri antichi, persino i più modesti, pronunciando parole che dimo stravano i loro poteri telepatici, scomparendo all'improvviso quando decidevano di andarsene o facendo saltuariamente tre mare un edificio grazie al loro potere... un risultato interessante persino con queste pareti spesse quarantacinque centimetri e do tate di davanzali di cipresso che non marciranno mai. A lui di certo piacciono le fragranze che ci sono qui, pensai. E Marius, dov'è? Prima di andare a trovare Lestat avevo preferito non parlare a lungo con Marius e gli avevo rivolto solo poche pa role garbate affidandogli i miei tesori. Dopotutto avevo portato i miei figli in uno zoo dei Non Mor ti. Chi poteva proteggerli meglio del mio amato Marius, così po tente che nessuno osava mettere in discussione la sua più insigni ficante richiesta? Non esiste un legame telepatico naturale tra noi due - Marius mi ha creato, io resterò per sempre il suo novizio -, ma, non ap pena vi pensai, mi accorsi, senza l'aiuto del legame telepatico, che non riuscivo a percepire la sua presenza nell'edificio. Non sapevo cosa fosse successo durante il breve intervallo in cui mi ero inginocchiato per osservare Lestat. Non sapevo dove fosse Marius, non riuscivo a individuare i familiari odori umani di Benji o di Sybelle. Una lieve fitta di panico mi paralizzò. Rimasi fermo al secondo piano dell'edificio. Mi appoggiai al muro, i miei occhi che si posavano con risoluta tranquillità sul pavimento di pino verniciato. La luce creava pozze di giallo sulle assi. Dove si trovavano Benji e Sybelle? Cosa avevo fatto portan doli lì entrambi, due esseri umani maturi e Page 3 splendidi? Benji era un vivace ragazzino di dodici anni, Sybelle una ragazza di venticinque. E se Marius, così generoso nell'animo, li aveva negligen temente persi di vista? «Sono qui, giovane.» La voce risuonò improvvisa, dolce, ac cogliente. Il mio creatore era fermo sul pianerottolo appena sotto di me, dopo aver salito i gradini seguendomi o, più probabilmente, gra zie ai suoi poteri, dopo essersi piazzato lì, coprendo la distanza con velocità silenziosa e invisibile. «Maestro», dissi, accennando un sorriso. «Per un attimo ho temuto per loro.» Mi stavo scusando. «Questo posto mi depri me.» Lui annuì. «Li ho con me, Armand», dichiarò. «La città bru lica di mortali. C'è abbastanza cibo per tutti i vagabondi che gironzolano qui. Nessuno farà loro del male. Anche se io non fossi qui a proibirlo in modo esplicito, nessuno ne avrebbe l'ardire.» Allora fui io ad annuire. In realtà non ne ero così sicuro. I vampiri sono perversi per natura e commettono atti malvagi e terribili per semplice divertimento. Uccidere il beniamino mor tale di un altro sarebbe stato un degno spasso per una creatura lugubre e straniera che frequentasse quei paraggi, attirata da av venimenti degni di nota. «Sei un vero portento, giovane», mi disse lui, sorridendo. Giovane! Chi altri mi avrebbe chiamato così se non Marius, il mio creatore, e cosa sono per lui cinquecento anni? «Hai rag giunto il sole», continuò con la stessa palese premura stampata sul viso gentile. «E ne sei uscito vivo.» «Il sole, Maestro?» Misi in dubbio le sue parole. Ma preferi vo non rivelare altri particolari. Non volevo ancora parlare, rac contare l'accaduto, narrare la leggenda del velo della Veronica e del viso di Nostro Signore impresso su di esso, e del mattino in cui avevo rinunciato alla mia anima con una felicità tanto perfet ta. Che favola era, quella. Lui salì i gradini per essermi più vicino, ma si mantenne per educazione a distanza. È sempre stato un gentiluomo, persino prima che esistesse questa parola. Nell'antica Roma dovevano disporre di un termine preciso per definire una persona simile, immancabilmente educata, premurosa come punto d'onore e abilissima nel palesare una costante cortesia a ricchi e poveri sen za discriminazioni. Tale era Marius, ed era sempre stato così, per quel che sapevo. Abbandonò la sua mano di un bianco niveo sull'opaco corri mano satinato. Indossava un lungo e informe cappotto di velluto grigio - un tempo assai stravagante, ormai reso meno appari scente dall'uso e dalla pioggia -, e i capelli biondi erano lunghi come quelli di Lestat, pieni di luce e ribelli nell'umidità, addirit tura costellati di gocce di rugiada, la stessa rugiada che si era fis sata sulle sue sopracciglia dorate e scuriva le lunghe ciglia arcua te intorno ai grandi occhi color cobalto. Aveva qualcosa di più nordico e glaciale rispetto a Lestat, i cui capelli, nonostante le mèche luminose, tendevano più al dorato, e i cui occhi apparivano perennemente iridescenti, assorbendo i colori circostanti, tingendosi persino di uno splendido violetto alla minima provocazione da parte dell'adorante mondo esterno. «Armand, voglio che tu venga con me», disse Marius. «Dove, Maestro? Venire dove?» chiesi. Anch'io volevo mo strarmi educato. Lui aveva sempre destato in me, persino dopo una battaglia intellettuale, istinti assai più nobili. Page 4 «A casa mia, Armand, dove adesso si trovano Sybelle e Benji. Oh, non temere per la loro incolumità nemmeno per un istante. Pandora è con loro. Sono mortali alquanto sorprendenti, brillan ti, assai diversi eppure simili. Ti amano, sanno tante cose e hanno percorso molta strada con te.» Avvampai di sangue e colore; il tepore fu pungente e sgrade vole, ma poi, quando il sangue si ritrasse danzando dalla superfi cie del mio viso, mi sentii rinfrescato e, nel contempo, insolita mente fiaccato dal fatto di provare qualcosa. Trovarmi lì rappresentava uno shock e volevo mettervi fine. «Maestro, non so chi sono in questa nuova vita», dissi con gratitudine. «Sono rinato? Oppure sono soltanto confuso?» Esitai, ma era inutile fermarsi. «Non chiedetemi di rimanere qui proprio adesso. Forse quando Lestat sarà tornato se stesso, quando sarà trascorso abbastanza tempo... Non ne sono sicuro, so solo che adesso non posso accettare il vostro gentile invito.» Lui mi rivolse un breve cenno d'assenso e di accettazione. Fe ce un lieve gesto arrendevole. Il vecchio cappotto grigio gli era scivolato giù da una spalla. Lui parve non curarsene. I sottili abi ti di lana nera erano trascurati, bavero e tasche bordati da una polvere grigia. Non era un abbigliamento adeguato, per lui. Al collo portava un ampio foulard di seta bianca che faceva sembrare il suo pallido viso più colorito e umano del solito. Ma la seta era strappata, come se si fosse impigliata nei rovi. In bre ve, più che vestire lui, quegli abiti infestavano il mondo. Si addi cevano più a un cialtrone, non al mio antico Maestro. Con ogni probabilità intuì che non sapevo cosa fare. Stavo guardando in alto, verso il buio sopra di me. Volevo raggiungere il solaio di quell'edificio, gli indumenti seminascosti della bambina. M'interrogai sulla storia della piccola defunta. Ebbi l'impertinen za di lasciar vagare la mia mente, benché lui stesse aspettando. Mi riportò alla realtà con le sue gentili parole. «Troverai Sybelle e Benji con me, quando li vorrai», dichiarò. «Puoi trovarci senza difficoltà. Non siamo lontani. Sentirai l' Appassionata,quando vorrai sentirla.» Sorrise. «Le avete dato un pianoforte», esclamai. Parlavo della pre ziosa Sybelle. Avevo escluso il mondo dal mio udito sovrannatu rale e non volevo ancora sbloccare le mie orecchie, nemmeno per il leggiadro suono della sua musica, di cui sentivo già acuta mente la mancanza. Non appena eravamo entrati nel convento, Sybelle aveva visto un pianoforte e mi aveva chiesto, sussurrandomi nell'orecchio, se poteva suonarlo. Lo strumento non si trovava nella cappella in cui giaceva Lestat, bensì in un'altra stanza, lunga e deserta. Le avevo risposto che non sarebbe stato molto appropriato, che ri schiava di disturbare Lestat mentre era sdraiato là e che non po tevamo sapere cosa lui pensasse o provasse o se era angosciato e prigioniero dei propri sogni. «Forse, quando verrai, ti fermerai per qualche tempo», disse Marius. «Ti piacerà sentire Sybelle che suona il mio piano e ma gari a quel punto potremo parlare; con noi potrai riposarti e po tremo condividere la casa per tutto il tempo che desideri.» Non risposi. «È lussuosa in un modo tipico del Nuovo Mondo», spiegò con una sfumatura di scherno nel sorriso. Page 5 «Non è affatto distante da qui. Ho un giardino assai vasto con vecchie querce, querce molto più antiche persino di quelle sulla Avenue, e tutte le fine stre sono portefinestre. Sai quanto ciò mi piaccia. È lo stile roma no. La casa è aperta alla pioggia primaverile e qui la pioggia pri maverile è come un sogno.» «Sì, lo so», mormorai. «Credo che adesso stia cadendo, ve ro?» Sorrisi. «Be', mi ha inzaccherato, sì», confermò in tono quasi gaio. «Vieni quando vuoi. Se non stanotte, domani...» «Oh, verrò stanotte», replicai. Non volevo offenderlo, no, davvero, ma Benji e Sybelle avevano già visto abbastanza mostri dal viso bianco e dalla voce vellutata. Era tempo che ce ne andas simo. Lo guardai con una certa sfrontatezza, godendone per un atti mo, vincendo una timidezza che aveva rappresentato la nostra maledizione in quel mondo moderno. Nella Venezia dei tempi antichi lui si era gloriato dei propri abiti come gli uomini dell'e poca, sempre così eleganti e splendidamente agghindati, lo spec chio della moda, per usare l'antica frase leggiadra. Quando, nel pallido violetto della sera, attraversava piazza San Marco, tutti si voltavano a guardarlo. Il rosso - il velluto rosso - aveva rappre sentato il suo orgoglioso distintivo: una cappa fluttuante, un far setto dai magnifici ricami e, sotto, una tunica di seta dorata, così popolare a quei tempi. Aveva gli stessi capelli del giovane Lorenzo de' Medici, ritrat to sul muro affrescato. «Maestro, vi amo, ma ora devo rimanere solo», dichiarai. «Non avete bisogno di me adesso, vero? Come potreste? Non l'avete mai avuto davvero.» Me ne pentii subito. Le parole, non il tono, risultarono sfacciate. Ed essendo le nostre menti tanto divise dall'intimo sangue, temevo che mi fraintendesse. «Cherubino, ti desidero», disse lui con aria indulgente. «Ma posso aspettare. Sembra che non sia trascorso poi molto tempo da quando ti ho detto queste stesse parole mentre eravamo insie me, così le pronuncio di nuovo.» Non riuscii a costringermi a spiegargli che quella era la mia stagione riservata alla compagnia dei mortali, che desideravo passare l'intera notte a parlare col piccolo e saggio Benji, oppure ad ascoltare la mia adorata Sybelle che ripeteva la sua sonata. Sembrava futile fornire ulteriori spiegazioni. E la tristezza mi as salì di nuovo, prepotentemente e innegabilmente, la tristezza di essere venuto in quel convento abbandonato e vuoto in cui gia ceva Lestat, che non poteva o non voleva muoversi né parlare... nessuno di noi sapeva quale delle due ipotesi fosse corretta. «In questo preciso momento la mia compagnia non darebbe nessun frutto, Maestro», dissi. «Ma mi fornirete di certo qual che indizio su come trovarvi, cosicché, alla fine di questo perio do...» Non conclusi la frase. «Ho paura per te!» sussurrò Marius d'un tratto, con intenso ardore. «Più che in qualunque altro momento del passato, signore?» chiesi. Dopo un attimo di riflessione, lui rispose: «Sì. Ami due ragaz zi mortali. Per te rappresentano la luna e le stelle. Vieni a stare da me, anche se solo per breve tempo. Dimmi cosa pensi del nostro Lestat e dell'accaduto. Rivelami magari, se prometto di mante nere la calma e di non farti pressioni, la tua opinione su tutto quello che hai visto di recente». «Ne parlate con delicatezza, signore, vi ammiro. Vi riferite al motivo per cui ho creduto a Lestat quando Page 6 sosteneva di essere stato in paradiso e all'inferno, vi riferite a ciò che ho visto quan do ho osservato la reliquia che lui riportò qui, il velo della Vero nica?» «Sì, se sei disposto a raccontarmelo. Ma soprattutto vorrei che tu venissi a riposarti.» Posai la mano sulla sua, meravigliandomi del fatto che, nono stante tutto quello che avevo passato, la mia pelle fosse bianca quasi quanto quella di Marius. «Sarete paziente coi miei figli sino al mio arrivo, vero?» chie si. «Si credono così intrepidamente malvagi, venendo fin qui per stare con me, fischiettando con nonchalance nel crogiolo dei Non Morti, per così dire.» «I Non Morti», ripeté lui, sorridendo con aria di rimprovero. «Un simile linguaggio, e in mia presenza. Sai che lo detesto.» Mi diede un rapido bacio sulla guancia. Rimasi sbigottito, poi mi resi conto che Marius se n'era andato. «I soliti, vecchi trucchetti!» dissi ad alta voce, chiedendomi se fosse ancora abbastanza vicino per sentirmi o se invece avesse chiuso le orecchie alle mie parole con la stessa energia con cui io chiudevo le mie al mondo esterno. Guardai altrove, bramando la quiete, sognando dei pergolati, non a parole ma in immagini, come faceva la mia mente di un tempo, desiderando di potermi sdraiare in aiuole tra i fiori che crescevano, desiderando di premere il viso sul terriccio e cantic chiare sommessamente. Fuori, la primavera, il tepore, la nebbia tenace che sarebbe di ventata pioggia. Desideravo tutto questo. Desideravo le paludo se foreste retrostanti, ma volevo anche Sybelle e Benji, ed esser mene già andato e avere ancora la volontà di continuare. Ah, Armand, è proprio questo che ti è sempre mancato, la vo lontà. Non lasciare che adesso sì ripeta la stessa vecchia storia. Armati di tutto ciò che è successo. Un altro vampiro si era avvicinato. All'improvviso mi sembrò davvero terribile che un immortale a me sconosciuto s'intrufolasse nei miei pensieri privati, magari per creare un'egoistica approssimazione di ciò che provavo. Era David Talbot. Arrivò dall'ala della cappella, attraverso le stanze-ponte del convento che la collegavano all'edificio principale in cui mi tro vavo io, in cima alla scalinata che portava al secondo piano. Lo vidi entrare nel corridoio. Alle sue spalle c'era il vetro del la porta che si apriva sulla balconata e, dietro, la tenue mescolan za di luce dorata e luce bianca del cortile sottostante. «È tutto tranquillo, adesso», annunciò. «E il solaio è deserto e sai che sei libero di andarci, è ovvio.» «Vattene.» Non provavo rabbia, solo il sincero desiderio che nessuno leggesse i miei pensieri o disturbasse le mie emozioni. Con notevole autocontrollo, lui m'ignorò, poi disse: «Sì, ho paura di te, un poco, ma sono anche Page 7 terribilmente curioso». «Oh, capisco; quindi questo giustifica il fatto che tu mi abbia seguito fin qui, vero?» «Non ti ho seguito, Armand», rispose. «Io abito qui.» «Ah, in tal caso ti chiedo scusa», ammisi. «Non lo sapevo. Immagino di dover esserne felice. Lo sorvegli. Non rimane mai solo.» Mi riferivo a Lestat, era chiaro. «Tutti hanno paura di te», spiegò lui con tranquillità. Si era fermato a poco più di un metro di distanza, incrociando con di sinvoltura le braccia sul petto. «Sai, è uno studio davvero inte ressante, quello delle tradizioni e delle abitudini dei vampiri.» «Non per me», ribattei. «Sì, me ne rendo conto. Stavo solo riflettendo a voce alta e spero che mi perdonerai. Riflettevo sulla bambina in solaio, quella che dicono sia stata uccisa. È una storia inventata con grande fantasia a proposito di una persona molto piccola. Forse, se sei più fortunato di chiunque altro, vedrai il fantasma della poverina i cui abiti vennero murati.» «Ti dispiace se ti osservo?» chiesi. «Se intendi intrufolarti nella mia mente con un simile abbandono, voglio dire. Ci siamo incontrati qualche tempo fa, prima che accadesse tutto ciò: Le stat, il viaggio in paradiso, questo posto... Non ti ho mai davvero studiato. Non saprei dire se per indifferenza o per eccessiva edu cazione.» Mi stupì sentire una simile foga nella mia voce. Ero stizzoso, ma non per colpa di David Talbot. «Sto pensando alle informazioni convenzionali che ti riguardano», aggiunsi. «Non sei nato in questo corpo, eri un uomo anziano quando Lestat ti ha conosciuto, il corpo che abiti ora apparteneva a un'anima scaltra che poteva passare da un essere vivente all'altro e inse diarsi nel corpo in cui si era introdotta in maniera abusiva.» Lui mi rivolse un sorriso disarmante. «Così ha detto Lestat», precisò. «Così ha scritto Lestat. È vero, naturalmente. Lo sai. Lo sai da quando mi hai visto per la prima volta.» «Abbiamo passato insieme tre notti. E non ti ho mai interro gato davvero. Voglio dire che non ti ho nemmeno guardato drit to negli occhi.» «All'epoca stavamo pensando a Lestat.» «E adesso no?» «Non lo so», rispose. «David Talbot», dissi, soppesandolo con uno sguardo gelido. «David Talbot, Generale Superiore dell'ordine degli investiga tori del paranormale noto come Talamasca, venne catapultato nel corpo in cui adesso cammina.» Non sapevo se stavo parafra sando oppure inventando di sana pianta man mano che procede vo. «Era stato trincerato o incatenato all'interno, imprigionato da così tante vene fibrose e poi trasformato suo malgrado in un vampiro allorché un impetuoso, insaziabile sangue inondò la sua fortunata anatomia, sigillando all'interno la sua anima mentre lo trasformava in un immortale, in un uomo dalla scura pelle ab bronzata e secca, dai lucidi e folti capelli neri.» «Credo che tu abbia ragione», replicò con cortesia indul gente. Page 8 «Un gentiluomo di bell'aspetto e color caramello», conti nuai, «che si muove con una tale agilità felina e con tali occhiate dorate da farmi ripensare a tutte le cose un tempo gradevoli, e adesso a un pot-pourri di aromi: cannella, chiodi di garofano, peperoncini non troppo piccanti e altre spezie color oro, marro ni o rosse, le cui fragranze possono paralizzarmi il cervello e im mergermi in desideri erotici che vivono ora più che mai, per rea lizzarsi. La sua pelle deve avere lo stesso profumo degli anacardi e di dense creme di mandorla. Sì.» Lui rise. «Capisco cosa vuoi dire.» Avevo sconvolto me stesso. Per un attimo mi sentii infelice. «Io non sono sicuro di capirlo», ammisi in tono di scusa. «Credo sia evidente», ribatté lui. «Vuoi che ti lasci solo.» Colsi subito l'assurda contraddizione in tutto quello. «Ascol ta», sussurrai. «Sono turbato. I miei sensi s'incrociano come al trettanti fili per stringere un nodo: gusto, vista, odorato, tatto... Sto perdendo il controllo.» Mi chiesi oziosamente e maligna mente se potevo aggredirlo, ghermirlo, sottometterlo alla mia ar te e alla mia astuzia superiori alle sue e assaggiarne il sangue sen za il suo consenso. «Ho fatto troppa strada per questo», disse. «E perché mai dovresti correre un simile rischio?» Che autocontrollo. Dentro di lui l'uomo più anziano domina va davvero la carne più vigorosa e giovane, il saggio mortale che esercitava una ferrea autorità su tutte le cose eterne e dalla po tenza sovrannaturale. Che miscuglio di energie! Sarebbe stato piacevole bere il suo sangue, prenderlo contro la sua volontà. Sulla terra non esiste un divertimento pari allo stupro di un eguale. «Non lo so», ammisi, vergognandomi. Lo stupro è indegno di un uomo. «Non so perché t'insulto. Sai, volevo andarmene in fretta. Voglio dire che intendevo visitare il solaio e poi andarme ne di qui. Volevo evitare questo tipo d'infatuazione. Sei un por tento e mi consideri un portento, e questo è davvero il colmo.» Lasciai che il suo sguardo corresse su di me. L'ultima volta in cui ci eravamo incontrati ero stato senza dubbio cieco nei suoi confronti. Si vestiva per fare colpo. Con l'acume dei vecchi tempi, quan do gli uomini sapevano agghindarsi come pavoni, aveva scelto varie sfumature del color seppia dorato e della terra d'ombra per i propri abiti. Era elegante, lindo e ornato da frammenti di oro puro rappresentati da un orologio da polso e bottoni, e una spil la sottile per la sua cravatta moderna, la sartoriale cascata di co lore che gli uomini mettono in quest'epoca, come per permetter ci di ghermirli molto più agevolmente grazie al suo nodo. Un ornamento stupido. La camicia di cotone lucido era di una tonalità tra il rosso e il nero, piena di sfumature che evocavano il sole e la terra intiepidita. Le scarpe erano marroni, lucenti come dorsi di coleotteri. Mi si avvicinò. «Sai cosa sto per chiederti», disse. «Non lot tare contro i pensieri inarticolati, queste nuove esperienze, tutta questa soverchiante comprensione. Ricavane un libro per me.» Non avrei potuto prevedere che la sua domanda sarebbe stata quella. Rimasi stupito, dolcemente stupito, colto alla sprovvista. «Ricavarne un libro? Io? Armand?» Andai verso di lui, svoltai in modo brusco e corsi su per le scale fino al solaio, costeggiando il terzo piano e poi arrivando al quarto. Lì l'aria era densa e tiepida. Era un luogo cotto quotidiana mente dal sole. Tutto pareva secco e dolce, il legno simile a in censo e i pavimenti scheggiati. Page 9 «Ragazzina, dove sei?» chiesi. «Bambina, vorrai dire», mi corresse lui. Era salito dietro di me, impiegandovi un po' di tempo per essere gentile. «Non è mai stata qui», aggiunse. «Come lo sai?» «Se fosse un fantasma, potrei chiamarla», spiegò. Guardai dietro di me. «Hai quel potere? Oppure è solo ciò che vuoi dirmi in questo momento? Prima di spingerti oltre, la scia che ti avvisi che non abbiamo quasi mai il potere di vedere gli spettri.» «Io sono completamente nuovo», dichiarò David. «Sono di verso da chiunque altro. Sono entrato nel Mondo delle Tenebre con facoltà diverse. Posso dire che noi, la nostra specie, i vampi ri, ci siamo evoluti?» «Il termine convenzionale è sciocco», risposi. Mi addentrai nel solaio. Intravidi una piccola camera con intonaco e rose scro state, grandi e flosce rose vittoriane ben disegnate e dalle pallide foglie verdi coperte di lanugine. Entrai. La luce filtrava da un'al ta finestra dalla quale una bambina non avrebbe potuto guardare fuori. Spietato, pensai. «Chi ha detto che una bambina è morta qui?» chiesi. Era tut to pulito, sotto il sudiciume degli anni. Non percepii nessuna presenza. La situazione sembrava perfetta e giusta, nessun fanta sma a consolarmi. Perché mai un fantasma avrebbe dovuto la sciare un delizioso riposo per il mio bene? Quindi potevo forse rannicchiarmi accanto al ricordo di lei, alla sua tenera leggenda. Come vengono assassinati i bambini in orfanotrofi in cui lavorano solo suore? Non avevo mai considera to le donne così crudeli. Inaridite, magari prive d'immaginazio ne, ma non aggressive come noi, tanto da uccidere. Ruotai più volte su me stesso. Alcuni armadietti di legno oc cupavano una parete, uno di essi era aperto e lì c'erano le scarpe cadute, scarpine basse coi lacci neri, e, voltandomi, vidi il buco dai contorni irregolari da cui avevano estratto i vestiti. Tutti ca duti lì, ammuffiti e spiegazzati, i suoi vestiti. L'immobilità calò su di me come se la polvere di quel posto fosse ghiaccio sottile che giungeva dalle alte cime di montagne orgogliose e mostruosamente egoiste per congelare tutte le crea ture viventi, questo ghiaccio, per imprigionare e paralizzare per sempre tutto ciò che respirava, sentiva, sognava o viveva. Lui recitò dei versi: «'Non temere più il calore del sole'», sus surrò. «'Né i rabbiosi furori dell'inverno. Non temere più...'» Trasalii di piacere. Conoscevo quei versi. Li amavo. M'inginocchiai, come davanti al Sacramento, e toccai i vestiti della bambina. «Era piccola, non aveva più di cinque anni, e non morì affatto qui. Nessuno la uccise. Niente di così speciale per lei.» «Le tue parole smentiscono ciò che pensi», disse lui. «No, penso a due cose insieme. C'è un che di distintivo nel l'essere uccisi. Io sono stato ucciso. Oh, non da Marius, come potresti immaginare, ma da altri.» Mi accorsi di parlare in tono sommesso e presuntuoso, perché le mie parole non intendevano essere soltanto melodrammatiche. «Sono ornato di Page 10

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