eBook Laterza Domenico Musti Introduzione alla storia greca Dalle origini all'età romana Per una visualizzazione ottimale si consiglia l'utilizzo del font Times New Roman © 2012, Gius. Laterza & Figli Edizione digitale: settembre 2013 www.laterza.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 9788858104200 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata Prefazione Nella versione ridotta che qui propongo della Storia greca. Linee di sviluppo dall’età micenea all’età romana (1989), non posso rinunciare ad alcune componenti essenziali, ma, nello sforzo di fornire un manuale più agile per una prima informazione, ho voluto a) conservare alcuni dati essenziali; b) eliminare in maniera coerente alcuni approfondimenti, che – chi vorrà – potrà ritrovare nella versione originaria e integrale del manuale medesimo; c) cogliere l’occasione per fornire alcuni aggiornamenti che consente (e al tempo stesso raccomanda) il non breve lasso di tempo (quattordici anni circa) intercorso tra la prima uscita del libro e questo compendio. Per cominciare con i dati essenziali, non ho potuto rinunciare alla indicazione e caratterizzazione di grandi soggetti storici, come popoli, città, protagonisti, uomini politici, dinastie e principi regnanti, o come regioni e territori di rilevanza storico-politica; né alla citazione di istituzioni e leggi, di aspetti della cultura, della religione, della filosofia; né alla illustrazione di forme dell’economia, della produzione e del commercio. Ho però dovuto ridurre il peso della citazione e dell’analisi di fonti, che rappresentano l’oggetto di una riflessione preparatoria, destinata a rimanere un po’ nascosta agli occhi di chi desidera una sintesi di larga informazione e una introduzione alla materia. Per la stessa ragione, tagli o ridimensionamenti hanno riguardato anche l’apparato illustrativo, le note in calce al testo, la bibliografia e, in parte, le stesse note integrative. Ovviamente, neanche questa versione vuole rinunciare a delineare un profilo dello sviluppo storico del mondo greco che sia scientificamente valido: perciò agli autori antichi si lascia uno spazio e si fanno richiami adeguati alla loro importanza, in particolare per la storia politica, dedicando una speciale attenzione alla storiografia, ma senza neanche sacrificare del tutto la letteratura di altro genere; lo stesso criterio ha ispirato i riferimenti ad aspetti artistici e religiosi. Viceversa, qualche arricchimento, rispetto all’edizione originaria, nonostante la forte riduzione quantitativa e gli evidenti limiti di spazio di questo manuale, è assicurato dall’aggiornamento che l’attuale edizione ha comportato. Forse l’incremento più significativo (anche se non unico) risulta dalle notizie sulle iscrizioni micenee in Lineare B, scoperte a Tebe, e dai riferimenti ad altre novità archeologiche ed epigrafiche, che ogni studioso di storia del mondo antico deve tenere presenti. Ma non è da sottovalutare il paradossale vantaggio che concede all’autore la brevità che si impone a un manuale destinato a una informazione preliminare: il ‘vantaggio’ di dover mirare a una formulazione essenziale delle idee-guida, nella rappresentazione della storia di un popolo, cioè di una società, delle sue istituzioni, delle sue vicende, della sua anima. Spero che la scelta sia stata felice e la brevità buona consigliera. D.M. Roma, settembre 2002 Introduzione Va premesso un quadro della storia degli studi, soprattutto delle grandi opere di consultazione che costituiscono le pietre miliari della ricerca. Occorre partire almeno da quella straordinaria stagione di riflessioni critiche, di emergente e rinnovato interesse archeologico e nuovi scavi, di fondazione di nuove tecniche d’indagine e d’esposizione, che corrisponde più o meno al secondo quarto del XVIII secolo (1725-1750). È questa infatti l’epoca in cui, per la storia romana, si segnalano le ricerche critiche sui primi secoli di quella storia, di Louis de Beaufort (1738), in cui in Italia si avviano gli scavi di Ercolano e di Pompei e si riscopre Paestum (1738-1748): il periodo in cui, per effetto di trasformazioni che sono insieme della cultura (preilluministica ed illuministica) e del modo di governare, anche la scienza dell’antichità muove i suoi primi passi nella direzione in cui ancora oggi tutto sommato prosegue, svincolandosi parzialmente e però anche progressivamente dai moduli umanistici, i quali erano ispirati a un gusto antiquario, che si esercitava sui temi limitati e specifici della tradizione medesima (sentita come un inventario di exempla morali) e dalla convinzione di continuarla. Tutto il Settecento illuminista, riformatore, rivoluzionario, appare come prefazione alla nascita delle prime opere sistematiche sull’antichità classica, nel senso moderno. Al solito, la ricerca su Roma è ancora una volta quella che fa da battistrada: così la epocale Römische Geschichte di Barthold Georg Niebuhr (1811, 1a ed.) precede la ricerca sull’economia pubblica ateniese di August Boeckh, Die Staatshaushaltung der Athener, 1817 (o la Geschichte hellenischer Stämme und Städte di Karl Otfried Müller, 1824; 2a ed., curata da F.W. Schneidewin, 1844). Nel campo della ricerca epigrafica, d’altra parte, fu con la collaborazione di Niebuhr che nacque il progetto dello stesso Boeckh per un Corpus Inscriptionum Graecarum (CIG, 4 voll., 1828-1877). Niebuhr era del resto studioso del mondo greco, oltre che di quello romano. Si deve poi a U. von Wilamowitz-Moellendorff, nel 1906, l’avvio del progetto di revisione e sistemazione delle epigrafi dell’intera grecità: il progetto delle Inscriptiones Graecae (IG) in 15 volumi (e più fascicoli), che doveva realizzarsi solo in parte, e dapprima nella veste della cosiddetta editio maior, quindi in quella più agile e funzionale della seconda edizione (editio minor), dal 1913. Le scoperte archeologiche di Paestum e l’avvio degli scavi regolari di Ercolano e di Pompei (1738-1748) aprono quel nuovo capitolo dello studio dell’antichità che matura nell’età contemporanea. Dopo il periodo preparatorio del Settecento, in cui si segnalano storie greche di studiosi britannici come J. Gillies (1786) e W. Mitford (1784-1794), si assiste a una seconda grande stagione, della quale potremmo indicare come punto d’arrivo, sotto il profilo metodologico, il 1870. Con Boeckh e con Müller la storia greca si presentava ormai come storia di istituzioni e di popoli. È anche naturale che agli inizi della manualistica greca si presentino visioni complessive della grecità, centrate intorno a una ‘tesi’: l’esaltazione appassionata, e in parte anche unilaterale, della democrazia ateniese nella History of Greece del liberale inglese George Grote (12 voll., London 1846- 1856), che si inseriva in una tradizione di opere inglesi, di storia greca, ideologicamente improntate, pur se con orientamenti diversi (quelle di J. Gillies e W. Mitford, già ricordate, e l’importante History of Greece del conservatore C. Thirlwall). La History of Greece di G. Grote ha certamente il merito di fissare l’attenzione su quello che a tutt’oggi vale come l’esperimento politico centrale dell’antichità greca. Una ‘tesi’ e una visione di fondo e il gusto per la storia regionale si coniugano ancora nell’opera di Ernst Curtius, autore di una Griechische Geschichte (3 voll., Berlin 1857-1867), ma, già prima, di un’opera sul Peloponneso, in 2 voll. (1851-1852). Nella stessa parte dell’Ottocento (ante 1870), in cui vedono la luce opere generali di grande impegno, impostate su una ‘tesi’ o un problema centrale, si colloca la Geschichte Alexanders des Grossen (1833), seguita dalla Geschichte des Hellenismus (2 voll., 1836-1843) di Johann Gustav Droysen (nella seconda edizione, 3 voll., 1877-1878, il titolo di Geschichte des Hellenismus era esteso anche al I volume). Con l’opera del Droysen la ricerca sulla storia greca reagiva tempestivamente alla tentazione – spesso nella pratica manualistica però riaffiorante – di considerare il periodo dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.) come un’epoca di declino del mondo greco, come l’inizio della sua fine, si fondava dunque la possibilità di concepire la storia della grecità come storia della cultura, vista nel suo stretto intreccio con la politica: per il Droysen all’ellenismo era sottesa un’unità di fondo, che ad esempio – com’è soprattutto nella prima edizione – è riconosciuta nella funzione di preparazione della humus storica del Cristianesimo. Il termine ellenismo non doveva piacere a tutti: così il Grote, che pur estendeva, col XII volume, la sua History of Greece fino al periodo che noi chiamiamo ellenistico, rivolgendo la sua attenzione, nell’ultimo capitolo, a quelle che egli chiama hellenic (non Hellenistic) cities, critica come fuorviante l’uso del termine Hellenism per indicare gli Stati e la cultura di mistione etnica nati dalla conquista di Alessandro; per lui Hellenism poteva indicare solo la grecità del periodo dell’autonomia (l’uso del termine per una cultura orientale permeata di grecità doveva essergli sgradito, nella sua visione elleno-e atenocentrica, e apparirgli linguisticamente improprio ed equivoco). In questa fase (primi due terzi dell’Ottocento) la ricerca di una posizione unitaria nella descrizione dei fatti della storia greca è evidente, e anche – non si può negarlo – giustificata. Dopo il 1870 (e la data costituisce davvero quasi uno spartiacque) molte cose cambiano, con una velocità e una intensità che hanno pochi riscontri in altre epoche. È ormai l’età del positivismo; è anche l’epoca dominata, anche se ovviamente non esclusivamente rappresentata, dall’apporto della tedesca Altertumswissenschaft (scienza dell’antichità). Si sviluppano le cosiddette Hilfswissenschaften (scienze ausiliarie) della storia, che presto però aspirano a una loro autonomia: archeologia, epigrafia, papirologia, numismatica, metrologia; si moltiplicano ricerche, scavi, studi, raccolte di corpora, a seconda della specializzazione di ciascuna disciplina. È anche, per i testi letterari, il periodo delle grandi edizioni critiche, come anche quello della scoperta di nuovi testi: una data certamente epocale è nella identificazione ad opera dell’inglese Frederic Kenyon (1890; pubblicazione nel 1891) di un papiro londinese contenente gran parte del testo della Athenaíon Politeía (Costituzione degli Ateniesi) di Aristotele. Sul piano della ricerca archeologica, basti menzionare le straordinarie scoperte di Heinrich Schliemann (1822- 1890) a Troia, Tirinto, Micene, Orcomeno, Itaca, che rinnovano completamente la base documentaria della conoscenza del mondo descritto da Omero. Località di Creta sono oggetto di scavi di archeologi italiani (a Haghia Triada e Festo, Federico Halbherr, dal 1884), inglesi (Arthur Evans a Cnosso) e di altri paesi. La Geschichte des Altertums di Eduard Meyer comprende 5 volumi in più tomi (1884-1902); il I e il II volume sono dedicati all’Oriente antico, i successivi alla storia dei Greci fino all’età di Filippo II. L’idea centrale del Meyer è quella di una storia ‘universale’, che abbracci l’Oriente e l’Occidente: la sua conoscenza delle lingue orientali, la sua vasta esperienza egittologica gli consentono di dare quindi uno spazio amplissimo all’antefatto orientale della storia greca. Per caratteristiche particolarissime si segnala la Griechische Geschichte di Karl Julius Beloch, comparsa dapprima in 3 volumi (1893-1904), poi, in una 2a ed. in 4 volumi, di cui ciascuno diviso in 2 tomi (1912-1927). Il I tomo di ciascun volume è espositivo, narrativo, anche se già imposta, nella narrazione e nelle note, interpretazioni e discussioni critiche; l’apparato più propriamente erudito, fatto di ulteriori discussioni e di dati cronologici, genealogici, insomma di tutto un bagaglio filologico assai esteso, è concentrato utilmente nel II tomo di ogni volume. Con Beloch, la prospettiva storica torna a farsi decisamente ellenocentrica; l’opera riusciva a estendersi fino alla pace di Naupatto (217 a.C.), cioè fino alla vigilia dell’intervento militare romano in Grecia. Il prodotto storiografico è di altissimo livello critico; sarebbe impensabile prendere posizione, su qualunque tema della storia greca del periodo ricordato, senza passare attraverso una prima, profonda riflessione sulle pagine di Beloch. È anche vero tuttavia che nel rigido positivismo del Beloch (che gli suggeriva un’attenzione notevolissima agli aspetti della società e dell’economia, della demografia e della geografia, e questo già nel primo tomo di ciascun volume) era presente la convinzione di fondo che la veridicità delle fonti antiche dovesse essere sempre dimostrata: in dubio, si direbbe, contra reum. Moltissime delle conclusioni del grande Beloch restano ancor oggi valide, soprattutto per i volumi II-IV della sua Geschichte, cioè per il periodo che va dall’età delle guerre persiane sino al 217 a.C.; invece, la cronologia ribassista delle tirannidi arcaiche e il modo stesso di argomentare sulla tradizione relativa alla migrazione dei Dori nel Peloponneso appaiono oggi suscettibili di revisione. Sarebbe comunque errato ed ingiusto limitare a Beloch questa caratteristica metodologica: essa è presente in una miriade di lavori minori di autori diversi, nei decenni che vanno dal 1870 alla I guerra mondiale. Tanto benemerita fu quell’epoca nella produzione di edizioni e commentari di autori, quanto, assai spesso, distruttiva nell’esegesi storica. Di questo spirito innovatore, e spesso ipercritico, sono per quell’epoca partecipi così gli scritti dei filologi come quelli degli storici. Al confronto, sembra quasi di cogliere voci di altra epoca – e invece si tratta solo di portavoci di altre esigenze o di altri ambienti culturali –, quando si leggono le pagine della Griechische Kulturgeschichte dello storico di Basilea Jacob Burckhardt (in realtà, elaborazione postuma di appunti delle sue lezioni, pubblicata in 4 volumi a cura di Jacob Oeri tra il 1898 e il 1902), in cui assolvevano un ruolo centrale la categoria concettuale dell’‘agonismo’ e l’immagine dell’uomo greco come ‘uomo agonale’. A parte va considerato l’apporto della ricerca sociologico-istituzionale francese, o francofona in generale, che si estende dalle forme originarie delle strutture sociali agli aspetti del vivere quotidiano, degli individui come degli stessi Stati: tutto un bagaglio di temi e di nozioni non-avvenimentali, nella cui presentazione, in ragione stessa del contenuto, era meno assillante il problema fondamentale della critica delle fonti, quello del valore della cronologia, degli eventi e dei personaggi storici presentati dalla tradizione. Mi riferisco alle ricerche di P. Guiraud sulla proprietà fondiaria nell’antichità e sulla manodopera industriale nell’antica Grecia (1893; 1900), agli studi del belga H. Francotte sull’industria greca (1900-1901), a quelli di L. Gernet sull’approvvigionamento di grano nell’Atene del V-IV secolo (1909), o di Gustave Glotz sul lavoro nel mondo greco (1920) o su La cité grecque (1a ed., 1928), che continua ed aggiorna il tema della celebre opera di N.D. Fustel de Coulanges su La cité antique (1864). Le opere di Fr. Lenormant (1881-1884) sulla Magna Grecia, e di A. Holm (1870-1898) e di E. Freeman (1891-1894) sulla Sicilia antica, corrispondono alle esigenze critiche poste dall’età positivista, che per la Sicilia antica e la Magna Grecia erano tanto più valide, quanto più si doveva rispondere all’obbligo di confrontare e coordinare i dati della tradizione letteraria con quelli archeologici e numismatici. In questo campo lo spirito di esplorazione è stato sempre decisivo (si trattava di scoprire vestigia greche all’interno o al di sotto d’un contesto diverso): e l’opera di Paolo Orsi in Sicilia (dove l’archeologo trentino continuava l’opera di J. Schubring, di A. Salinas, di F. Cavallari), come in Italia meridionale, rappresenta forse il momento decisivo del progressivo passaggio dall’età dei viaggiatori a quella degli esploratori e scavatori di resti archeologici. Si possono dunque distinguere, all’interno della ricerca moderna e contemporanea sul mondo greco, fino alla prima guerra mondiale, tre grandi periodi: quello che va dal 1725 ca. alla fine del XVIII secolo; quello che dai primi dell’Ottocento giunge al 1870 ca.; quello compreso tra questa data e gli anni 1914-1918. Il resto è bibliografia, ed è anche l’ultima fase della storia della ricerca, caratterizzata, già a una prima considerazione, dai seguenti tratti. 1) Il moltiplicarsi e infittirsi delle ricerche particolari. 2) Il massiccio apporto dei più diversi paesi alla storia degli studi, come chiaro riflesso di quella profonda interazione fra le culture di ogni continente, che gli eventi della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale hanno decisamente accelerato. 3) Il