ebook img

Introduzione Alla Psicoanalisi Vol.2 di 2 PDF

317 Pages·2010·1.13 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Introduzione Alla Psicoanalisi Vol.2 di 2

INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISIdi Sigmund Freud Volume secondo Parte terza TEORIA GENERALE DELLE NEVROSI Lezione 16 - PSICOANALISI E PSICHIATRIA Signore e Signori, sono lieto di rivedervi in questo nuovo anno accademico, disposti a continuare le nostre discussioni. Lo scorso anno vi ho esposto come la psicoanalisi affronta il problema degli atti mancati e del sogno; quest’anno vorrei iniziarvi alla comprensione dei fenomeni nevrotici che, come ben presto scoprirete, hanno molti punti in comune coi primi due. Ma vi dico subito che questa volta non posso concedervi di assumere nei miei confronti la stessa posizione dello scorso anno. Allora ebbi cura di non fare alcun passo senza assicurarmi prima del vostro consenso, e perciò discussi parecchio con voi, mi assoggettai alle vostre obiezioni, riconobbi insomma che voi e il vostro “sano buon senso” eravate l’istanza decisiva. Ora questo non è più possibile per una semplice ragione. In quanto fenomeni, gli atti mancati e i sogni non vi erano estranei; si può dire che ne avevate tanta esperienza quanto me o che vi era altrettanto facile procurarvela. L’ambito delle manifestazioni nevrotiche vi è invece estraneo: a meno che non siate medici voi stessi, non avete altro accesso a questi fenomeni che attraverso le mie parole; e a che serve saper giudicare se non si ha familiarità con il materiale sul quale il giudizio va espresso? Non vorrei però che intendeste questo mio annuncio nel senso che io mi riprometta di tenere lezioni dogmatiche ed esiga la vostra fede incondizionata. Fraintendendomi in questo modo, mi fareste un grave torto. Non è mia intenzione convincere nessuno; voglio solo dare suggerimenti e scuotere pregiudizi. Se, mancandovi la conoscenza dei fatti, non siete in grado di esprimere un giudizio, astenetevi tanto dal credere quanto dal respingere. Ascoltate, e lasciate agire su di voi ciò che apprenderete da me. Le convinzioni non si acquistano tanto facilmente, oppure, se raggiunte senza fatica, alla prima occasione si rivelano prive di valore e incapaci di resistere alle obiezioni. Soltanto chi, come me, per molti anni ha lavorato sullo stesso materiale e ha così vissuto di persona le medesime, nuove e sorprendenti esperienze, ha diritto di dichiararsi convinto. Ma comunque, a che giovano nel campo intellettuale le subitanee convinzioni, le fulminee conversioni, gli istantanei rifiuti? Non vi accorgete che il “coup de foudre”, l’amore a prima vista, proviene da un campo totalmente diverso, che è quello affettivo? Nemmeno dai nostri pazienti noi pretendiamo che vengano in cura già convinti della validità della psicoanalisi o dichiarandosi suoi seguaci. Spesso anzi questo ce li rende sospetti. Un benevolo dichiarandosi suoi seguaci. Spesso anzi questo ce li rende sospetti. Un benevolo scetticismo è l’atteggiamento più desiderabile. Cercate dunque anche voi di lasciare che la concezione psicoanalitica vi cresca dentro a poco a poco, accanto a quella popolare o psichiatrica, fino a che giunga il momento in cui queste due concezioni possano influenzarsi a vicenda, commisurarsi, e unitamente portarvi a una conclusione. D’altra parte, non dovete pensare neppure per un istante che ciò che io vi presento come la concezione psicoanalitica sia un sistema speculativo. Al contrario, si tratta di un materiale empirico, o espressione diretta dell’osservazione o risultato di una rielaborazione di quest’ultima. Se questa rielaborazione sia stata compiuta in misura sufficiente e in modo legittimo, risulterà dall’ulteriore progresso della scienza; comunque, essendo trascorsi quasi due decenni e mezzo ed essendo io alquanto avanzato negli anni, mi è lecito dichiarare senza vanteria che è stato necessario un lavoro in profondità particolarmente duro e intenso per mettere insieme queste osservazioni. Ho sovente avuto l’impressione che i nostri oppositori rifuggissero dal prendere in debita considerazione questa origine delle nostre affermazioni, come se pensassero che si tratta di idee aventi un fondamento puramente soggettivo alle quali chiunque altro può opporre ciò che più gli aggrada. Questo atteggiamento dei miei oppositori non mi è del tutto comprensibile. Forse dipende dal fatto che di solito chi è medico entra così poco in contatto con i nevrotici, ascolta così distrattamente ciò che hanno da dire, che si preclude ogni possibilità di ricavare qualcosa di valido dalle loro comunicazioni e quindi di eseguire su di essi approfondite osservazioni. Colgo quest’occasione per dirvi che nel corso delle mie lezioni polemizzerò assai poco, soprattutto con persone singole. Non ho mai potuto convincermi della verità del detto che la contesa è la madre di tutte le cose. Ritengo che esso provenga dalla sofistica greca e che, come questa, abbia il difetto di sopravvalutare la dialettica. A me sembra, al contrario, che la cosiddetta polemica scientifica sia nel complesso sommamente sterile, a prescindere dal fatto che quasi sempre viene condotta su un piano troppo personale. Fino a pochi anni fa potevo vantarmi anch’io di essermi imbarcato una sola volta in una regolare disputa scientifica con un ricercatore (Löwenfeld) di Monaco). La conclusione fu che diventammo amici e che lo siamo rimasti fino a oggi. Però per lungo tempo non ho ripetuto il tentativo, perché non ero sicuro che ne sarebbe sortito il medesimo risultato. Vi parrà certamente che un simile rifiuto delle discussioni per iscritto indichi quanto io sia inaccessibile alle obiezioni e ostinato, o, per esprimersi nel benevolo gergo degli scienziati, “testardo come un mulo”. Lasciate che vi dica che se un giorno avrete acquisito una convinzione con così duro lavoro, anche a che se un giorno avrete acquisito una convinzione con così duro lavoro, anche a voi spetterà un certo diritto di tenervi saldi a essa con una buona dose di tenacia. Posso inoltre far valere il fatto che nel corso dei miei lavori ho modificato, mutato, sostituito i miei punti di vista su alcuni aspetti importanti, cosa di cui, naturalmente, ho dato ogni volta pubbliche comunicazioni. E il risultato di questa franchezza? Gli uni non hanno preso, semplicemente, conoscenza dei miei ripensamenti e mi criticano ancor oggi per enunciazioni che da tempo non hanno più per me lo stesso significato; gli altri mi rinfacciano proprio quei mutamenti e mi dichiarano per conseguenza indegno di fiducia. Già! Chi ha mutato qualche volta di opinione non merita assolutamente fiducia, essendo probabile che sbagli anche nelle sue ultime affermazioni! Chi invece si attiene imperturbabile a quanto una volta ha dichiarato, o non se ne lascia dissuadere abbastanza velocemente, costui lo chiamano cocciuto e testardo. Di fronte a questi attacchi contraddittori della critica, che altro si può fare se non rimanere quelli che si è e comportarsi secondo il proprio discernimento? Io sono risoluto a fare così e non mi lascio distogliere dal mettere a punto e limare ogni mia teoria nel modo in cui lo richiede la mia progressiva esperienza. Nelle vedute fondamentali non ho finora trovato nulla da mutare e spero che le cose resteranno così anche in seguito. Devo dunque illustrarvi come la psicoanalisi spiega i fenomeni della nevrosi A questo proposito, mi viene spontaneo riallacciarmi ai fenomeni già trattati, sia per analogia che per contrasto. Comincio con un’azione sintomatica che vedo compiere da molte persone nelle mie ore di consultazione. L’analista non sa davvero che fare con coloro che gli fanno visita in studio per sciorinargli dinanzi in un quarto d’ora gli affanni di tutta la loro vita. Poiché la sua conoscenza è più profonda gli è difficile dare un parere e impartire un consiglio come farebbe un altro medico: “Lei non ha niente”, e: “Ricorra a una leggera cura idroterapica”. Uno dei miei colleghi, alla domanda che cosa facesse con i pazienti che venivano a consultarlo, rispose con un’alzata di spalle: “impongo loro una multa di tante e tante corone per l’inutile spreco di tempo”. Nessuna meraviglia quindi se anche nel caso di psicoanalisti molto occupati le ore di consultazione non sono di solito molto vivaci. Io ho fatto raddoppiare e rinforzare con un rivestimento di feltro la porta semplice tra la mia sala d’attesa e il gabinetto di consultazione e trattamento. Lo scopo di questo piccolo espediente non può essere dubbio per nessuno. Ebbene, mi capita continuamente di chiamare qualcuno che sta in sala d’attesa nel mio gabinetto, e che costui tralasci di chiudere la porta dietro di sé e quasi sempre lasci aperte entrambe le porte. Non appena me ne accorgo, insisto in tono piuttosto scortese entrambe le porte. Non appena me ne accorgo, insisto in tono piuttosto scortese che colui o colei che è entrato torni indietro a riparare all’omissione anche se si tratta di un signore elegante o di una signora molto distinta. Questo dà l’impressione di una pedanteria inutile. Qualche volta ho anche fatto una brutta figura, poiché si trattava di una di quelle persone che non possono afferrare una maniglia e sperano che qualche accompagnatore risparmi loro questo contatto. Ma nella maggioranza dei casi avevo ragione, poiché chi si comporta così, chi lascia aperta la porta tra la sala d’attesa e il gabinetto di consultazione del medico è un maleducato e merita di venir accolto scortesemente. Ascoltate il resto prima di giudicare. Questa negligenza del paziente si verifica infatti soltanto quando si è trovato solo nella sala d’attesa e quindi lascia dietro di sé una stanza vuota, mai quando degli estranei hanno aspettato insieme con lui. In tal caso egli comprende molto bene che è nel suo interesse non venir ascoltato mentre parla con il medico e non trascura mai di chiudere accuratamente entrambe le porte. Pertanto l’omissione del paziente è determinata da qualcosa che non è né casuale né priva di senso, e neppure è mai irrilevante, poiché vedremo che illumina il rapporto fra colui che entra e il medico. Il paziente appartiene alla grande massa di coloro che esigono autorità terrena, che vogliono venire abbagliati, intimoriti. Forse mi ha fatto chiedere per telefono a che ora potesse essere ricevuto più facilmente, poiché era preparato a una ressa di gente in cerca di aiuto, pressappoco come davanti a una filiale di Julius Meinl. Ora entra in una sala d’attesa vuota, per di più arredata con estrema modestia, e ne è scosso. Deve far scontare al medico l’eccessivo e superfluo rispetto di cui intendeva farlo oggetto, e allora... omette di chiudere la porta tra la sala d’attesa e il gabinetto di consultazione. Come volesse dire al medico: “Ah, ma qui non c’è nessuno e probabilmente non verrà nessuno per tutto il tempo che starò qui”. Se fin dall’inizio non si mettesse un freno alla sua arroganza con un severo rimbrotto, quest’individuo si comporterebbe molto sgarbatamente e irrispettosamente anche durante il colloquio. Facendo l’analisi di questa piccola azione sintomatica non trovate nulla che non vi sia già noto: c’è l’asserzione che essa non è casuale, bensì ha un motivo, un senso e un’intenzione; che fa parte di un contesto psichico dimostrabile e che, attraverso un piccolo indizio, ci dà notizia di un processo psichico più importante; ma, più di ogni altra cosa, che il processo così indicato è sconosciuto alla coscienza di colui che lo compie; infatti nessuno dei pazienti che avevano lasciato aperte entrambe le porte sarebbe in grado di ammettere che con questo gesto voleva mostrarmi la sua disistima. Qualcuno di loro ricorderebbe probabilmente un suo moto di disappunto all’entrare nella sala d’attesa vuota, probabilmente un suo moto di disappunto all’entrare nella sala d’attesa vuota, ma il nesso tra questa impressione e la successiva azione sintomatica è sicuramente rimasto ignoto alla sua coscienza. Accanto a questa piccola analisi di un’azione sintomatica trova ora il suo posto un’osservazione fatta su una malata. La scelgo sia perché è fresca nella mia memoria, sia perché si lascia esporre in forma relativamente breve, per quanto ogni esposizione di questo tipo richieda un certo numero di dettagli. Un giovane ufficiale tornato a casa per una breve licenza mi prega di prendere in cura la suocera che, pur essendo nelle più felici condizioni, amareggia la vita a sé e ai suoi con un’idea assurda. Faccio la conoscenza di una signora di cinquantatré anni, ben conservata, di natura cordiale e semplice, che senza riluttanza mi fa il seguente racconto. Essa vive in campagna, felicemente sposata, con il marito che dirige una grande fabbrica. Non sa lodare abbastanza l’amorevole sollecitudine del marito. Matrimonio d’amore che dura da trent’anni, e da allora mai un turbamento, un dissenso o un motivo di gelosia. I loro due figli sposati bene; il marito e padre non vuole ancora mettersi a riposo per senso del dovere. Un anno prima - fatto incredibile e a lei stessa incomprensibile - prestò immediatamente fede a una lettera anonima che incolpava il suo eccellente marito di avere una relazione amorosa con una ragazza; da allora la sua felicità è distrutta! Lo svolgimento più particolareggiato dei fatti fu pressappoco il seguente. Essa aveva una cameriera, con la quale forse parlava troppo spesso di cose intime. Questa ragazza ne perseguitava un’altra con un’inimicizia addirittura astiosa, poiché costei aveva fatto più strada nella vita sebbene non fosse di estrazione migliore della sua. Invece di andare a servizio, la ragazza si era procurata un’istruzione commerciale, era entrata nella fabbrica e, in seguito a carenza di personale per gli arruolamenti del tempo di guerra, aveva raggiunto una buona posizione. Ora abitava nella fabbrica stessa, aveva contatti con tutti i signori e veniva chiamata addirittura “signorina”. Quella rimasta indietro nella vita era naturalmente pronta a dire tutto il male possibile dell’antica compagna di scuola. Un giorno la nostra signora discorreva con la cameriera a proposito di un vecchio signore che era stato loro ospite, del quale si sapeva che non viveva con la moglie ma intratteneva una relazione con un’altra donna. Non sa come avvenne che improvvisamente dichiarò: “La cosa più terribile per me sarebbe venire a sapere che anche il mio caro marito ha una relazione”. Il giorno seguente ricevette per posta una lettera anonima che, con scrittura alterata, le dava la notizia, diciamo così, evocata. Essa dedusse - probabilmente a ragione - che la lettera fosse opera della cameriera cattiva, poiché quale amante del marito la lettera indicava della cameriera cattiva, poiché quale amante del marito la lettera indicava proprio quella signorina che la cameriera perseguitava con il suo odio. Tuttavia, per quanto intuisse subito l’intrigo e avesse avuto sufficienti esempi nel luogo dove abitava di quanta poca fede meritassero queste vili denunce, questa lettera immantinente la buttò a terra. Cadde in preda a una terribile agitazione e mandò subito a chiamare il marito per fargli i più violenti rimproveri. Il marito respinse l’accusa ridendo e fece la cosa migliore che c’era da fare: chiamò il medico di famiglia e della fabbrica, il quale fece anche lui del suo meglio per calmare l’infelice signora. Pienamente ragionevole fu anche il loro ulteriore modo di procedere: la cameriera venne licenziata, ma non la presunta rivale. La paziente poté essere tranquillizzata varie volte da allora, al punto da non credere più al contenuto della lettera anonima, ma mai fino in fondo e mai per lungo tempo. Era sufficiente udir pronunciare il nome della signorina o incontrarla per strada perché in lei si scatenasse un accesso di diffidenza, di dolore e di rimproveri. Questa è dunque la storia della malattia di questa brava signora. Non occorreva molta esperienza psichiatrica per capire che essa, al contrario di altri nervosi, presentava il suo caso, se mai, in forma troppo mitigata; dunque dissimulava, come diciamo noi, e non aveva mai cessato del tutto di prestar fede all’accusa della lettera anonima. Qual è la posizione dello psichiatra di fronte a un simile caso clinico? Sappiamo già come si comporta di fronte all’azione sintomatica del paziente che non chiude le porte della sala d’attesa. Dichiara che si tratta di un evento casuale privo di interesse psicologico, del quale non vale la pena di occuparsi. Ma questo atteggiamento non può essere mantenuto nei riguardi della malattia della moglie gelosa. Mentre l’azione sintomatica sembra qualcosa di irrilevante, il sintomo si impone invece come qualcosa di importante. Esso è collegato a una intensa sofferenza soggettiva, minaccia oggettivamente la convivenza di una famiglia; richiama dunque innegabilmente l’interesse psichiatrico. Lo psichiatra cerca anzitutto di caratterizzare il sintomo con una qualità essenziale. L’idea con cui questa donna si tormenta non può esser definita assurda in sé: avviene senz’altro che mariti anziani intrattengano relazioni amorose con delle ragazze giovani. Ma c’è qui qualcos’altro di assurdo e incomprensibile. La paziente non ha alcun’altra ragione, all’infuori dell’affermazione della lettera anonima, per credere che il suo coniuge, affettuoso e fedele, appartenga a questa categoria, del resto non rara, di mariti. Essa sa che questo scritto non prova nulla ed è in grado di spiegarsene in modo soddisfacente la provenienza; dovrebbe quindi anche poter dire a sé stessa che non ha alcun motivo per essere gelosa, e se lo dice anche, ma ciononostante soffre ugualmente, come se riconoscesse pienamente fondata la sua gelosia. Idee di questa specie, che sono inaccessibili ad argomenti

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.