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Internet è il nemico. Conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann PDF

176 Pages·2013·2.24 MB·Italian
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Julian Assange INTERNET È IL NEMICO Conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann Feltrinelli Traduzione di Giancarlo Carlotti © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione nella collana “Serie Bianca” giugno 2013 ISBN edizione cartacea: 9788807172588 Introduzione Una chiamata alle armi crittografica Questo libro non è un manifesto. Non c’è tempo per cose del genere. Questo libro è un segnale d’allarme. Il mondo non sta scivolando, sta letteralmente galoppando verso una nuova distopia transnazionale. Questa evoluzione è passata quasi inosservata al di fuori delle cerchie deputate alla sicurezza nazionale. È stata occultata dal segreto, dalla complessità e dalle dimensioni. Internet, il nostro massimo strumento di emancipazione, è stata trasformata nel più pericoloso contributo al totalitarismo che si sia mai visto. Internet è una minaccia per la civiltà. Queste trasformazioni sono avvenute in silenzio perché chi sa che cosa sta succedendo lavora nel settore della sorveglianza globale e non ha il minimo interesse a parlarne. Se abbandonata alla propria inerzia, la civiltà globale diventerà nel giro di pochi anni una postmoderna distopia della sorveglianza, dalla quale nessuno potrà fuggire, a parte gli individui più abili. Anzi, forse ci siamo già. Tanti autori si sono interrogati su quello che significa Internet per la civiltà globale, ma si sbagliano. Si sbagliano perché non hanno la giusta prospettiva frutto dell’esperienza diretta. Si sbagliano perché non hanno mai conosciuto il nemico. Nessuna descrizione del mondo sopravvive al primo contatto con il nemico. Noi abbiamo conosciuto il nemico. Negli ultimi sei anni WikiLeaks ha dovuto combattere con quasi tutte le potenze. Noi conosciamo il nuovo stato della sorveglianza dal di dentro perché abbiamo svelato i suoi segreti. Lo conosciamo dal punto di vista del combattente perché siamo stati costretti a proteggere la nostra gente, le nostre finanze e le nostre fonti. Lo conosciamo dal punto di vista globale perché abbiamo persone, strutture e informazioni in quasi tutti i paesi. Lo conosciamo dal punto di vista cronologico perché combattiamo questo fenomeno da anni e l’abbiamo visto raddoppiare e allargarsi più e più volte. È un parassita invasivo che ingrassa sulle società che si fondono con Internet. Sta dilagando nel pianeta, infettando tutti gli stati e tutti i popoli. Che fare? C’erano una volta, in un posto che non era lì o qui, i costruttori e cittadini della giovane Internet, noi, e discutevamo sul futuro del nostro nuovo mondo. Capivamo che i rapporti fra tutte le persone sarebbero stati mediati dal nostro nuovo mondo, e che sarebbe cambiata anche la natura degli stati, i quali sono delineati dal modo in cui la gente scambia informazioni, valori economici e forza. Capivamo che l’intreccio fra le strutture statali esistenti e Internet favoriva un’apertura al cambiamento nella natura degli stati. Per prima cosa, ricordate che gli stati sono sistemi nelle cui vene scorre la forza coercitiva. Le fazioni all’interno di uno stato possono combattersi per il consenso, portando a fenomeni democratici di superficie, ma le basi degli stati sono l’utilizzo sistematico della violenza e la sua eventuale sospensione. La proprietà terriera e fondiaria, le rendite, i dividendi, le tasse, le sanzioni dei tribunali, la censura, i diritti d’autore e i marchi commerciali vengono fatti tutti rispettare con la minaccia dell’utilizzo della violenza statuale. Di solito non ci accorgiamo nemmeno di quanto siamo vicini alla violenza perché tutti facciamo concessioni per evitarla. Come marinai che annusano il vento, è raro che ci soffermiamo a pensare fino a che punto il nostro mondo di superficie è sorretto dalle tenebre. Nel nuovo spazio di Internet quale sarà il mediatore della forza coercitiva? Ha senso anche solo porre questa domanda? In questo spazio ultraterreno, in questo regno apparentemente platonico di idee e flusso di informazioni, potrebbe esistere il concetto di forza coercitiva? Una forza capace di modificare i dati storici, intercettare i telefoni, separare le persone, trasformare la complessità in un cumulo di macerie ed erigere muri come un esercito d’occupazione? La natura platonica di Internet, fatta di idee e flusso di informazioni, è svilita dalle sue origini fisiche. Le sue basi sono i cavi di fibre ottiche che si snodano sul fondo degli oceani, i satelliti che ruotano sulla nostra testa, i server ospitati nei palazzi di città che vanno da New York a Nairobi. Come il soldato che ammazzò Archimede con una banale spada, altrettanto oggi una falange armata potrebbe assumere il controllo dell’evoluzione di punta della civiltà occidentale, del nostro regno platonico. Il nuovo mondo di Internet, astratto dal vecchio mondo dei bruti atomi, agognava l’indipendenza. Però poi gli stati e i loro amici si sono attivati per mettere sotto sorveglianza il nostro nuovo mondo, controllando le sue basi fisiche. Lo stato, come un esercito schierato attorno a un pozzo di petrolio o un doganiere che pretende mazzette al confine, avrebbe presto imparato ad approfittare del proprio controllo dello spazio fisico per assumere la gestione del nostro regno platonico. Avrebbe impedito l’indipendenza che sognavamo e poi, appostato sulle fibre ottiche e attorno alle stazioni satellitari al suolo, sarebbe passato a intercettare in blocco il flusso di informazioni del nostro nuovo mondo, la sua vera essenza, proprio mentre ogni rapporto umano, economico e politico lo adottava. Lo stato sarebbe filtrato nelle vene e arterie delle nostre nuove società, divorando qualsiasi relazione espressa o comunicata, ogni pagina web letta, ogni messaggio inviato e ogni pensiero googlato, per poi immagazzinare questo sapere, miliardi di intercettazioni al giorno, un potere inaudito, dentro immensi depositi top secret, per sempre. Potrebbe scavare all’infinito in questo tesoro, la produzione intellettuale privata collettiva dell’umanità, utilizzando sempre più sofisticati algoritmi di ricerca e rilevamento pattern, arricchendo il tesoro e massimizzando lo squilibrio di potere tra gli intercettatori e il mondo degli intercettati. Dopodiché lo stato rimanderebbe quanto ha appreso verso il mondo fisico per scatenare guerre, indirizzare droni, manipolare commissioni Onu e accordi commerciali e fare regalie alla sua immensa rete interconnessa di industrie, insider e compari. Però abbiamo scoperto una cosetta. L’unica nostra speranza contro il dominio totale. Una speranza che con coraggio, intuito e solidarietà potremmo sfruttare per resistere. Una strana proprietà dell’universo fisico in cui viviamo. L’universo crede nella cifratura. È più facile cifrare le informazioni che decifrarle. Abbiamo visto che potremmo usare questa strana proprietà per creare le leggi di un nuovo mondo. Per astrarre il nostro nuovo regno platonico dalla sua base fatta di satelliti, cavi sottomarini e relativi controllori. Per consolidare il nostro spazio sotto un velo crittografico. Per creare nuovi territori proibiti a coloro che controllano la realtà fisica perché seguirci sin lì richiederebbe risorse infinite. E in questo modo dichiarare la nostra indipendenza. Gli scienziati del Manhattan Project scoprirono che l’universo consentiva la costruzione di un ordigno nucleare. Non era una conclusione scontata. Forse le armi nucleari non potevano esistere entro le leggi della fisica. Invece l’universo crede nelle bombe atomiche e nei reattori nucleari. Sono un fenomeno che l’universo benedice, come il sale, il mare o le stelle. Allo stesso modo l’universo, il nostro universo fisico, possiede la proprietà di rendere possibile a un individuo o gruppo di individui codificare qualcosa in modo affidabile, automatico, persino inconsapevole, così che tutte le risorse e tutta la volontà politica della più forte superpotenza sulla terra non siano in grado di decodificarla. E i sentieri della cifratura tra persone possono incrociarsi in modo da creare zone libere dalla forza coercitiva dello stato là fuori. Libere dall’intercettazione di massa. Libere dal controllo statale. In questo modo la gente può contrapporre la sua volontà a quella di una superpotenza totalmente mobilitata contro di lei, e vincere. La cifratura è un’incarnazione delle leggi della fisica e non dà ascolto alle vuote minacce degli stati, persino a quelle delle distopie transnazionali della sorveglianza. Non è scontato che il mondo debba funzionare in questo modo. Però in qualche maniera l’universo sorride alla cifratura. La crittografia è l’estrema forma di azione diretta non violenta. Anche se gli stati provvisti di testate nucleari possono esercitare una violenza illimitata su addirittura milioni di individui, la crittografia forte porta con sé che uno stato, persino se esercita una violenza illimitata, non può violare l’intenzione del singolo di tenergli segreto qualcosa. La crittografia forte è in grado di resistere al ricorso illimitato alla violenza. Nessuna dose di coercizione sarà mai capace di risolvere un problema matematico. Potremmo prendere questa bizzarria del mondo e farla diventare un basilare architrave dell’emancipazione per ottenere l’indipendenza dell’umanità nel regno platonico di Internet? E questa libertà, ora che le società si fondono con Internet, potrebbe riflettersi nella realtà fisica in modo da ridefinire lo stato? Gli stati, non dimentichiamolo, sono i sistemi che determinano dove e come la forza coercitiva si applica in modo consistente. Il problema di quanta coercizione può filtrare nel regno platonico di Internet dal mondo fisico trova una risposta nella crittografia e negli ideali dei cypherpunk. Ora che gli stati si fondono con Internet e il futuro della nostra civiltà diventa il futuro di Internet, noi dobbiamo reimpostare i rapporti di forza. Altrimenti l’universalità di Internet trasformerà l’umanità globale in un unico gigantesco reticolo di sorveglianza di massa e controllo di massa. Dobbiamo lanciare un allarme. Questo libro è il grido della sentinella. Il 20 marzo 2012, mentre ero agli arresti domiciliari nel Regno Unito in attesa di essere estradato, ho incontrato tre amici e colleghi sentinelle, ritenendo che forse le nostre voci in coro potevano svegliare la città. Dobbiamo comunicare quanto abbiamo imparato finché c’è ancora la possibilità che tu, lettore, capisca e reagisca a quanto sta accadendo. È venuto il momento di imbracciare le armi del nostro nuovo mondo, di combattere per noi stessi e per coloro che amiamo. Il compito che ci prefiggiamo è quello di garantire l’autodeterminazione dove possiamo, respingere la distopia ventura dove ciò sarà impossibile e, se proprio va male tutto il resto, accelerare la sua autodistruzione. Julian Assange Londra, ottobre 2012 Nota del curatore Per rendere il libro più accessibile al lettore comune, ciascuno dei partecipanti alla discussione ha avuto la possibilità di ampliare sostanzialmente le sue affermazioni, chiarirle e aggiungere note. L’ordine del manoscritto editato coincide nel complesso con la dinamica della discussione originaria. Che cos’è un cypherpunk? I cypherpunk sostengono l’uso della crittografia e di tecniche affini per arrivare a un cambiamento sociale e politico.1 Il movimento, fondato all’inizio degli anni novanta, è stato in prima linea nelle “crittoguerre” dello stesso decennio e dopo la primavera Internet del 2011. Il sostantivo cypherpunk, che deriva dalla fusione di cypher (nel senso di cifrario) e punk, è entrato nell’Oxford English Dictionary nel 2006.2

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