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IL TRIBUNALE SPECIALE E L'IDEOLOGIA GIURIDICO.POLITICA DI ALFREDO ROCCO Nel PDF

33 Pages·2015·1.29 MB·Italian
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IL TRIBUNALE SPECIALE E L’IDEOLOGIA GIURIDICO.POLITICA DI ALFREDO ROCCO Nel quadro della trasformazione giuridica che, dopo il 3 gen­ naio 1925, il fascismo operò nel più vasto campo dell’organizza- zione statale, si inserisce, per iniziativa del ministro guardasigilli Alfredo Rocco, il disegno di legge sulla difesa dello Stato. Quella data, aprendo la nuova fase della « Rivoluzione », segnò il punto di partenza di quel processo di realizzazione del fascismo che portò alla creazione del regime totalitario. Il disegno' di legge che istituì il Tribunale Speciale fu preceduto in ordine di tempo da cinque altri provvedimenti legislativi: la legge sulle società segrete e quella sulla facoltà del potere esecutivo di ema­ nare norme giuridiche; le due leggi sulla burocrazia e sulle attri­ buzioni e prerogative del Capo del governo ed, infine, nel gen­ naio 1926, la legge sui fuorusciti. Nel corso di un anno, dal novembre 1925 al novembre 1926, le istituzioni dello Stato italiano furono sovvertite nei loro prin­ cipi fondamentali che erano garantiti dallo Statuto del regno, sen­ za che questo fosse mai abrogato: svuotato di ogni sostanza esso- rimase un puro nome, evocato qualche rara volta, come vedremo, ma solo per sanzionare provvedimenti di particolare faziosità po­ litica. Il vuoto di ogni reale e concreto contenuto ideologico e so­ ciale che caratterizzò nelle sue prime fasi i programmi del movi­ mento fascista, offerse un vasto e libero campo all’impianto di strutture giuridiche che dessero al movimento stesso, che si an­ dava consolidando, la forza di imporsi come regime di governo e di fissare, quindi, i fondamenti del nuovo Stato. L’artefice di tale elaborazione fu Alfredo Rocco, uno' dei fon­ datori del nazionalismo, di quel movimento che unico, secondo l’esplicita dichiarazione di Mussolini, « fra il 1905 e il 1914» avesse sulla bandiera quei principi che il fascismo doveva alcuni 4 Bianca Ceva anni dopo realizzare nella loro pienezza »\ Da quella dottrina, mescolanza di vieti motivi caratteristici della destra reazionaria francese, il Rocco trasse ispirazione per adeguare e disciplinare ad un concetto di diritto la materia informe, figlia dell’arbitrio e della violenza. Nella mente del Rocco, ministro guardasigilli dopo il 3 gen­ naio 1925, il fine da raggiungere e i mezzi per raggiungerlo si fissarono subito con fredda chiarezza, senza dubbi di sorta, senza alcuna di quelle feconde incertezze che, a volte, tormentano gli intelletti più sensibili e più chiaroveggenti; solo, egli si impose all’inettitudine ed alla rozzezza degli uomini del fascismo, a Mus- solini stesso, e perseguì quel fine, con la tenacia di un invasato. Maestro nell’arte dell’adulazione, della quale, per non citare altro, ricorderemo un documento eloquente nello scritto Musso­ lini uomo di Stato 1 2, con scaltro accorgimento seppe conciliare que' sta arte con un orgoglio senza pari, come colui che si poneva, ed era riconosciuto, come « il legislatore della Rivoluzione ». Ini' ziatore di un indirizzo unitario del diritto, tale fu esaltato, ieri come oggi, da molti giuristi e magistrati che non furono a lui certo avari di elogi e di consensi incondizionati; basterebbe leg' gere quanto, alla morte di lui nel 1935, scrisse uno dei più auto' revoli professori di materie giuridiche, Tullio Ascarelli: L’opera di A. Rocco legislatore della Rivoluzione, è consegnata alla Storia e supera e, agli occhi di molti, nasconde addirittura, la sua opera di giurista. Ma era il giurista che continuava naturalmente nel politico; il politico continuava ad essere giurista nell’unità del proprio pensiero. Nella riaffermazione di questa unità di spirito tra la preparazione e l’attività del giurista e l’opera del legislatore, nella concezione unitaria del diritto in virtù della quale il giurista deve collegare i problemi particolari con i prò- blemi generali e questi intendere in tutta la loro portata e nei loro colle- gamenti storici, fisiologici, politici, economici, Alfredo Rocco si collega alla grande tradizione dei giuristi meridionali e si riafferma Maestro 3. Da tale visione del diritto discesero le leggi, nelle quali egli trasformò i cosiddetti « principi della Rivoluzione »; poche leggi e poche idee essenziali: 1 Prefazione di B. Mussolini agli Scritti e discorsi politici di A. Rocco, Milano, Giuf- frè, 1938, vol. I, pag. Vili. 2 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., vol. Ili, p. 1135. 3 Tullio Ascarelli, Alfredo Rocco, in Rivista di diritto civile, 1935, n. 4, p. 381. Il Tribunale Speciale e l’ideologia giuridico-pohtica di Alfredo Rocco 5 ... restaurare l’autorità dello Stato; fornirgli i mezzi per difendersi e difendere gli interessi nazionali; avvalorare l’organo immediato di quella autorità che è il potere esecutivo, liberandolo dalle responsabilità verso il Parlamento e mantenendolo responsabile verso il Sovrano e il popolo; fare delle Camere organi di collaborazione più che di sindacato; e questo pas- sare al popolo, che l’esercita periodicamente nei comizi elettorali, a forma plebiscitaria, nell’occasione della nomina dei deputati, secondo la lista ap- provata dal G. Consiglio. Ogni altra idea è secondaria e accessoria4. Vedremo ora da quali premesse sia partito il legislatore per costruire quel «solenne tempio dorico » secondo l’immagine dello stesso d’Amelio, oppure « quell’ampio e puro disegno dell’archi- tettura italiana del ’500 » come, con altrettanta retorica adula' trice, lo definì il Carnelutti, indicando le norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro, e soprattutto la « Carta del lavoro ». Partito dalla premessa che il movimento fascista aveva già creato nei costumi e nello spirito il nuovo Stato, allorché si pre­ sentò la necessità di dare a questo forma giuridica, il Rocco si accinse alla critica demolitrice dello Stato liberale, che per lui era un organismo estraneo alla tradizione e al carattere italiano, frutto, come la democrazia, del protestantesimo d’oltralpe. La guerra e il dopoguerra rivelarono la debolezza del regime liberale; la mar­ cia su Roma fu « la consacrazione storica del crollo ». Al concetto di Libertà si sostituisce così, il concetto di Stato: « Lo Stato fascista contiene il liberalismo e lo supera: lo con­ tiene, perchè si serve della libertà quando essa è utile; lo supera perchè raffrena la libertà quando è dannosa » 5. Nello stesso modo lo Stato di Alfredo Rocco contiene il so­ cialismo e lo supera, in quanto non permette che la giustizia so­ ciale scaturisca dall’urto delle classi; contiene la democrazia e la supera : La contiene, perchè fa partecipare il popolo alla vita dello Stato in quanto è necessario; lo supera perchè tiene in riserva la possibilità di far decidere i problemi essenziali della vita dello Stato a coloro che hanno la 4 Mariano D’Amelio, Presidente della Corte di Cassazione, Commemorazione di AU fredo Rocco, in Rendiconti Accademia Lincei, serie 6a, vol. XII, p. 93. 5 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., voi. Ili, p. 779. 6 Bianca Ceva possibilità di intenderli, sollevandoli sopra la considerazione degli interessi contingenti degli individui6. La teoria dunque, dello Stato sovrano genera la teoria dello Stato fascista, la cui creazione dipende in gran parte datazione pratica di governo e dalla legislazione. Nello Stato sovrano del Rocco c’è tutto; lo Stato è come una fortezza custodita da un pre­ sidio che la rende inaccessibile: le leggi e i codici; organo su­ premo di tale sovranità è il potere esecutivo che condiziona la forza dello Stato. Di qui la facoltà concessa al Governo di ema­ nare norme giuridiche che abbiano autorità di legge. La legge 31 gennaio 1926 che sanziona tale facoltà è immediatamente pre­ ceduta dall’altra sulle attribuzioni e prerogative del capo del Go­ verno primo Ministro segretario di Stato; in essa si decreta lo svincolo del Governo, emanazione del potere regio, dalla dipen­ denza del Parlamento che perde ogni sua autorità come espres­ sione della volontà dei cittadini e che, perciò, è destinato a scom­ parire come forma rappresentativa dello Stato costituzionale. L’on­ nipotenza conferita ai prefetti nelle province, l’istituzione dei po­ destà nei comuni verranno così a sanzionare il ferreo principio del potere esecutivo. Tale legge, tuttavia, afferma anche un altro principio che ne rivela chiaramente il carattere e l’intento: per il solo fatto che il Governo è l’espressione di un solo partito, predominante per forze e per volontà, al capo di tale partito deve spettare un’autorità indiscussa, tale da farne di diritto il vero- Capo del governo. Questa concezione che lo stesso Rocco definì « schiettamente italiana », fissò di conseguenza tutte le forme del governo di fa­ zione, proprio per mano di colui che, aspirando a costruire l’ima­ gine rigida dello Stato sovrano, superiore agli interessi individuali e contingenti, affermava di voler attuare la sentenza mussoliniana, « tutto per lo Stato, nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato ». Sarebbe desiderabile supporre che l’intelligenza di Alfredo Rocco si sia rifiutata di penetrare il senso che lo stesso Mussolini conferiva alle sue parole e che non si allontanava molto da quello che è rappresentato dalla formula storica dell’assolutismo regale: « L’État c’est moi ». E’ chiaro, perciò, come non sia facile, anche nella mente del 6 Ibidem. Il Tribunale Speciale e l’ideologia giuridico-politica di Alfredo Rocco 7 più teorico dei giuristi, scindere il concetto di Stato sovrano dalla figura di un uomo che lo impersoni; dallo Stato sovrano al dispo- tismo il passo è breve; in ciò sta la vera, intima debolezza della concezione del Rocco, che non colse, o non volle cogliere, qui la radice di quella verità ch’egli stesso solennemente proclamò, che tutti riconosciamo e che le vicende italiane, che il Rocco non vide, hanno pienamente confermato: « Nessun regime cade per la forza dei propri avversari, tutti cadono per la propria de- bolezza » 7. Per quella sua presunzione di innalzare sopra una sola con- cezione teorica, tutta una costruzione giuridico politica, alla quale nessun aspetto della vita associata potesse sfuggire, il Rocco sentì il bisogno di sconfinare nel campo della Storia e delle disserta- zioni scientifico-filosofiche, per ritrovare in quel terreno le radici della dottrina fascista. Nessuno dei teorici del fascismo, forse nemmeno il Gentile, fece, come il Rocco, uno sforzo così grande per dare solennità di tradizione e di pensiero ad un movimento, che, avendo in se così poco e di tradizione e di pensiero, ed, in verità, così poco curan­ dosi di averne, era destinato a mettere a dura prova l’abilità dia­ lettica dei suoi avvocati. Nel discorso, infatti, che il Rocco tenne a Bari il 7 marzo 1926 su « La genesi storica del fascismo », tale abilità dialettica non si manifesta così valida da impedire che il giurista Rocco si riveli tanto infelice quanto presuntuoso storico della Storia d’Italia e d’Europa, che, a suo giudizio « bisognava conoscere per conoscere il fascismo ». Con maggiore agilità egli si muove, invece, nello stretto am­ bito della dissertazione politica quale ci appare nel discorso « Sulla Dottrina politica del Fascismo », tenuto a Perugia il 30 ago­ sto 1925, « discorso fondamentale », come lo definì lo stesso Mus­ solini in una lettera di plauso al Rocco. In tale orazione, dal tono cattedratico e perentorio, tutto è piegato all’argomentazione ser­ vile, a cominciare da quell’affermazione di dubbia verità storica che « in tutti i grandi movimenti l’azione ha camminato più ra­ pidamente del pensiero » 8. 7 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., vol. Ili, p. 778. 8 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., vol. Ili, p. 1108. 8 Bianca Ceva Qui accanto alla rozza visione biologica della società, secondo la quale lo Stato è essenzialmente tenuto a soddisfare i bisogni elementari delPindividuo, dottrina che incontrò le aspre critiche di eminenti studiosi, tra gli altri di Francesco Ruffini °, troviamo l’altra concezione nazionalistica della libertà individuale consider rata come autolimitazione dello Stato, che la concede o la toglie secondo le sue insindacabili esigenze, facendo sì che le pubbliche libertà divengano « riflessi » del sovrano diritto dello Stato. « Per il liberalismo, la libertà è riconosciuta nell’interesse dell’individuo, per il fascismo è concessa nell’interesse sociale » 9 I0 11. Di conseguenza « il fascismo vuole che il governo sia nelle mani di uomini capaci di sollevarsi al disopra dei propri interessi e di realizzare gli inte- ressi della collettività sociale... » “. A dare corpo di dottrina a tali concezioni del più gretto spi­ rito reazionario, il Rocco ancora una volta non si sottrae al biso­ gno di fare storia, per cercare nel passato e nel pensiero del pas­ sato le origini della sua dottrina politica; questo fece profanando ai suoi inconfessati fini la nobiltà dei più alti pensieri, dal Mac- chiavelli, al Vico, al Cuoco, al Mazzini, nella cui visione etico politica il Rocco, nientemeno, vede « anticipato veramente uno dei punti fondamentali della dottrina fascista » 12. Naturalmente lo sforzo del Rocco urtava contro l’impossibi- lità di creare dalle radici uno Stato nuovo, poiché, nella realtà, il movimento fascista giunto al potere, proprio per il fatto che era un movimento di violenta, incomposta reazione, scaturito da fat- 9 « Cotesto antropomorfismo dello Stato, o animalizzazione dello Stato, come altri più crudamente disse, non fu recato alle sue più estreme conseguenze giuridiche se non dalla scienza germanica... Non si immaginò forse un pubblicista, che tenne poi cattedra a Berlino, il Bluntschli, di poter raffigurare e regolare i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, partendo dal presupposto che lo Stato è maschio e la Chiesa femmina? E non ci fu uno scienziato tedesco che comprese lo Stato in un suo trat­ tato di Zoologia?... Che cosa valga cotesta dottrina... lo lascio dire ad uno dei nostri più valenti professori di diritto costituzionale, Giacomo Grasso, la cui auto­ rità in materia, non potrebbe essere rifiutata dal fascismo, poiché è uno dei suoi decisi fautori e segnatamente dal Rocco, che fu alla sua scuola. Il Grasso dice, dunque, di essa che non ha maggiore importanza scientifica di quella che può avere una qualunque figura retorica... Circa la portata politica di questa teoria pseudo-scientifica, il Grasso rileva come essa servì a tutte le reazioni quale arma di combattimento contro le idee democratiche ». F. Ruffini, Diritti di libertà, To­ rino, Piero Gobetti editore, 1926, pp. 97-98. 10 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, ed. cit., vol. Ili, p. 1104. 11 Ibidem, 12 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, ed. cit., voi. Ili, p. 1114. Il Tribunale Speciale e V ideologia giuridico'politica di Alfredo Rocco 9 tori disparatissimi, spesso in contrasto fra loro, non aveva potuto sovvertire le strutture dello Stato. Dello Stato costituzionale ave' va eroso le fondamenta, creando successivamente, superata la fase dell’illegalismo, organi suoi propri sovrapponendoli od affiancane doli ad istituti già esistenti, che venivano, perciò, svuotati di com tenuto, pur conservando la parvenza e il nome. Se Alfredo Rocco sentì questa impossibilità di eliminare quel' l’ibridismo che era nella realtà dei fatti, creando ex novo con le sue mani una costituzione che facesse di un regime totalitario uno Stato, tuttavia, tese ogni sforzo per offrire al regime stesso i mezzi per affermarsi come tale e per difendersi da qualunque insidia; la sua legge sull’Ordinamento e Attribuzioni del Gran Consiglio del Fascismo », promulgata nel dicembre 1928, creò lo strumento della dittatura: «organo di sintesi e di coordinamento... una ristretta assemblea presieduta dallo stesso Capo del Governo, nella quale siedono i capi di tutte le forze organizzate del re' girne... sintesi collegiale delle varie organizzazioni esistenti nello Stato » 13, parlamento ristretto il cui parere è obbligatorio in tutte le questioni che abbiano carattere costituzionale. Poiché tali sono le proposte di legge concernenti la successione al trono, e le attri' buzioni e le prerogative della Corona, si veniva perfino ad intac' care il principio statutario della successione ereditaria della mo' narchia, le cui sorti erano cosi affidate al Gran Consiglio del fasci' smo, consulente della Corona. Commentò allora Giovanni Gentile: Con la legge del Gran Consiglio la Rivoluzione compie la sua trasfor- mazione e si risolve pienamente nello Stato. Il Partito cessa definitiva­ mente di essere un partito, e manda perciò il suo Segretario nel Consiglio dei Ministri. Come organizzazione della grande maggioranza nazionale o delle masse politicamente significative del popolo italiano esso diventa la Nazione: la Nazione che esprime dal suo seno il Governo e perciò lo rb conosce e ne è governata. Le minoranze rimaste al margine sono dallo stesso Partito, mediante il Gran Consiglio, fatte valere in quanto possono recare un contributo morale alla vita nazionale: sono mezzi o strumenti, più che soggetti della vita politica della Nazione... Con questa costituzio- nalizzazione del Regime s’inizia la nuova storia, a cui tutti gli Italiani sono invitati a collaborare sotto l’emblema del Littorio. Non più fascisti e anti­ fascisti, ma Italiani...I4. 13 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., vol. Ili, p. 946. 14 Giovanni Gentile, La legge elei Gran Consiglio in Educazione Fascista, settem­ bre 1928, p. 515. IO Bianca Ceva Il legislatore non immaginò forse allora che proprio in quel- l’organo supremo che egli aveva inserito nell’ordinamento costi' tuzionale dello Stato, per dare stabilità al fascismo e nelle fun- zioni d’arbitro che ad esso erano conferite, si nascondeva la possi- bilità della crisi stessa del potere, poiché il giorno che il Gran Consiglio avesse spezzata l’identità, Gran Consiglio = Mussolini, avrebbe segnato anche la propria sentenza di morte. Nella sua cieca illusione il Rocco non s’avvide che nessuna istituzione poli­ tica creata per assicurare la continuità di un regime, sarebbe potuta sopravvivere nella sua integrità alla scomparsa di un solo indi­ viduo che l’aveva condizionata ed alla cui presenza fisica era fatalmente legata. Il discorso, come vedremo, sarà diverso, allorché i principi, pur discutibili, di una particolare visione giuridica, si appliche­ ranno ad istituzioni che per loro natura tendono a svincolarsi il più possibile da ogni esigenza politica. Là dove l’opera del giu­ rista poteva, infatti, meglio sottrarsi all’urto con la realtà contin­ gente, rimase l’impronta di quella tipica concezione del diritto, che il Rocco impose alla giurisprudenza italiana. Più ancora delle stesse leggi organiche angolari, in processo di tempo corrette in più punti e dopo la fine della dittatura in molti se non in tutti i casi abrogate, pesa il silenzioso flettersi ai loro concetti direttivi, lungo il corso del ventennio, di giurisprudenze e prassi amministrative, anche nelle parti dell’antico edificio lasciate esteriormente illese, ma sulle quali si riverberava e si riverbera l’ombra di uno ius novum concepito con piena padronanza della tradizione e dell’ambiente giuridico italiano...15. Il rigore logico, a suo modo disinteressato, col quale il guar­ dasigilli si era sforzato di dare una più duratura saldezza alle isti­ tuzioni a vantaggio del regime, venne a poco a poco sopraffatto dalla forza bruta dell’informe, che era la natura stessa del regime. E’, infatti, vana illusione il pensare di poter vincere sempre, fi­ dando in una certa superiorità di intelletto e di cultura, accom­ pagnata da una ferma volontà d’azione, due pericolosi avversari: l’uno, la scaltra intelligenza di chi, più di noi, sa quello che vuole; l’altro, la cieca forza dell’ignoranza. Perciò la coerente opposizione del Rocco contro alcune gravi abdicazioni che lo Stato era dispo­ sto a fare, come fece, in favore della Chiesa nei Patti lateranensi lo lo Paolo Ungari, Alfredo Rocco e Videologia giuridica del fascismo, Brescia, Morcel­ liana, 1963, pp. 86-87. Il Tribunale Speciale e l’ideologia giuri dico'politic a di Alfredo Rocco ii nonché l’urto contro la grossolana presunzione degli uomini nuovi del regime, segnarono il declino dell’autorità indiscussa del giu­ rista come legislatore dello Stato fascista. Di qui il graduale allontanamento di lui dalla sfera attiva del governo, al quale egli lasciava, pertanto, strumenti di repres­ sione così validi, da rendere il nome di Alfredo Rocco sinonimo di spietata reazione. Lo Stato, così come lo concepiva il Rocco, aveva soprattutto un preciso dovere ed un implicito diritto, quello di difendersi dai suoi avversari. Era necessario, perciò, in attesa di quella riforma dei codici che il Parlamento aveva già autorizzato, prendere subito provvedimenti di carattere eccezionale. Abbiamo già accennato a questa prima fase, che si chiude il 25 novembre 1926 con la promulgazione della legge sulla di­ fesa dello Stato e con l’istituzione del Tribunale Speciale. Se giu­ ridicamente questa legge conteneva, forse, la lesione più grave e più profonda ai principi del diritto sanzionati dallo Statuto, essa, tuttavia, entrava legittimamente nella tradizione di tutti i dispotismi, che sono per natura portati a creare, come dice il Rocco, una loro « nuova legalità perchè tutti rientrino nella le­ galità ». Così il Tribunale Speciale divenne nelle mani del Governo fascista l’arma più efficace della repressione, condizionata, natu­ ralmente, da una forte struttura degli organi di polizia. Il Decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 dicembre 1926 constava di otto articoli che è opportuno citare, perchè tutti, testimoniando la particolare natura della legge, manifestano apertamente Yanimus del legislatore 16, La facoltà contenuta nell’ultimo comma dell’art. 8 determina il R. D. del 12 dicembre 1926 che contiene le norme per l’attua­ zione della legge. In tali norme si stabilisce che presidente, vice presidente e giudici del Tribunale Speciale sono nominati con de­ creto del Ministro della guerra, come cariche permanenti. In gene­ rale si conferma che la fonte da cui trae norme il funzionamento 16 Vedi appendice i e 2. 12 Bianca Ceva del Tribunale Speciale è la suprema carica militare, che conferisce anche autorità all’accusa rappresentata dal regio avvocato generale militare. Si dispone, inoltre, che, per quanto sia ammessa la difesa, questa deve essere limitata ad un solo difensore che sia, peraltro, gradito al Tribunale. L’ordine stesso di procedere all’istruttoria vie­ ne dato dal comando militare. Col R. D. i° marzo 1928 si aggiungono alcune modifiche all’attuazione della legge. Le aggiunte non sono sostanziali; riguar­ dano un ampliamento delle categorie in seno alle quali si devono scegliere i giudici e i loro sostituti che possono essere anche ma­ gistrati, funzionari di avvocature erariali e professori di ruolo di materie giuridiche nelle Università o negli Istituti superiori. La relazione con la quale il Ministro Rocco presentava la legge per l’istituzione del Tribunale Speciale rivela nello stile affannoso e nelle contorte argomentazioni, lo sforzo che il giurista dovette compiere per giustificare legalmente la creazione di uno strumento legislativo che offendeva in modo inequivocabile tutti i postulati del diritto accettati dalle nazioni civili. Non possiamo dire se tale sforzo fosse dovuto al bisogno di far tacere un’ultima voce della sua coscienza di studioso, oppure se egli ritenesse di dover in sede parlamentare, soprattutto davanti al Senato, superare un’opposi­ zione più valida; è certo, tuttavia, che l’appello alla storia ed alla filosofia che il Rocco compie qui, in forma assolutamente arbitra­ ria, per dimostrare, ad esempio, legittima e giusta l’introduzione della pena di morte per i reati politici, ha il tono di un sinistro richiamo a concetti che si incontrano solo nella prassi di quei re­ gimi tirannici, che la coscienza dei popoli ha sempre condannato. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che questo è il limite estremo di un processo consequenziario che parte dal principio che sta a fondamento della concezione del diritto penale, professata dal Rocco, quella, cioè, che ritiene falso il supposto che « la fun­ zione di rieducazione e di emenda sia essenziale alla pena » 17., opponendo, invece, a tale visione individualistica « il carattere eminentemente sociale della pena, e quindi la preminenza della sua funzione intimidatrice e satisfattoria » 18. E’ opportuno osservare come in questa legge il Rocco abbia 17 Scritti e discorsi politici di A. Rocco, cit., vol. Ili, p. 855. 18 Ibidem.

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mento fascista, offerse un vasto e libero campo all'impianto di strutture giuridiche cesco Dessy e di parecchi altri, presidenti e pubblici accusatori.
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