Freeman ]. Dyson JHBeuuoigo g LI9IL un O (a) fa) N D Digitized by the Internet Archive in 2022 with funding from Kahle/Austin Foundation https://archive.org/details/ilsoleilgenomaei0000dyso Saggi Scienze Freeman J. Dyson Il Sole, il genoma e Internet Strumenti delle rivoluzioni scientifiche Bollati Boringhieri Prima edizione maggio 2000 © 2000 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino ISBN 88-339-1262-0 Titolo originale The Sun, the Genome, and the Internet. Tools of Scientific Revolutions © 1999 by Oxford University Press Traduzione di Maria Gherardelli Schema grafico della copertina di Pietro Palladino e Giulio Palmieri Stampato su carta Palatina delle Cartiere Miliani Fabriano Indice 7 Introduzione 19 1.Rivoluzioni scientifiche 66 2.Tecnologia e giustizia sociale 97 3.La via maestra 140 Epilogo 145 Riferimenti bibliografici Introduzione A diciassette anni mi iscrissi all’Università di Cambridge e laggiù conobbi il famoso matematico Godfrey Hardy. Mancavano quasi tutti i matematici e gli scienziati, im- pegnati a combattere nella Seconda Guerra mondiale, e non c'erano nemmeno dottorandi o studenti degli ultimi anni. Della comunità matematica di Cambridge erano ri- masti solo i professori ormai anziani e famosi e un piccolo gruppo di matricole o poco più. Hardy, che allora aveva ses- santaquattro anni, era assai depresso e infelice e già soffri- va di quel disturbo al cuore che lo avrebbe immobilizzato di lì a pochi anni. Non parlava mai della guerra che infuria- va intorno a noi; la detestava tanto profondamente da non riuscire a parlarne. Faceva lezione su quella matematica pura che tanto amava, parlando a quattro o cinque studenti se- duti intorno a un tavolino in una piccola aula. Tre volte la settimana per due anni ci siamo ritrovati in quella stanzetta a poche decine di centimetri di distanza da Hardy. Teneva le lezioni allo stesso modo in cui Wanda Landowska suona- va Bach sul clavicembalo: era preciso e assolutamente luci- do, ma, a chi sapeva vedere al di là della superficie, rivelava il suo appassionato entusiasmo. Preparava accuratamente ogni lezione, quasi fosse un’opera d’arte, e le organizzava in modo che la conclusione finale, la «rivelazione» intellet- 8 INTRODUZIONE tuale, sembrava apparire spontaneamente solo negli ultimi cinque minuti. Quelle lezioni mi davano una gioia ine- briante e talvolta ero preso dall’impulso di abbracciare quel vecchietto dai capelli bianchi che si trovava a poca distanza da me, per dimostrargli quanto gli fossimo grati per la sua disponibilità a continuare a parlare. L’anno prima che io entrassi a Cambridge, Hardy aveva pubblicato un volumetto dal titolo A Matbematician’s Apolo- gy. Il libro si rivolgeva a lettori senza alcuna preparazione matematica, che Hardy introduceva pian piano nel mondo di quella disciplina: il mondo nel quale si sentiva maggiormente a suo agio. Era un matematico puro, anzi purissimo, e il mes- saggio del suo libro è che la matematica pura è l’unico genere di matematica degno di rispetto. Egli si esprimeva così: «Un matematico, come un pittore o un poeta, è un creatore di strutture. Se le sue strutture durano più a lungo delle loro, questo è perché sono costituite da idee». Si considerava un artista, un creatore di opere di una bellezza astratta. Consi- derava la matematica applicata come una matematica di se- cond’ordine, che spesso faceva più male che bene, e la odia- va con particolare veemenza quando aveva a che fare con la guerra. Si vantava con orgoglio di non aver mai fatto niente in vita sua che potesse considerarsi utilizzabile praticamen- te. Qualsiasi cosa facesse era un’opera d’arte, realizzata con stile. I suoi scritti matematici sono belli sia per lo stile sia per il contenuto; scriveva e pensava in modo chiaro ed elegante. In seguito, nelle mie attività scientifiche, confesso di non essere rimasto fedele al sogno di Hardy. Iniziai a seguire le sue orme occupandomi di teoria dei numeri e risolsi un paio di problemi di quella teoria. Erano problemi eleganti, ma pri- vi di reale importanza. Poi, dopo essermi occupato di teoria dei numeri per tre anni, iniziai a provare interesse per la ma- tematica applicata. Mi parve che fosse più emozionante com- prendere uno dei misteri fondamentali della natura piuttosto