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Il sesso degli angeli PDF

41 Pages·2016·0.26 MB·Italian
by  Una Chi
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Ho girato l'angolo passando col rosso, le mani mi tremavano sul volante. Perché non devo saper dare un pugno, mi dicevo scornata, mollare un calcio nelle palle. Ero inetta. Con brusca e squisita emozione mi sono tuttavia resa conto che ormai ero autorizzata a mobilitare Filippo, a rivederlo forse di lì a poco... Mi sono dunque subito fermata e sono scesa di corsa nella tromba del metrò ancora agibile per cercare un telefono, la stazione mi è parsa sinistra, abitata qua e là da lemuri, un tale seduto per terra con l'ago nella vena di una caviglia, se ci vedevo bene, trequattro neri e bianchi appollaiati su un corrimano scrutandomi con occhi troppo vividi. Mi sono introdotta lo stesso nella conchiglia telefonica più vicina, ho fatto il numero di Filippo senza molte speranze. Il telefono squillava e squillava, ho torto il polso per sbirciare l'orologio, vabbene le dodici e mezza, un'ora abbastanza civile. Dopo setteotto squilli ho sentito la voce di Filippo, afona, spenta, mi è parso, pronto? ha farfugliato quasi inudibilmente. Scusami sono io, gli ho detto accentuando l'affanno, ti chiamo per un caso d'emergenza, scusami. Silenzio, fruscii, forse un'eco di voce, un mormorio sommesso. Un caso d'emergenza cosa? ha chiesto più vicina e normale la voce di Filippo, scusami stavo dormendo. Sono io che mi scuso, ho detto scettica (Filippo al pari di Max non si addormentava mai prima delle quattro), magari ti disturbo, non sei solo. Un nuovo fragoroso fruscio, come di un ippopotamo e una gazzella che si rotolassero insieme nell'erba alta, che cazzo te ne frega, ha stornato brutalmente Filippo, sputa semmai che cazzo c'è, sono occupato. Avevo indovinato, Filippo stava scopando, non sapevo se compiacermi d'aver interrotto il suo coito o vergognarmene a morte, mi sono per fortuna rammentata di Max, mi sono scusata per la quarta volta, è per via di Max, gli ho spiegato, c'è un tale sotto casa sua che la minaccia, che vuole salire a ogni costo da lei, di polizia o consimili Max non vuole saperne, mi ha chiamata in soccorso e ci sono andata, brava, ha detto gelido Filippo, hai lottato bene con l'energumeno, l'hai depistato bene, dove te l'ha messo, nella figa o nel culo, attonita mi sono irrigidita, che cazzo dici, stavo per insorgere, non so se più esasperata o divertita dalla sua gelosia come al solito intempestiva, ma ho sentito uno scoppio confuso di voci, un tonfo nel ricevitore, probabilmente quello di Filippo era precipitato al suolo, poi un breve groviglio di rumori indecifrabili tra cui duetre schianti assordanti, piantala, ha urlato la voce di Filippo al mio orecchio, dimmi, mi ha detto urlando, scusa cioè, cosa stavi dicendo. Scusami tu, aspetta che il gettone mi scade, ho balbettato trafficando con le monete che avevo in tasca, gli occhi ancora sbarrati, ti parlavo di Max che ha paura e io non posso aiutarla, Carme è troppo forte per me, cosa sarebbe carme, ha detto Filippo con sincero disgusto. Sono scoppiata a ridere stremata, non riuscivo a frenarmi, solo con uno sforzo sovrumano che mi ha oscurato la vista ho potuto articolare nel fourire Carme è un uomo. Cioè un ragazzo, ho precisato più calma, credo che si chiami Carmelo, comunque è troppo forte per me, pare che abbia addosso un coltello, mi ha detto stronza e mi ha mandata via, così mi chiedevo... Vabbene vengo, ha borbottato con scarso entusiasmo Filippo, subito riattaccando. Sono rimasta lì come una scema, non sapevo che fare di me stessa. Filippo non sarebbe arrivato prima di un quarto d'ora al minimo (doveva pur mettersi un paio di brache), restare nella stazione del metrò sembrava poco igienico, tornare sotto casa di Max lo era di sicuro. Optando per un compromesso mi sono appostata con la mia macchinetta vicino al semaforo d'angolo, avevo parcheggiato a luci spente, vedevo benissimo a pochi metri da me Carme che passeggiava nervosamente in mezzo alla strada, che si accostava al portone e suonava a lungo, che si chinava sul citofono, il boato vulcanico dell'ultimo metrò sotto le mie ruote non mi ha lasciato decifrare il suo, ne ho solo percepito il diapason poco rassicurante, poi ho visto Carme portarsi una mano al gilet, ho visto qualcosa brillare, ho visto il braccio destro di Carme levarsi terrifico come in un film dell'orrore e piantare la lama nel portone, non c'era più niente da ridere, dev'essere strafatto, ho pensato, avrà sniffato chissacché, cominciavo a temere per Filippo, torno al metrò, ho pensato, chiamo la croce verde, i vigili, qualcuno. Un'ombra mi ha oscurato il finestrino, ho cacciato un urletto di spavento, vedevo nel riquadro del finestrino una patta con due bottoni slacciati, Filippo si chinava nel riquadro, mi mostrava la faccia temporalesca. Cosa fai lì come a teatro, ha bofonchiato, vattene a casa, ci penso io. No, ho detto sottovoce afferrandogli un lembo di qualcosa, della manica o forse dei calzoni, ho paura, è pericoloso, ha il coltello. Ho spiato dall'altro finestrino, probabilmente Carme aveva estratto la lama dal portone, stava trafficando col suo gilet. Meglio chiamare qualcuno, ho detto a Filippo. Max non vuole, mi pare, mi ha risposto sardonico. Vado lì e lo sistemo, e tu vattene a casa, anzi aspetta, già che sei qui prova a salire da Max appena io l'ho portato via, magari avrà bisogno di conforto, ha sogghignato Filippo. Mentre si dirigeva verso il portone di Max sono smontata in un lampo e ho occhieggiato sopra il muso della macchina, ero pronta a intervenire non sapevo come, ho visto sulla strada un oscuro viluppo silenzioso e tre secondi dopo due figure camminavano tranquille verso di me, una massiccia una sottile, Filippo avanzava impugnando il braccio destro di Carme, Carme avanzava a occhi bassi, l'altro braccio abbandonato lungo il fianco, l'altra mano di Filippo era in tasca, probabilmente col coltello di Carme. Per più secondi son rimasta istupidita: come aveva fatto Filippo, mi domandavo sub limine, a sbaragliare Carme così in fretta, praticamente senza lotta, era forte, d'accordo, ma Carme era fuori di sé e pur sempre un uomo... I due nel frattempo erano già alla mia altezza, mi sorpassavano presumibilmente in direzione della macchina di Filippo, restavo inchiodata sul posto tipo statua di sale. Io porto a casa "Carme", ha detto Filippo sottolineando con la voce il grottesco nome mentre mi passava accanto senza fermarsi, tu sali da Max e dimostrati all'altezza, non hai niente da invidiare al signor Carme, ha aggiunto alle mie spalle traversando con lui. Incapace di voltarmi fissavo la strada ormai vuota di Max, la cattiveria di Filippo mi feriva, provavo solidarietà per il povero Carme trascinato spietatamente a nanna come un bambino, mi pentivo di tutto, non avevo più voglia di vivere. Nemmeno di rimettermi in macchina e di smammare, avevo solo voglia di piangere. Stavo per cominciare quando una voce di donna, bassa sicura e sorridente nel tono, ha chiamato il mio nome, nella facciata del palazzo di Max una finestra illuminata s'era aperta, la silhouette di Max ne esorbitava, vieni su, mi gridava la sua voce. Urtando il solito battente aperto ho insolitamente trovato Max che mi aspettava nel corridoio con un largo sorriso bianco e rosso, sei stata in gamba, ha detto, anche Filippo, ti ringrazio, ringrazialo per me. Mi aveva presa per un polso, mi rimorchiava risoluta oltre il corridoio per i meandri dell'appartamento, andiamo a berci sopra comode, ho una bottiglia di champagne, ha detto. Slalomando tra i mobili sparsi a casaccio, tra le porte sfasate Max mi trascinava verso la camera da letto con insolita speditezza, davanti alla sua solita finestra ha addirittura accelerato. Poco dopo era seduta sul letto tutta vestita — un bell'abito rosso aderente, lucido, forse di raso — e stappava disinvoltamente la bottiglia trattenendo il turacciolo nella mano. Onde esprimere la smarrita tristezza che mi possedeva, il bisogno lancinante di capire, invece che sul letto mi sono seduta per terra a gambe incrociate davanti alle gambe di Max, lei mi porgeva un calice di cristallo, riempiva il proprio, levava la mano destra in un muto brindisi, continuava a sorridere. Ho mosso di poco la mano verso l'alto, ho bevuto subito. Avrei giurato che non ti piacesse, ho detto a Max senza guardarla. Carme? ma è la bellezza in persona, senza vestiti sembra un angelo, la sua ferocia è struggente, commuove, dovresti provarci. Ho scosso la testa e i capelli. Posso forse intuire, ho mormorato, anch'io da Filippo mi lascio fare di tutto. Ho alzato la testa, l'ho guardata negli occhi violetti, te ti pensavo più fredda, ho confessato, più difesa... ho capito com'eri vedendo i suoi segni su... di te (fra Max e me l'augusto nome culo non era ancora stato pronunciato malgrado tutto), allora anch'io... ma non credevo che potessi innamorartene, che fosse una cosa importante, per me Filippo lo è al massimo, anche se non ce l'ho, se l'ho perduto. Anch'io ho perduto Carme, almeno lo spero, ha ridacchiato Max. A questo punto oso sperarlo, ma è vero che Carme è importante, in un modo diverso. Soltanto che è troppo passionale per me. Fissavo Max ad occhi spalancati, probabilmente a bocca aperta, gettavo in continuazione i capelli all'indietro per spalancare meglio anche le orecchie: La sua violenza, ho articolato a stento, la sua ferocia come dici tu... senza l'amore, la dipendenza, come fai? Mi sentivo molto riassuntiva, troppo laconica: eppure era davvero tutto lì, forse tutto lì. L'amore, ha detto Max sorridente, non è dipendenza per me. Forse soltanto poca, quel poco di dipendenza, o meglio di legame reciproco, che ho per esempio con Paul. Esiste un amore che non sottomette? Esiste, ha detto Max, per me. La teoria la lascio alle altre, come del resto fai tu, per fortuna. Ha accentuato il sorriso, sono arrossita della mia domanda teorica. Mi dispiace che per te sia diverso, ha detto Max. Con me tu non hai dipendenza, sottomissione, lo so. Di colpo mi si è svuotata la testa, per svariati secondi sono stata incapace di aprir bocca. In qualche modo, ho cominciato infine guardando per terra. Quando ti aspetto in cucina... (ben misero modo, mi sono subito rimproverata), oppure che non sono capace di chiedere, in qualche modo mi sembra... Non c'è un qualche modo, ce n'è uno solo, ha detto Max con voce quasi spazientita. Alzando gli occhi ho visto Max: il suo viso era serio, quasi severo. ... Adesso tacevo, avrei potuto tacere per un secolo. La guardavo intensamente, con profonda disperazione. Il nimbo color rame, il viso bello e bianco, gli occhi non anneriti' da bambina o da angelo, il corpo di donna espressionisticamente costretto da una mano di energico creatore, o creatrice, a un maschio zigzag spigoloso, le ossute caviglie che la gonna scopriva, il sesso dissimulato come per sempre sotto la fulgida tensione della veste al principio delle cosce scultoree. Ma io ti amo, ho mormorato con dolore. Max lentamente s'è alzata, con pietosa dolcezza, mi è parso. Allora siamo in due, ha detto rimettendosi a sorridere, vieni, facciamo l'amore. Ha cominciato a slacciarsi. Mi sono drizzata a fatica, ho abbassato la lampo dei bluejeans. La testa mi scoppiava, ho cercato una momentanea diversione: non ti dispiace per Carme? ho chiesto a Max. La mia amante non ha risposto subito, nella vivida luce della stanza, spento solo il faretto del comodino, candida si privava del superfluo, s'inginocchiava a braccia tese sul lenzuolo. Spogliata anch'io di tutto mi sono genuflessa sull'altra sponda, ho allungato il mio paio di braccia, a braccia annodate, tracollando di fianco, ci siamo coricate specularmente. Ora vedevo del sanguigno, del perlaceo, Max mi esibiva i denti nel rossetto. Stasera non temo per Carme, ha detto accentuando il sorriso, ci penserà Filippo, sai bene che è un ottimo consolatore. 10 L'alba dell'indomani era stata presto, il cielo già chiaro e assolato illuminava a strie tra le persiane il mio corpo disteso come morto. Pensavo, inebetita dalla mancanza di sonno cercavo di ricordare. Rammentavo le parole di Max, l'amore con Max. Dopo aver pronunciato quella frase inclemente sulle ben note, a sentir Max, capacità consolatorie di Filippo, senza eccessiva fatica Max mi aveva ridotta al suo volere, o forse a quello che credeva il mio. In capo a qualche minuto di bacio profondo (dimmi che vi baciate in bocca, troie, aveva detto Filippo) tutto agito da lei nella mia inerzia, Max brevemente s'era scostata da me reclinando di lato il torace sottile, sottraendolo allo sguardo di me supina. L'istante dopo avevo sentito passare avanti e indietro sulle mie labbra qualcosa di disumano, tra le ciglia avevo intravisto del bianco, dell'argento, con le labbra avevo percepito del liscio. A nessun costo avrei potuto schiuderle sull'inusuale godemiché di Max, ma lei non aveva neppure tentato di mettermelo in bocca, voleva solo ch'io intendessi, avevo inteso. Due mani robuste mi avevano divaricato le cosce, un paio di minuti contemplativi avevano differito l'ineluttabile, poi Max mi aveva lentamente ma risolutamente penetrata col suo astuccio enigmatico, davvero molto lungo e grosso, come sapevo, me l'aveva infilato fino all'utero. Mi sentivo squarciata, non mi lagnavo, restavo bloccata in un dolente silenzio. Max non manovrava l'oggetto, lo lasciava immobile dentro di me limitandosi a trattenerlo, i miei occhi socchiusi vedevano il grigiastro del suo soffitto, le ragnatele di fuliggine pendule, non Max né me né la sua mano né il mio corpo. Ora sentivo le dita di Max, í suoi polpastrelli consistenti ma delicati, ruotare intorno al grande buco da lei stessa creato dilatandomi. Max cercava a tastoni la mia femminilità, lo capivo. Dopo un po' la cercava con la bocca., baciava e leccava il clitoride compresso verso l'alto dalla mostruosa intrusione, le piccole labbra spalancate e come annichilite, l'angolo malgrado tutto acuto, fatto di linee tese, di nervature sporgenti, in cui sotto l'intruso le mie valve squartate si riunivano... Poiché non reagivo se non con avvilita prostrazione alle sue carezze, Max, lasciandomi dentro l'oggetto, era montata su di me con tutto il corpo, per qualche istante, quasi dimostrativamente, aveva strofinato il suo sesso morbido sul mio indurito, deformato a guisa di cicatrice, poi, con un vero balzo d'animale, aveva risalito il mio essere, s'era accosciata a un tratto sul mio viso. M'era mancato il fiato, avevo aperto gli occhi, vicinissimo avevo visto il vello, di scorcio il ventre piatto di Max rastremato in direzione dell'ombelico, avevo percepito sulla bocca il tocco indescrivibile di qualcosa di serico, tenero, umido, il sesso di Max mi baciava, pretendeva il mio bacio. Avevo estromesso la lingua per dovere o dolore, dimostrati all'altezza, aveva detto Filippo, parole, fin dall'origine dei tempi, lo sapevo, non lo ero né mai lo sarei stata... Grazziaddio Max aveva un corpo fortunato, l'orgasmo unico ma facile. La sua pressione sulla mia bocca s'era accentuata, la complessa costellazione delle sue mucose aveva cominciato a muoversi per proprio conto sulle mie labbra forzate, sulla mia lingua succube, roteava ora lenta ora rapida contro il mio viso, avevo calato di nuovo le palpebre, tanto non c'era niente da vedere, il suo vello mi entrava negli occhi, sentivo tagliente nel naso l'odore specifico femminile di Max... Quando era infine venuta, presumibilmente Marcando il busto all'indietro (avvertivo un subitaneo alleggerimento, la fronte più libera) e sprigionando qualche udibile sospiro, avevo conosciuto un sollievo che la mia mente spietata — anche con me, soprattutto con me — aveva mio malgrado confrontato con l'affine sollievo che mi elargivano, a tale scopo da me stessa fomentati, gli orgasmi redentori di Filippo. Toglietevi da me, statemi lontani, aveva pensato malgrado me la mia mente. Max era già lontana, ricaduta al mio fianco finiva di ansimare. È stato bello, aveva detto la sua voce. Giacevo come morta, da un pezzo non c'era più niente da ridere. Una mano leggera mi aveva estratto delicatamente l'oggetto dalle viscere, soltanto adesso ne avevo rilevato il bruciore, m'ero toccata, avevo chiuso la destra intorno alle mie valve ricongiunte come per proteggerle. La mia bocca serbava il sapore di Max. Dormiamo, te ne prego, mi aveva detto Max, dormi con me stanotte, fino a domani almeno, te ne prego. Non posso, avevo detto, devo andare. Non c'erano scuse stavolta, niente lavoro, niente figlia. Devo essere a casa stanotte, avevo affermato tirandomi di colpo seduta. Rivestendomi la guardavo dall'alto vedendola molto lontana, il corpo ambiguo abbandonato mi pareva una volta di più così estraneo, alieno, solo, così diverso da me. Cercami presto, avevo detto meccanicamente. Mi possedeva un forte senso di perdita, quasi una voce che mi gridasse alle orecchie sei pazza, cosa fai. Ero scesa lo stesso di corsa. Ora pensavo. Pensata Max pensavo ora a Filippo che faceva il consolatore di Carme, era mai possibile, dopotutto stava scopando con qualcun altro — ritenevo Cécile, comprensibilmente lasciarlo le riusciva spinoso — solo poche ore prima, in quella stessa notte troppo corta. Veramente era l'alba, anzi mattina, me lo diceva il sole fra le griglie. Molto probabilmente Filippo e Carme avevano finito di consolarsi, Filippo aveva forse riaccompagnato Carme non sapevo dove dopo averlo spogliato e contemplato e dopo avergli preso il cazzo in bocca a titolo di risarcimento della notte abortita con Cécile. Senza alcun dubbio gliel'aveva succhiato a lungo, come sapevo per esperienza, giacché cinquesei volte nei bianchi soli Filippo mi aveva tradotta concorde a mostruose per me orge con mostri ai quali riconosceva il diritto di brancicarmi, di baciarmi in bocca con schifose lingue, di farsi leccare da me perfino ignobili culi puzzolenti di detersivo, ai quali da parte sua succhiava il più a lungo possibile il cazzo col pretesto della mia sgomenta presenza, della cessione del mio corpo ai contatti barbari. Oppure non gli era bastato, magari Filippo aveva voluto inculare Carme, benché uomo, come faceva con me e con tutte le donne che gli capitavano sotto, anche con gli uomini del resto, lo sapevo dai suoi resoconti, più volte Filippo nella sua carriera di marito infedele s'era portato a casa un uomo, un travestito o un disponibile amico... Aveva dunque posseduto Carme, perché no dopotutto, se Carme nudo a sentir Max pareva un angelo, immaginavo il cazzo di Filippo, roseo e soave e serico ma anche percorso da vene e rilievi da vecchio porco, sfondare lentamente il culo di Carme, povero bimbo, capitato per caso a Milano e dalle nostre parti e ben presto, malgrado il coltello, cascato in una storia più bieca di lui. Senza alcun dubbio Filippo gliel'aveva messo in bocca dopo averlo sodomizzato, l'aveva costretto a leccarlo per mondarlo d'ogni virtuale contaminazione, s'era alla fine abbandonato al sonno — anche se non lo amava, ma come esserne certa? — incollato con l'ampio torace addolcito dal vello biondogrigio al dorso sottile di Carme, le cosce urgenti dal basso in alto contro le natiche violate, contro le grinze ormai dischiuse e contuse, trasudanti il biancore dello sperma, del povero Carme addormentato dopo lo stupro col virile profilo di Filippo allineato al proprio fine profilo come su una medaglia duplicemente celebrativa... Vedevo tutto ciò con gli occhi della mente, con rabbia e invidia e con pietà. Qualche altro giorno torrido con notte insonne al seguito era scappato invano. Al declino di un arso pomeriggio, dopo un'ennesima inutile doccia gelata, ancor nuda e brinata di goccioline e già accaldata e ansante disponevo daccapo un solitario. Era ormai ferragosto, a Milano non c'era più nessuno tranne me e forse Max e magari Filippo e Cécile, almeno Carme me lo auguravo in Sicilia da mamma sua. Aspettavo, tal quale Max alla finestra, il niente. Eppure il telefono s'è messo a squillare, sarà Max, mi son detta scaramantica. Non osavo sperare in Filippo, in città a ferragosto un notaio non c'ha niente da fare, se crepa un pezzo grosso non crepa qui, sarà alla Thuile con Cécile o chissà a quale altro mare stupendo, ho intravisto in un lampo un erculeo notaio in costume da bagno minuscolo, in slip osceni o nudo, dunque Max. Ho alzato la cornetta, era Cécile, l'ho capito dal suo flebile "pronto". S'è presentata e s'è profusa in scuse a lungo, d'avermi "disturbata", in più "a quell'ora", aveva qualcosa da dirmi, se ne dispiaceva sinceramente. Una cattiva notizia? non ho potuto evitare di chiedere con voce melliflua, intanto me ne dicevo di tutti i colori per via della stronzaggine che con lei irresistibile mi scaturiva, sparare sulla croce verde, mi biasimavo, bastonare il gatto che annega, che schifo. Ho taciuto contrita. Magari per te no, ha detto con voce più ferma Cécile. Mai che s'incazzi davvero, ho pensato con brusca irritazione che utilmente si sovrapponeva al mio senso di colpa e proiettava un po' di luce nel mio crepuscolo, al massimo indurisce la voce, una vera signora. Di nuovo contrita le ho detto dimmi in tono incoraggiante. Sono in partenza, mi ha informata Cécile, vado in Francia dai miei, mi ci sistemo coi ragazzi. Ho lasciato Filippo, volevo dirtelo. Poco sorpresa, assai scettica, tacevo prudente. Sentivo all'orecchio il respiro sottile di Cécile. Filippo l'ha presa male, è a Milano, aiutalo se puoi. E basta, aveva riattaccato. Ho provato una certa ammirazione, poi un sincero terrore; lo scetticismo svalutava l'uno e l'altra. Filippo abbandonato, era attendibile? Se sì, potevo credere che avrebbe cercato sollievo da me? Il suo amore per me lo conoscevo, da sempre miticamente me lo figuravo come il torcersi millimetrico contro la roccia di un Prometeo incatenato. Nei minimi spazi di libertà che conquistava strattonando i suoi ferri riusciva a infilare di tutto, un desiderio il più perverso, una storia d'amore la più feroce, ma se era stato slegato, se le catene penzolavano lasche oscillando ai due lati del suo corpo, se Filippo non poteva più urtarvisi nella sua tensione desiderante, così romantica e assoluta in apparenza, di fatto così schiava dei suoi vincoli, che ne sarebbe ormai stato di lui, non sarebbe piombato a capofitto dalla stretta cornice del suo martirio in un abisso senza fondo... Appunto, mi son detta, di colpo interrompendo la mia macabra fantasia. Questo teme Cécile, non a torto, questo esige da me, che lo intercetti a mezzo volo, che gli salvi la micidiale vita facendogli da paracadute a scapito della mia. C'era di che rifletterci. Ovviamente non sono riuscita a rifletterci su per più di un'ora, ancorché per frenarmi mi piantassi in un palmo di mano tutte e cinque le unghie dell'altra purtroppo scorciate e camminassi avanti e indietro, tornassi a sedermi al cospetto del solitario incominciato e già perso e tracannassi la mia vodka dalla bottiglia. Dopo un'ora mi sono inchinata al destino, ho chiamato Filippo. Sei tu? ha detto Filippo a bassa voce al mio orecchio... Ho scosso i capelli, anche se lui non poteva vederli. Un'imprevista voglia di ridere mi sconcertava, sono io, gli ho detto a voce alta, soltanto io. Volevo sapere come stavi... Ma davvero, mi ha interrotta sarcastica la voce di Filippo. Come sempre incapace di sottigliezze diplomatiche ho deciso di non perdere tempo. Volevo saperlo perché mi ha telefonato Cécile, gli ho detto chiaro e tondo sentendomi Sansone che crepa in numerosa compagnia, mi ha detto, gli ho detto eufemistica, che vi siete lasciati. Silenzio. Mi ha detto, ho concluso, che magari hai bisogno di qualcuno. Silenzio. Il caso era dunque serio, magari autentico. Filippo, ho azzardato dopo un vacuo minuto d'attesa mentre una prima stilla di sudore mi rigava la fronte, sei sempre lì? Dove vuoi che sia, ha ruggito Filippo assordandomi. Ho respirato di sollievo, ma Filippo non poteva sentirmi, seguitava a imprecare stentoreo. Non ho bisogno di un cazzo di nessuno, sto da papa, ha scandito furibondo, fatemi il santo piacere di lasciarmi in pace tu e quell'altra stronza della madonna, ci manca solo che vi coalizziate per gestirmi, ha ruggito Filippo consapevole malgrado l'umore alterato (di nuovo ho provato una certa ammirazione, stavolta per lui), fammi il piacere di lasciarmi in pace. Nel rinnovato silenzio pensavo freneticamente ma con scarso successo, la testa era in poltiglia, il ricevitore slittava nella mano bagnata da far schifo, ormai sentivo ascendermi pietosa dalle viscere la mia classica voce da pecora, l'unica delle mie voci che Filippo ignorasse, almeno speravo, sempre con lui — perfino al cesso, perfino urlando — m'ero battuta indomita per non lasciarla uscire, quella mia voce indegna, per apparirgli forte. Sei sicuro? ho belato infine. Con mia meraviglia è seguito un ulteriore silenzio, nel quale Filippo ha lasciato cadere con voce piana e triste una frase lugubre: non voglio vedere

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