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Il sermonario di Andrea de Pace PDF

587 Pages·2011·14.47 MB·Italian
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA _____________________________ Il sermonario di Andrea de Pace Tesi di dottorato in Linguistica sincronica e diacronica e saperi testuali XXII Ciclo Settore scientifico M – STO/09 Paleografia Dottoranda: Carolina Miceli Coordinatore: Lucio Melazzo Tutor: Diego Ciccarelli ______________________ ANNO ACCADEMICO 2009/2010 INDICE GENERALE Premessa I Introduzione III 1. La predicazione e gli ordini mendicanti VI 2. L’età dei Martini e lo Scisma XVIII 3. Descrizione codicologica XXVII 4. La scrittura e il copista XXXVIII 5. La lingua L 6. Sermonari a confronto: finalità, struttura, fruitori LIV 7. Sermones: struttura ed elenco pericopi LXVI 8. Sermones: alcune considerazioni su contenuto e forma LXXVIII 9. Le citazioni bibliche CI 10. Elenco autori ed opere citate CVII 11. Criteri di edizione CXIII Sigle in apparato CXIX SERMONES 1 Indice sermonario 399 Index nominum 409 Bibliografia 412 Appendice iconografica 425 I PREMESSA Il presente lavoro, frutto della ricerca da me proposta e condotta in questi anni, è nato da due sollecitazioni: la prima mi fu data, appena dopo la laurea, dalla richiesta di collaborazione per la trascrizione dei Sermones di Ruggero da Piazza, da Cataldo Roccaro;1 la seconda da Diego Ciccarelli che negli anni successivi mi sollecitava a continuare il lavoro intrapreso da Roccaro, purtroppo interrotto dalla sua improvvisa mancanza, e mi ricordava quanti sermonari di autori siciliani risultassero ancora non studiati. Quattro manoscritti contengono sermonari e sono inediti; si tratta dei sermoni del beato Matteo d’Agrigento, il noto propagatore dell’Osservanza in Sicilia, personaggio di spicco della corte aragonese di Alfonso V e di Maria di Castiglia; i sermoni quaresimali di Ruggero da Piazza, uno dei primi predicatori siciliani che cita la Divina Commedia, di cui sono stati già pubblicati i Sermones dal compianto Cataldo Roccaro; i sermoni di Andrea de Pace, vescovo consigliere e ambasciatore dei Martini; le Collationes mortuorum, del francescano e vescovo di Catania Giovanni Pesci. Alcuni anni fa, accettando l’invito di Diego Ciccarelli, inizialmente intrapresi la trascrizione di quest’ultimo, ma in itinere compresi che si trattava della copia di un altro sermonario; inoltre gli impegni professionali non mi consentivano di studiare con continuità, per cui il lavoro subiva frequenti interruzioni che, come è noto a qualsiasi studioso, costringono a difficili riprese. Allora abbandonai il proposito con grande rammarico, ma con la precisa e nuova consapevolezza che una tale impresa richiedeva tempi lunghi e molta concentrazione. Il Dottorato di ricerca mi ha offerto di riprendere un discorso interrotto, ma soprattutto di effettuare nuove scelte, anche se in qualche misura “obbligate”. Infatti, pur con qualche perplessità, ho rinunciato a Ruggero da Piazza ed al beato Matteo, perché altri studiosi da tempo sostengono di lavorare su questi codici, per cui ho dapprima concluso la trascrizione dei sermoni di Giovanni 1 RUGGERO DA PIAZZA, Sermones, a cura di C. ROCCARO, Palermo 1992. II Pesci, che avevo cominciato prima del dottorato, pubblicando un articolo,2 e poi ho richiesto il CD del codice di Andrea de Pace, conservato a Viterbo, divenuto oggetto privilegiato della presente ricerca. 2 C. MICELI, Jacopo Passavanti, Nicoluccio d’Ascoli, Giovanni Pesci: il modello, la sintesi, l’uso, in Testimonianze manoscritte della Sicilia: codici, documenti, pitture, a cura di D. Ciccarelli e C. Miceli, Palermo 2006, pp. 187-196. III INTRODUZIONE L’introductio, parte essenziale del Sermone moderno, mostrava come il predicatore avrebbe proceduto nella spiegazione del thema, organizzando e strutturando il sermone in più parti in funzione sia del versetto iniziale che proponeva il tema, sia delle conclusioni cui voleva giungere l’autore. Dando all’introduzione tale valore, in questo spazio mi riservo di evidenziare il mio assunto, le fasi del mio lavoro, quali “strumenti” ho utilizzato e quali difficoltà ho incontrato, nonchè infine i risultati della ricerca. L’assunto è stato chiaramente quello di prendere in esame del materiale inedito, indagarlo per confrontarlo con quanto già scritto e pubblicato, e renderlo fruibile. La prima fase è stata dedicata al completamento della trascrizione dei Sermones dominicales di Giovanni Pesci, contenuti in un manoscritto che si trova nella Biblioteca Capitolare di Trento, Bibl. cap. 5, datato 13 luglio 1412, cartaceo del XV secolo, composto da 89 carte. Il manoscritto, oggetto di un mio studio precedente il Dottorato,3 pur risultando copia di un codice di Nicoluccio d’Ascoli, frate domenicano, sintetizzatore dei sermoni di Jacopo Passavanti, è stato comunque considerato importante, non per procedere ad un’edizione critica, quanto piuttosto perché si tratta di un sermonario scritto poco dopo la morte di Andrea de Pace e perché, in quanto copia di un sermonario di un domenicano, può consentire di cogliere le eventuali differenze o somiglianze. La seconda fase è stata la trascrizione del manoscritto 22 dell’Archivio Capitolare di Viterbo, in cui vengono tramandati i sermoni di Andrea de Pace. Inizialmente ho lavorato su fotocopie di cui era in possesso il mio tutor, Diego Ciccarelli, in attesa che ci venisse fornito il CD, richiesto all’Archivio. Trascrivere dalle fotocopie che riproducevano le dimensioni della carta e della scrittura originarie è stato assai complicato e faticoso, e quindi mi corre l’obbligo immediato di ringraziare l’Archivio Capitolare di Viterbo, che ha consentito la realizzazione del CD e che anche in altre occasioni ha mostrato 3 Ibidem. IV grande disponibilità nel fornire tutte le informazioni che riguardavano il codice, soprattutto nella persona del dott. Andrea Zuccolini. Non meno rilevante è stato l’aiuto della scienza informatica che ha realizzato, inconsapevolmente, per noi paleografi uno “strumento” di lavoro incredibilmente proficuo, che offre anche la possibilità di tutelare e conservare meglio un patrimonio, che potrebber ricevere danni sia dalla continua consultazione sia dalla “dimenticanza” della sua esistenza. Alla trascrizione si è affiancata la ricerca delle citazioni bibliche, per verificarne la correttezza e per offrire agli studiosi, soprattutto di teologia, un immediato riferimento, completo dell’indicazione del capitolo e del versetto. Inizialmente avevo cominciato la ricerca usando un testo di Concordanze, un po’ alla maniera degli antichi predicatori, ma l’elevato numero delle citazioni (più di mille) e la lentezza nel procedere mi hanno indotta a cercare altri strumenti. Ancora una volta l’informatica si è rivelata una vera risorsa. Infatti ho trovato più siti in cui era possibile attraverso una o poche parole risalire all’autore biblico; tuttavia non tutti erano opportuni e scientificamente validi. Dopo vari tentativi e confronti ho scelto di utilizzare prevalentemente due siti www.bibliacatolica.com.br e www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata. Non sempre questa fase è stata semplice poiché, se anche soltanto nel testo del codice mancava una parola o cambiava il tempo di un verbo rispetto all’edizione on-line, la ricerca risultava infruttuosa. Alla fine, però, solo pochi passi non sono stati identificati. Altrettanto non è stato possibile fare per le citazioni di autori classici, medievali e Padri della Chiesa, per più motivi: l’indeterminatezza della citazione (in quodam sermone, in hac omilia ….), la difficoltà di reperimento di molte opere, l’ingente numero di citazioni (più di ottocento), tutti fattori risolvibili in presenza di tempi più lunghi. Riservandomi, dunque, di poter effettuare tale ulteriore ricerca prima di un’eventuale pubblicazione dell’opera, in questa fase mi sono limitata ad offrire un elenco degli autori e delle opere citate, ricordando che fino a qualche anno fa, nel 2005, veniva proposto un Programma di ricerca dall’Università di Cassino dal titolo I Padri della Chiesa nei sermoni e nei commenti medievali, V coordinato da Gabriella Braga, che pur limitando la ricerca alla presenza dei Padri in epoca carolingia (secolo IX-XII), riteneva indispensabile il confronto con gli omeliari in scrittura beneventana e con i sermonari degli ordini mendicanti dei secoli XIII-XIV. La fase successiva mi ha impegnata nella realizzazione dell’edizione critica, per la quale ho fatto riferimento alla pubblicazione di Cataldo Roccaro, già ricordata, sui Sermones di Ruggero da Piazza, poiché si trattava di opere appartenenti allo stesso genere, scritte da autori molto vicini cronologicamente, con la caratteristica comune di essere tramandati da un solo testimone, ma soprattutto per la sua riconosciuta scientificità. Sono stati stabiliti i criteri di edizione tenendo in considerazione testi canonici, come quello di Tognetti e Pratesi,4 pur adattandoli alle esigenze del mio lavoro, di cui ho dato spiegazione analitica e sigle utilizzate in un capitolo dedicato. Ogni ricerca deve giungere a delle conclusioni, e alcune sono state tratte dai dati emersi, ma nel mio caso, ho concluso senza veramente concludere, come è proprio di chi si dedica allo studio di un manoscritto e ne edita il contenuto, poiché da una parte discipline come la codicologia e la paleografia si pongono come discipline storiche, ma dall’altra, senza asservimenti, con spirito di collaborazione e con la consapevolezza di non essere esperti di ogni sapere, offrono semplicemente ad altri studiosi un testo su cui condurre ulteriori ricerche, soprattutto dinanzi a quello in oggetto, un sermonario, che presenta spunti di analisi tanto per lo storico stricto sensu, quanto per il teologo e il filosofo, per il medievista, ma anche per il classicista, per il linguista e per lo specialista in generi letterari, etc. Altro poteva forse essere fatto: mi riferisco, come già evidenziato, alla ricerca delle citazioni non bibliche, ad un indice delle citazioni, ad un confronto con sermonari coevi di altre aree geografiche e di altri Ordini. 4 G. TOGNETTI, Criteri per la trascrizione di testi medievali latini e italiani, Roma 1982; A. PRATESI, Genesi e forme del documento medievale, Roma, Jouvence 1979. VI 1. La predicazione e gli ordini mendicanti La predicazione ha origini lontane, parte almeno dal IX secolo, dall’impero carolingio, fino alla Controriforma, XVI secolo. Essa è legata anche allo sviluppo e al ruolo degli Ordini mendicanti, soprattutto dei Domenicani, i Predicatori, e dei Francescani, i Minori, poiché fu il loro strumento privilegiato. Il pontificato di Innocenzo III può essere considerato il primo momento in cui la Chiesa comprese che le spinte di rinnovamento che partivano dai laici, ma anche dai religiosi, non potevano essere più né represse né trascurate, e d’altra parte l’espansione delle eresie era una dato concreto e una conferma di uno stato di disagio generale.5 Nello stesso arco di tempo cominciava il declino di quel mondo feudale su cui si era appoggiato il clero ed emergevano nuove classi e spinte sociali che reclamavano un nuovo assetto politico, economico, culturale e religioso per cui vano risultava il tentativo della Chiesa di ripristinare la propria egemonia con vecchi strumenti e uomini. In questo contesto si muovono i nuovi ordini mendicanti, i Predicatori e i Minori, come mediatori tra clero e mondo laico. Questo ruolo assunto esigeva che venissero creati nuovi strumenti o che fossero utilizzati quelli del passato in modo nuovo: la predicazione fu uno di questi, ma con modelli e con una preparazione diversi. Per tutto il basso medioevo furono, dunque, i frati a guidare la vita religiosa, e non solo, riuscendo a muovere le folle, soprattutto durante la predicazione quaresimale, e fornendo loro modelli di comportamento. Bisogna ricordare che i due ordini fin dalle origini, al di là della regola stabilita da Agostino che limitava l’accesso ai libri in alcuni giorni ed ore, e da Francesco, che non ne consentiva un uso privato, fecero ampio uso dei codici, in particolare modo i Predicatori, i quali per primi considerarono fondamentale la loro formazione. 5 R. RUSCONI, Predicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma), Loescher, Torino 1981. VII 1.1 Sermo modernus Un rigoroso corso di studi formava i futuri predicatori e si affinavano gli strumenti di lavoro: gli studi filosofici, teologici, giuridici, le artes praedicandi, le raccolte di exempla e altro, permettevano loro di creare sermones. Infatti un predicatore tra il XIII e XV secolo non poteva limitarsi a ripetere ciò che era stato detto da altri, ma doveva produrre nuovi testi scritti rigorosamente in latino, ma declamati anche in volgare o in una lingua che è stata definita una “mescidanza”,6 necessaria ad un pubblico che ormai non comprendeva più il latino, utilizzando un complesso sistema di rimandi che consentisse una migliore capacità mnemonica. A questo ben si prestava il sermo modernus che era diventato un vero genere con proprie caratteristiche. L’antiquus modus praedicandi dei Padri della Chiesa7 consisteva nel commentare il Vangelo del giorno verso per verso, ma risultava ormai superato secondo le opinioni sia dei Francescani, come Giovanni de Galles, sia dei Domenicani, come Giacomo da Fusignano che, nei loro trattati De arte praedicandi, mettevano in rilievo i difetti del modo antico e chiarivano la struttura del sermo modernus. Il thema è l’elemento fondamentale e può essere tratto dalla liturgia del giorno o dalle Scritture. Viene paragonato alla radice, considerando la predica un albero. Segue l’introductio, cioè il tronco, e le divisiones, cioè i rami. A queste tre parti indispensabili possono esserne aggiunte altre: il prothema e la subdivisio. Il prothema è la parte più difficile, un “preambolo” proprio dei magistri in teologia in cui spesso si manifesta la difficoltà di trattare una materia troppo alta. Rari i sermoni che presentano il prothema tra quelli francescani, più frequenti tra quelli domenicani, il cui esempio più alto è dato da s. Tommaso L’introductio, invece, non è una parte facoltativa, ma obbligatoria, attraverso la quale si orienta l’ascoltatore sull’interpretazione del versetto. 6 C. DELCORNO, La lingua dei predicatori. Tra latino e volgare, in La predicazione dei frati dalla metà del ‘200 alla fine del ‘300, Atti del XXII Convegno internazionale, Assisi 13-15 ottobre 1994, Spoleto 1995, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, pp. 21- 46. 7 C. DELCORNO, La predicazione nell’età comunale, Sansoni, Firenze 1974 .

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Esisteva infatti una larga fascia, costituita da una nobiltà minore, media e piccola, e da un patriziato idem Heliseus mundavit a lepra Naamam sirum et alia miracula multa fecerit, et ex istis miraculis non potuit Similiter de leproso Naamam usus est Eliseus misterio aquarum. Iordanis, sic et ip
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