«Quando a Benares regnava Brahmādatta...». Così, con questa formula che equivale al nostro «c’era una volta», inizia la maggior parte dei jātaka: i racconti delle vite anteriori del Buddha, secondo la tradizione della letteratura indiana. Ormai giunto alla sua ultima incarnazione, e per così dire sulla soglia del nirvana, il Buddha in persona raccontò le sue avventure nel ciclo delle rinascite ai discepoli. Ma queste favole, che rappresentano sicuramente la parte più accessibile dell’intera dottrina, sono un meraviglioso velo avvolto intorno alle questioni più importanti della cultura buddhista, dalla dottrina del karma al concetto di risveglio, dall'idea di rinascita fino all'oblio al quale sono condannati tutti coloro che nelle vite precedenti non si sono sufficientemente avvicinati alla virtù, incapaci di seguire l'insegnamento del Buddha. Praticamente infinite sono le condizioni sociali, i mestieri, le specie animali in cui il Buddha ha trascorso le sue vite. È stato figlio di re, mercante, artigiano, guerriero. Ma è stato anche un elefante, un’antilope, una scimmia. Ha conosciuto le città e le cinque specie dei deserti, ha affrontato demoni e briganti. Dovunque sia passato, la sua virtù ha reso migliore il mondo, e gli ha acquistato meriti preziosi nel suo cammino di liberazione. Gli jātaka insegnano che, dall’infimo al grandioso, tutto ciò che vive è sottoposto al ciclo delle rinascite, e aspira a riscattarsi. E in questa immensa, colorata, imprevedibile illusione che definiamo la “realtà” non c’è condizione che non sia transitoria e sottoposta al cambiamento.