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Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna PDF

270 Pages·1971·1.175 MB·Italian
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Questo libro che in italiano prende il titolo dal problema dell'inconscio, costituisce in tutti i sensi la più efficace e piena introduzione per la lettura di Jung e il testo che meglio ne indica l'evoluzione del pensiero. I primi capitoli, forse i più interessanti e i più validi, dimostrano come la maggiore aderenza ai temi della psicologia venga espressa in primo luogo da un linguaggio cauto, spesso dubitativo, estremamente critico e problematico nei confronti delle sue stesse asserzioni. Gli ultimi saggi contenuti in questo volume indicano invece la via per speculazioni più ardite, pur senza staccarsi completamente da una terminologia psicologica (dalla Prefazione di Giovanni Jervis). Prefazione di Giovanni Jervis Titolo originale Seelenprobleme der Gegenwart Rascher, Zurich Traduzione di Arrigo Vita e Giovanni Bollea. Prefazione di Giovanni Jervis L'idea e la pratica della divulgazione scientifica suscitano spesso il malcontento degli specialisti, in particolare nel campo della psicologia. D'altro lato quello che un tempo si chiamava «volgarizzazione» è divenuto, sempre più, linguaggio e comunicazione di cultura fra persone colte, o fra specialisti di formazioni diverse. La esigenza di combattere la crescente specializzazione con una rete sempre migliore di pubblicazioni accessibili ai non specialisti ha favorito lo sviluppo di un linguaggio divulgativo di buona qualità: non di rado è stato raggiunto un felice equilibrio fra la popolarizzazione un po' sciatta di certi testi di ieri, e i fasti a volte compiaciuti della cultura politecnica ad alto livello. I rischi rimangono, e sono evidenti: da un lato i testi di divulgazione continuano a creare l'illusione di una scienza digeribile senza sforzo, mentre per un altro lato fanno intravedere gli aspetti più straordinari delle conquiste umane come qualcosa di perpetuamente inafferrabile ai non iniziati. Nella psicologia, gli equivoci che sono nati da questo duplice trabocchetto sono purtroppo numerosi, tanto che sarà bene considerarli più da vicino. Innanzitutto è sintomatico notare come la psicologia sperimentale sia rimasta in gran parte esente da questi malintesi. La psicologia sperimentale si basa infatti sulla neurofisiologia e sulla statistica, con il risultato che il discorso specialistico è per lo più incomprensibile e noioso per i non competenti, mentre il discorso divulgativo è costretto a dichiarare in modo esplicito i propri limiti. In breve, è probabile che qui gli equivoci non sorgano in primo luogo perché ogni lettore sa fino a che punto il [p. ]Viii campo di studio che gli sta davanti è veramente accessibile alla sua competenza. Gli equivoci nascono con la psicologia umana. Il motivo è forse lo stesso, ma la situazione è opposta: la psicologia umana è poco scientifica. In essa, il soggetto e l'oggetto della ricerca si identificano nell'uomo, e ciò crea notevoli difficoltà metodologiche; fra l'altro, ne risulta incoraggiata l'introspezione come strumento di conoscenza, laddove la stessa psicologia umana ha provveduto a dimostrare che l'introspezione tende a essere autoillusoria e, in definitiva, fallace per la sua arbitrarietà. Come ogni psicologia, la psicologia umana vuole essere scienza del comportamento; in quanto tale si differenzia dalla fisiologia (che può essere definita scienza del funzionamento degli organismi) e dalle scienze patologiche corrispettive che sono la fisiopatologia (funzionamenti alterati) e la psichiatria (comportamenti abnormi). Il comportamento umano sfugge però largamente all'indagine scientifica. Le ragioni principali sono di due ordini: in primo luogo, l'uomo ha il privilegio di creare la sua storia, cioè di creare una serie di rapporti politici che per definizione non possono essere scissi nella loro stessa totalità, né possono venir resi oggetto di esperimento senza che il loro significato divenga artificiosamente astratto e neutrale; in secondo luogo, gli aspetti neurofisiologici della psicologia umana sono molto complessi e ancora poco noti. I risultati di questa situazione divengono più evidenti quando si pensi al fatto che per motivi pratici è necessario avere, comunque, una psicologia umana che funzioni. Non si può attendere che essa divenga scientifica, ma bisogna servirsene subito nella pedagogia, nella psichiatria, nella sociologia, o anche nei campi più lontani dalla scienza come in pubblicità o nei rapporti di lavoro. La psicologia umana esiste comunque, ma cresce nella confusione delle lingue. Cresce, soprattutto, in parte lontana dal cauto e rigoroso indagare della scienza, e a volte si esprime tumultuosamente in discorsi forzatamente approssimativi, e in argomenti che risentono delle convinzioni ideologiche di chi li pronunzia. Esistono gli specialisti, [p. ]Ix ma non si mettono d'accordo fra loro: altri esprimono le proprie idee, e chiunque può venire ascoltato, dal momento che il soggettivismo dell'introspezione e l'indimostrabilità del giudizio hanno portato la psicologia umana a pronunziarsi su problemi per i quali manca ogni verifica oggettiva. Alcune correnti, come la filosofia di Jung e un ramo dell'esistenzialismo di lingua tedesca, hanno probabilmente portato una nota di chiarezza e di onestà quando hanno dichiarato di avere assunto, su certi temi, un atteggiamento programmaticamente non scientifico. Tutto ciò contribuisce visibilmente a complicare il problema della divulgazione, cioè il problema del discorso portato a livello non specialistico, o a livello interdisciplinare. Si è detto più sopra che in fatto di divulgazione non sorgono equivoci finché ogni lettore sa fino a che punto il campo di studi che gli sta davanti è veramente accessibile alla sua competenza. Forse bisogna correggere la frase dicendo che gli equivoci non sorgono finché ogni lettore sa fino a che punto la trattazione che gli sta davanti è veramente accessibile a un suo giudizio critico. In altre parole, la esposizione dei problemi per il non specialista deve essere sufficientemente cauta da permettergli il dubbio, e tale da evitargli certezze non giustificate dai fatti. Non si devono quindi spacciare come sicure e facilmente accessibili teorie che sono invece malcerte, non provate, spesso arbitrarie e comunque pienamente valutabili in sede critica solo a condizione di possedere quella cautela e quello scetticismo che derivano da una preparazione scientifica professionale e da una conoscenza della letteratura precedente. Purtroppo esistono opere di psicologia umana che hanno conquistato la loro popolarità con una argomentazione abile e letterariamente affascinante, e con una esposizione sicura di sé ed estremamente convincente sul piano emotivo, ma in realtà incauta nelle affermazioni e perfino priva di seri riferimenti storico- critici agli altri studi riguardanti lo stesso argomento. Che tutto ciò abbia contribuito a moltiplicare i malintesi, è ovvio: ma esistono anche delle scusanti, ed è bene ricordarle. In primo luogo, bisogna notare che la psicologia [p. ]X umana, proprio a causa della sua situazione di arretratezza rispetto alle altre scienze, non si vale se non di rado di un linguaggio veramente specializzato: ne deriva che molti dei suoi testi sono apparentemente accessibili alle persone di media cultura pur senza esser stati scritti per loro, e senza che nessuno abbia colpa dei fraintendimenti che ne derivano. In secondo luogo, vi è il fatto già accennato, per cui la psicologia umana è in molti suoi aspetti prescientifica o non scientifica, e invita perciò alcuni autori che prediligono proprio questi aspetti a non usare le cautele che sono invece necessarie in quegli altri campi, dove il rigore del metodo è condizione necessaria per un discorso attendibile. Come si vedrà, tutti questi problemi divengono particolarmente seri quando ci si limiti a quella parte della psicologia umana che ha a che fare con l'inconscio. La nozione di inconscio, pur trovando nella teoria psicoanalitica creata da Freud la sua sistematizzazione più nota, ha una lunga storia precedente, e notevoli sviluppi successivi. Oggi la nozione di una attività psichica inconscia ci è divenuta familiare, è entrata nella cultura e nel linguaggio di tutti i giorni, è stata accettata dalla psicologia e dalla psichiatria. Proprio per questo l'idea dell'inconscio ha forse finito con l'appiattirsi, o è stata resa popolare quasi esclusivamente nella sua interpretazione freudiana, senza che altre ipotesi venissero adeguatamente conosciute: in breve, l'inconscio ha cessato troppo presto di essere un problema. In realtà, se vi sono ancora molte incertezze e dubbi, questi riguardano non tanto la nozione di inconscio, quanto la sua definizione e il suo significato; non tanto l'esistenza di atti, ragionamenti o sentimenti immediatamente accessibili alla coscienza del soggetto, quanto le difficoltà metodologiche relative al loro studio. Alcune delle pagine più affascinanti della psicologia e della filosofia moderna sono state scritte sul problema della coscienza, forse più difficile e sfuggente del problema stesso dell'inconscio: ma quest'ultimo è stato illuminato indirettamente, e ha perso una parte della dimensione romantica acquistata con Freud.[p. ]Xi L'origine della nozione di inconscio è dibattuta. Già in Platone vi è qualche intuizione riconducibile a questo tema, ma bisogna attendere fino a Leibniz per avere un riferimento più chiaro. Il concetto filosofico di inconscio viene però varato dai grandi metafisici postkantiani, in particolare Schelling, Hegel e Schopenhauer, ed è ripreso in pieno da Carl Gustav Carus e da von Hartmann, ciascuno dei quali fonda una vera e propria filosofia dell'inconscio, di estremo interesse anche alla luce delle vedute successive. Si deve a Carus, fra l'altro, una prima chiara distinzione fra preconscio e inconscio. Alla fine dell'Ottocento, e prima dell'inizio dell'opera di Freud, l'inconscio aveva già una sua storia: nella letteratura romantica, in filosofia, in pedagogia (con Herbart, che scoprì la rimozione), e infine nella psicologia francese con Binet, Ribot, Charcot, Bernheim, ma soprattutto con Janet, al quale si deve la prima definizione di azione inconscia e la prima formulazione dell'inconscio in termini rigorosamente psicologici. Nel 1884, Galton aveva inventato e reso noto il metodo di indagine psicologica della «associazione di parole» (in seguito ripreso da Freud e Jung), con piena coscienza del suo significato; prima della fine del secolo, Nietzsche era ormai celebre con una teoria filosofica in cui venivano anticipate molte delle successive idee freudiane, fra cui la nozione di Es. Il sorgere del genio di Freud raccolse una eredità ormai matura, e oscurò tutti i contributi precedenti, che vennero ben presto dimenticati dai suoi successori più entusiasti e meno colti. Sarebbe interessante notare con più cura come non solo nella teoria dell'inconscio, ma in tutti gli aspetti della sua dottrina, il grande viennese sia stato studioso e interprete coltissimo, discreto e infaticabile dei fermenti culturali della sua epoca. L'originalità di Freud è indiscutibile in certe teorizzazioni, come quella, forse la più importante, del Super-Io, ma la sua grandezza sta piuttosto nell'aver saputo creare una sintesi polemica e convincente, una teoria vasta, comprensiva e, per quell'epoca, arditissima, coinvolgente non solo un nuovo metodo di cura e una nuova sistemazione teorica dei disturbi [p. ]Xii psichici, ma anche, e soprattutto, una intiera dottrina psicologica, sociologica e anche metafisica dell'uomo e di tutti i rapporti umani. Al momento del crollo della vecchia Europa, la dottrina freudiana della psicoanalisi assunse agli occhi del pubblico colto tutto il valore di una teoria rivoluzionaria. La psicoanalisi ebbe un significato di rottura nei confronti della moralità vittoriana, riuscì a realizzare la distruzione del rispettabilismo ottocentesco, fu un atto di accusa contro le falsità e l'ipocrisia sessuale della società borghese, una provocazione nei confronti di gran parte della stagnante psicologia dei circoli accademici. Al suo centro sta la concezione freudiana dell'inconscio, cioè la teorizzazione di una attività psichica oscura e istintuale, non solo ignota alla coscienza, ma anche attivamente repressa e negata dal buon senso, e tanto più viva, operante e ribelle quanto più contrariata e inibita nel nome delle convenzioni sociali. La teoria freudiana lasciò al mondo occidentale e alla cultura una eredità che può essere considerata da tre punti di vista. In primo luogo, è necessario considerare il contributo della psicoanalisi al progresso della psicologia e della psichiatria. Al contrario di quanto si ritiene comunemente, questo contributo fu modesto, con l'eccezione di alcuni settori della psichiatria. La psicologia animale proseguì le sue ricerche con tutt'altre preoccupazioni, e la psicologia umana trovò estreme difficoltà metodologiche nel verificare le ipotesi freudiane. Il metodo obiettivo di Pavlov, sia in oriente che in occidente, divenne col passare del tempo sempre più importante, e altre scuole, come ilbehaviorismo e il gestaltismo, si contesero i favori degli studiosi. Una delle principali difficoltà in cui incorse la psicoanalisi può essere spiegata con un esempio. Se una persona parlando distrattamente dice una cosa per l'altra essa commette un lapsus. Orbene, se questa persona dice di aver commesso una svista senza significato (o con un significato del tutto innocente), la sua opinione vale esattamente (da un punto di vista metodologico) quanto l'ipotesi del freudiano che, al contrario, sostiene il recondito [p. ]Xiii significato sessuale dell'errore. Ambedue le tesi sono rigorosamente ed egualmente inverificabili, con la sola differenza che la prima tesi viene in genere tacciata di ingenuità, e la seconda di arbitrarietà. E' utile precisare che, se l'autore del lapsus decide di accettare una delle molte possibili interpretazioni del suo errore, questa accettazione non costituisce una prova. Si può aggiungere incidentalmente che per analoghi motivi, se è lecito ritenere che i sogni abbiano delle cause, l'ipotesi che essi debbano sempre avere un significato è metodologicamente mal fondata. Per quanto riguarda la psichiatria, il discorso è molto diverso. Più empirica e meno preoccupata da problemi di metodo scientifico, la psichiatria moderna ha finito con l'utilizzare e accettare molti aspetti della dottrina freudiana dell'inconscio. Una sola scuola, quella statunitense, accettò Freud quasi incondizionatamente: le scuole psichiatriche europee furono, senza eccezioni, molto più caute. Nell'insieme, si può dire che il bilancio del contributo freudiano alla psichiatria è da considerarsi positivo in diversi campi. D'altro lato è bene non dimenticare che le teorie di Freud sull'eziologia dei disturbi mentali sono oggi accettate solo in piccola parte e non da tutti; che il problema della schizofrenia è rimasto insoluto e che, paradossalmente, il primo grande passo nel trattamento delle malattie mentali è stato portato da metodi empirici e - se si vuole - grossolani, come l'elettroshock e i neuroplegici. Dobbiamo a questi ultimi se oggi sono fortemente diminuiti sia il numero degli ingressi negli istituti psichiatrici, sia, soprattutto, le durate delle degenze. Malgrado tutto ciò, dobbiamo invece in buona parte alla psicoanalisi l'interesse per la vita emotiva del malato di mente, la comprensione di molti problemi del nevrotico, e l'attenzione per il peso che possono assumere in molti casi la presenza e la parola dello psichiatra. Il secondo aspetto dell'eredità freudiana concerne il movimento psicoanalitico. Oggi come ieri, esso è formato dall'insieme di coloro che applicano il metodo terapeutico elaborato da Freud. Richiamandosi sempre direttamente a Freud, il movimento psicoanalitico ha mantenuto in tutto [p. ]Xiv il mondo la propria compattezza, malgrado numerose scissioni: purtroppo questa compattezza è stata conservata al prezzo di non poche incomprensioni reciproche nei confronti della psichiatria. Oggi il metodo psicoanalitico viene impiegato quasi esclusivamente nella terapia di alcune forme di psiconevrosi e disordini della personalità. Alcuni studiosi hanno messo in dubbio la reale efficacia terapeutica del trattamento sulla base di ricerche eseguite con gruppi di controllo (Denker, Zutt, Ernst, Eysenck). Malgrado queste perplessità siano condivise dalla maggioranza degli psichiatri più seri, è esperienza non rara incontrare persone, spesso soggetti giovani dalla personalità insicura, del tutto trasformate dopo alcuni anni di intensa terapia psicoanalitica. Secondo il parere più accreditato, in molti casi questa trasformazione non è dovuta allo spontaneo risolversi del disturbo, ma proprio al nuovo orientamento ideologico e morale e alla riconciliazione interiore procurati dal trattamento.

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