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Il principe e la parola. L'oratoria a Ferrara tra Corte e Cancelleria PDF

282 Pages·2020·14.29 MB·Italian
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MARIA AURELIA MASTRONARDI IL PRINCIPE E LA PAROLA L'oratoria a Ferrara tra Corte e Cancelleria studi e testi 8 Direttore: Sebastiano Valerio (Università di Foggia) Comitato scientifico: Giancarlo Alfano (Università "Federico II" di Napoli), Antonello Borra (University of Vermont), Domenico Cofano (Università di Foggia), Claudia Corfiati (Università di Bari), Domenico Defilippis (Uni­ versità di Foggia), Laura Meiosi (Università di Macerata), Roberta Morosi- ni (Wake Forest University), Piotr Salwa (University of Warsaw) La collana studi e testi è referata. Il manoscritto è stato sottoposto a peer-review. In copertina: Ferrara, Palazzo Schifanoia, Aprile (particolare) Tutti i diritti sono riservati © 2020 - Edizioni del Rosone “Franco Marasca” Via Zingarelli 10-71100 Foggia [email protected] www.edizionidelrosone.it MARIA AURELIA MASTRONARDI IL PRINCIPE E LA PAROLA L'oratoria a Ferrara tra Corte e Cancelleria Edizioni del Rosone oro T laxiävlntTjl luit^pnncipf er c^cdlcntdTi .cLäm •E>. JuctfAXutrn acKùjit./Aftrc!3.e' iWn.œmttd'cR R.odtau etnv (tu ftnçrlaJr - - - - - -.-J -— rts . <5 ! er.uì t Audcv tuaf fi Lmrto ^retrtretimu. tlcCtnf Òorhaux itcb.-fUtnc d abCtc ramcn.abvinclc inaici potcuc/ baux! vile neo4 ^ent\ crimine i acbutru ^ttttvZc $ed elv.m .e*-a*n nottue q *n itotitaf no’vd’. m cen ïd. .cubcTìdutv de tt Votu Introduzione «Nella storia italiana forse ancor più che altrove, la vicenda dei modelli va fittamente intrecciata a quella delle culture citta­ dine, alla loro forma politica, ai travagli delle classi dirigenti, alle loro pratiche di dominio, ai loro conflitti di culture...»1. Se l’affermazione di Mazzacurati mette acutamente in luce uno dei caratteri fondamentali della cultura del Rinascimento italiano, tale dinamica fra modelli letterari e istituzioni sembra acquisire particolare spessore proprio all’interno della vicenda ferrarese. A Ferrara, infatti, ancor più che altrove, le humanae litterae, attraverso l’onnipervasivo magistero guariniano e la sempre ope­ rante lezione degli «antichi», giocano un ruolo di primo piano nella costruzione stessa dell’immagine della città e della dinastia. E se la produzione letteraria sembra identificarsi tout court con la casa regnante, in maniera ben più spiccata rispetto a quanto av­ veniva in altri centri italiani, non si può sbrigativamente relegare la scrittura nella riduttiva categoria dell’encomio, né sancirne la totale subalternità all’interno del circuito cortigiano. La realtà ferrarese costituisce pertanto una sorta di peculiare «laboratorio», in cui forme e modelli letterari risultano non solo il più formidabile mezzo di legittimazione/consolidamento di­ nastico, per molti versi il fondamento stesso della signoria, nelle forme della «propaganda» e della costruzione dell’immaginario collettivo, ma anche lo specchio fedele, attraverso il filtro costi­ tuito, ovviamente, dalla letterarietà e dalle sue convenzioni, di 1. G. Mazzacurati, Rinascimenti in transito, Roma, Bulzoni, 1996, p. 28. 5 una corte e di una città composita, mai statica, ma ricca al suo in­ terno di vivaci fermenti di ordine sociale e culturale in senso lato. In questo ambito, un ruolo di primo piano gioca la Cancel­ leria, vero centro propulsore della vita politica e letteraria cit­ tadina, animata da funzionari-umanisti in gran parte allievi di Guarino Veronese, per i quali ben più rilevante risultava la for­ mazione umanistica rispetto a quella tecnico-giuridica. Ed è pro­ prio in questa prospettiva che Ferrara, come e ancor più di altri centri italiani, sembra costituire la perfetta incarnazione del mito platonico dello stato rettamente governato da reggenti-filosofi. La peculiarità ferrarese consisterebbe, dunque, non solo in una generica quanto ovvia, a questa data, partecipazione di uomini di lettere all’amministrazione della città a tutti i livelli, ma in una sostanziale omogeneità nella cultura, nella ideologia, nelle scelte intellettuali e perfino estetiche di un intero gruppo dirigente, in cui le individualità stesse appaiono labili e sfumate, nella totale interscambiabilità tra ruolo politico ed esercizio letterario. All’in­ terno però di questa dimensione ostentatamente «corale» alcune figure assumono un valore emblematico. E il caso del potente referendario Ludovico Casella, regista della vita politica cittadina durante il dominio di ben tre signo­ ri, Niccolò III, Leonello e Borso, allievo di Guarino e raffinato umanista egli stesso, mecenate e punto di riferimento per lettera­ ti e artisti, ineludibile tramite fra il signore e gli uomini di cultura, ma in sostanza vero artefice, proprio in virtù della lunga durata della sua carica, di quella peculiarità ferrarese di cui si parlava. Proprio Casella, infatti, sembra assicurare alla realtà cittadina quella continuità, quella omogeneità, che non sarebbe ravvisabi­ le nel dominio di tre signori così diversi per formazione, indole e interessi quali furono appunto il guerriero Niccolò, il letterato Leonello, l’«esteta» Borso, continuità che pare costituire l’essen­ za stessa della «civiltà ferrarese». Altro caso emblematico è quello del fecondo poligrafo Ludo­ vico Carbone, perfetta incarnazione del letterato di corte, inteso in tutte le sue peculiarità e i suoi limiti, totalmente «organico» al 6 progetto politico del signore e delle élites ferraresi. Se quindi nelle sue pagine più scopertamente encomiastiche Carbone segue (e sostiene, e giustifica) l’operato di Borso e di Ercole d’Este, legit­ timandone, attraverso il filtro delle humanae litterae^ la controversa assunzione del potere, le scelte politiche e il cangiante gioco del­ le alleanze, è attraverso la sua oratoria, pubblica e privata (ma nel Quattrocento italiano il confine tra pubblico e privato è quan­ to mai labile e sfuggente) che traspare la realtà cittadina, nelle sue istituzioni e nella sua quotidianità. L’immagine che emerge è quella di una società in profonda trasformazione, grazie all’af- fermarsi di una nuova aristocrazia, non più e non soltanto di origine feudale, ma legata piuttosto al mondo degli affari, che è divenuta (o si prepara a divenire) nuova classe dirigente, società ancora legata agli splendidi bagliori di un mondo cortese or­ mai al tramonto, ma comunque aperta alla lezione degli antichi, all’interno della quale, per molti versi, sembra concretizzarsi il «sogno dell’umanesimo»2. E la presenza, pur nella sostanziale omogeneità di intenti e di indirizzi, di una voce per alcuni versi difforme, impercetti­ bilmente discorde, come quella di Battista Guarini, fautore di un modello in parte diverso di principato, esemplato su quello dell’umanista Leonello, non fa che conferire maggiore spesso­ re non solo al dibattito ideologico-culturale di quegli anni, ma anche, e soprattutto, al ruolo e alla funzione delle lettere e del letterato nell’ambito della corte. In questo senso, l’oratoria si carica di valenze precipue per­ ché, come e ancor più di altri generi, si colloca al bivio di istan­ ze diverse e molteplici. Un segno ulteriore di come le humanae litterae^ nel Quattrocento italiano, siano un fenomeno dinamico e complesso, aperto e mai statico, non privo certo di contraddi­ zioni, in cui la lezione degli antichi, nella sua accezione più alta, diviene essa stessa inquietante e a tratti problematica attualità. 2. F. Rico, Il sogno dellUmanesimo. Da Petrarca a Erasmo, Torino, Einaudi, 1996. 7 Il capitolo I e i paragrafi 1 ; 4, 5 del III capitolo riprendono rispet­ tivamente, con significativi ampliamenti e modifiche, miei precedenti interventi: Retorica e ideologia alla corte di Borso d’Este. L”’Oratio de laudibus Borsii” di Ludovico degli Arienti, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università degli Studi della Basilicata”, 7 (1994), pp. 313-334. Oratoria e storia contemporanea. Le orazioni in morte del referendario Lu­ dovico Casella, in II principe e la storia. Atti del Convegno, a cura di T. Matarrese e C. Montagnard, Novara, Interlinea, (2005), pp. 137-155. 8 Capitolo I Il principe nell’Olimpo SJ'Oratio de laudibus Borsii' di Ludovico degli Arienti 1. Il ruolo della scrittura e delle humanae litterae, nelle corti italiane del Quattrocento, è stato troppo spesso ridotto a mera celebrazione del potere e dell’esistente e a passiva quanto acritica «propaganda»1. Se infatti gli umanisti si fanno, in contesti storico-politici di­ versi, consapevoli portatori di modelli teorici opposti, non è cer­ to possibile ipotizzare una marcata divergenza ideale attraverso la meccanica contrapposizione tra «umanesimo civile» e «uma­ nesimo cortigiano». L’elaborazione politico-ideologica da essi proposta risponde, in sostanza, alle più profonde esigenze di un nuovo ceto intellettuale, che, faticosamente, ma con un bagaglio culturale sempre più raffinato, cerca la sua affermazione ed il suo 1. Su questo tema e in particolare sulla contrapposizione tra Umanesi­ mo civile e Umanesimo cortigiano cfr. le pagine ormai classiche di H. Baron, crisi delprimo Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1972 e inoltre Id., From Petrarch to Leonardo Bruni. Studies in Humanistic and Political Literature, Chicago and London 1968; Humanism and liberty. Writings on freedom from fifteenth-century Florence, translated and eds. R.N. Watkins, University of Carolina 1978; 'The earthly republic Italian Humanists on governement and society, eds. B. G. Kohl-R. G. Witt, University of Pennsylvania 1978; E. Garin, La cultura filosofica del Rinas ci­ mento italiano, Firenze, Sansoni, 1982; L. Martines, Potere efantasia. Le città-stato nel Rinascimento, Bari-Roma, Laterza, 1981; N. Rubinstein, Le dottrine politiche del Rinascimento italiano, in 11 Rinascimento: interpretazioni e problemi, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 183-227; C. Vasoli, Giovanni Mancini da Fivizgano: un uma­ nista tra le lettere, le corti e le armi, in Immagini umanistiche, Napoli, Morano, 1983, pp. 15-49 e soprattutto Riflessioni sugli umanisti e il principe: il modello platonico dell"ottimo governante, ivi, pp. 151- 187; Q. Skinner, Le origini del pensiero politico moderno, Bologna, il Mulino, 1989. 9

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