ebook img

Il popolo al potere : il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici PDF

188 Pages·2006·1.667 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Il popolo al potere : il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici

Costanzo Preve Il popolo al potere Il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici Prefazione Impuginazione Jeanne Cogolli Stampa Lineagrafica - Città di Castello (PG) I edizione 2006 ISBN 88-87307-57-1 I libri della Ariana Editrice sono prodotti da Macro Edizioni, che ne cura la di-stribuzione e la commercializzazione. Arianna Editrice Redazione Via Caravaggio 34, 40033 Casalecchio (BO) Tel. 051.560452 fax 051.6198820 ariarted@tinit Distribuzione e commercializzazione Macro Edizioni Via Savona 66, 47023 Diegaro di Ceserta (FC) Tel. 0547.346290 int. 14 fax 0547.345091 commerciale@mac roedizioni.it L'aggressiva politica di espansione imperialistica scelta dagli Stati Uniti dopo la fine del condominio bipolare con l'Unione Sovietica ha avuto almeno due importanti effetti che potremmo definire ri-spettivamente di ordine pratico e teorico. I primi hanno riguarda-to le popolazioni irachene, afgane e serbe bombardate con. l'ura-nio impoverito e il fosforo bianco, torturate nelle pri- gioni di Guantanamo e Abu Graib, sottoposte alle quotidiane vessazioni di un'occupazione militare. I secondi hanno invece visto scendere in campo una schiera di intellettuali e operatori dei mezzi di infor-mazione impegnati a ri- solvere un dilemma che potremmo sinte-tizzare nei seguenti termini: come mai gli Usa, considerati l'avan-guardia, il paese guida delle liberaldemocrazie nel mondo, sono anche il paese più bellicoso della terra, una "nazione guerrie- ra", come li ha definiti qualcuno'? Non ci avevano spiegato che le de-mocrazie liberali sono tendenzialmente pacifiche, amano la pace in quanto essa rende possibili i commerci e il tranquillo godimento dei beni? Ed ancora, e soprattut- to, può un simile sistema continuare a definirsi democratico o si è metamorfo- sato in qualcosa d'altro? 2 3 A questi interrogativi è possibile rispondere in molti modi. Trala-sciando, in questa sede, le prese di posizion.e puramente propa-gandistiche, interessate - unicamente a gettare benzina sul fuoco e non certo a sviscerare i problemi - si pensi, per fare un esempio, ai pamphlet di Oriana Fallaci e di Magdi Allam - e concentrandoci sulle analisi serie, si può dire che quelle degli studiosi di orien. ta-mento liberale tendono, ovviamente, a riaffermare i punti alti del-la retori- ca liberaldemocratica e sono ben riassunte nel titolo di un saggio di Dino Co- francesco: La democrazia liberale (e le altre)2. Per Cofrancesco, il compro- messo tra liberalismo e democrazia, pur con tutte le sue precarietà e i suoi di- fetti, continua a costituire il tipo ideale, il modello cui debbono ispirarsi quanti vogliono muo- Il popolo al potere Prefazione versi sul terreno della democrazia nel nostro tempo senza cadere nella trap- pola del totalitarismo. Egli ne è talmente convinto da declassare, mettendole fra parentesi, le forme democratiche non riconducibili al liberalismo. 4 5 Il libro di Costanzo Preve che il lettore ha tra le mani si colloca, per contro, in una prospettiva molto diversa, al punto che lo si potrebbe anche intitolare, in parte rovesciando l'ottica di Cofrancesco, La democrazia (e la democra‐ zia liberale). È quest'ultima, infatti, a costituire un problema, nel senso che, giudicata secondo i parametri di una democrazia senza aggettivazioni, risulta carente, apparendo molto liberale e molto poco democratica. Ma quali sono questi parametri? La risposta di Preve è che sono eminentemente antropolo- gici e filosofici e non politologici o sociologici. Il politologo non dispone, a suo giudizio, degli strumenti necessari per penetrare fino alla sostanza della de- mocrazia, ma può solo fermarsi all'analisi delle sue forme e istituzioni, cioè della sua scorza esterna. Il limite dell'approccio politologico alla politica, e quindi alla democrazia, è, sempre secondo Preve, che la politica, come soste- neva già Aristotele, non è una scienza in quanto la sua materia prima sono gli uomini e il modo in cui essi organizzano il loro stare insieme. Orbene, l'uomo non può essere inquadrato, incasellato in schemi scientifici perché è, marxianamente, un "ente naturale generico" (Gattungswesen); in lui c'è una "plasficità" che gli consente di sfuggire a ogni categorizzazione e di esse- re pertanto un continuo campo di sorprese che mettono in crisi ogni pretesa di scientificità. "La democrazia", scrive Preve, "è una pratica umana comuni- taria, non un concetto scientifico". Dovrebbe allora essere chiaro perché, se- condo Preve, la democrazia non è tanto il potere del popolo, come siamo abi- tuati a ritenere, quanto il popolo al potere. Il primo tipo di definizione enfa- tizza, infatti, il dato istituzionale, strutturale della politica, mentre il secondo mette al centro coloro che concretamente la fanno. In altri termini, si dà de- mocrazia non quando si è in presenza di un quadro istituzionale ritenuto de- mocratico, ma in realtà liberale (un parlamento, libe re elezioni, partiti che si contendono il consenso dei cittadini, separazione dei poteri, stato di diritto, prevalenza della sfera privata su quella pubblica), bensì quando il popolo - inteso non come indefinita e romantica unità mistica, ma in senso aristoteli- co come l'insieme dei più poveri e degli svantaggiati - può concretamente ac- cedere al potere e far valere il suo peso nelle decisioni. Chi privilegia il primo aspetto (quello della rappresentanza), rischia seriamente di ridurre la demo- crazia a vuoto rito, a puro orpello, a «gioco politologico interminabile di si- mulazioni istituzionali». Questa è l'idea-cardine intorno a cui ruota il libro e che consente all'autore di sostenere che oggi, in Occidente, ci illudiamo di vi- vere in democrazia, mentre in realtà viviamo in regimi oligarchici che «si sono appropriati del concetto di popolo e in suo nome fanno gli interessi del grande capitale finanziario e dell'impero americano». La democrazia, quindi, è un compito, un traguardo che abbiamo davanti a noi, qualcosa da costruire e non di già scontato e acquisito. Si tratta di una tesi spiazzante e sconcertante per chi è assuefatto al politi‐ cally correct, che quotidianamente assorbiamo attraverso i mass-media e che tuttavia non sorprende chi ha una certa familiarità con gli scritti di Preve, il quale, nei suoi testi, predilige di solito i contenuti forti, i toni netti, perentori, e uno stile di scrittura che somiglia molto al linguaggio parlato, tipico del docen- te (di filosofia) quale egli è stato per molti anni. In effetti, leggendo la sua prosa, sembra quasi di vederlo mentre spiega ai suoi discenti Aristotele, Spi- noza e Marx. Conoscendo il suo amore per la Grecia, crediamo, dicendo que- sto, di fargli un complimento, perché gli antichi greci valorizzavano molto la parola pronunciata in pubblico, in particolare quella detta negli spazi che for- mavano e delimitavano la vita activa, cioè la politica; non, dunque, una parola rivelata, che scende dall'alto - la parola di cui parla il profeta Isaia' e che, per i cristiani, si incarna in Gesù Cristo - ma la parola frutto di un dialogo razionale, quindi esposta alla critica, al dissenso e anche al fallimento, come nei casi dei processi a Socrate e allo stesso Nazareno. Questa diversità di paro- le, e di pratiche po- Il popolo al potere Prefazione litiche, può essere rappresentata, a livello simbolico, dalle città di Atene e Ge- rusalemme che Preve, seguendo una tradizione filoso-fica consolidata, assu- me in altri suoi scritti come simboli di questi differenti approcci alla politica". Preve, pertanto, non si stupirà se, richiamandoci alla sua concezione "atenie- se", dopo aver letto/ ascoltato la sua parola, gli proponiamo, a nostra volta, alcuni ri-lievi che non intendono essere necessariamente critici, ma che anzi si inseriscono all'interno di un sostanziale apprezzamento del suo sforzo di rivitalizzazione della democrazia. Una prima osservazione si riferisce alla liquidazione, forse ec-cessivamente drastica e frettolosa, riservata nel saggio a politologi e sociologi (Mosca, Pare- to, Michels e, in tempi a noi più vicini, Sartori e Bobbio), delle cui "trame" Preve dichiara senza mezzi termini di "farsi beffe". Probabilmente, la politolo- gia e la sociologia avrebbero meritato una considerazione maggiore, soprat- tutto se si pensa che il politologo Colin Crouch, peraltro positivamente ci-tato da Preve, usando gli strumenti della sua vituperata "scien-za", si pone inter- rogativi non troppo dissimili da quelli sollevati da Preve circa la reale demo- craticità delle nostre democrazie, e se persino dalle opere di un sociologo molto integrato e à page come Ralf Dahrendorf viene fuori un'immagine della nostra società de-cisamente inquietante: democrazie ridotte a spettacolo e i cittadi-ni a masse di inebetiti couch potatoes, immense megalopoli fascia- te da colossali anelli d'asfalto intervallati da fast food e pornoshop, piccole enclaves di super-ricchi protette da guardie private e peri-ferie urbane de- gradate, dove la "colla" che tiene insieme la società si è ormai essiccata e le "legature" sociali non reggono più, al pun-to che ci si può chiedere, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo: «Se sei disoccupato, perché non fu- mare marijuana, par-tecipare ai droga-party e andarsene in giro con automo- bili ruba-te? Perché non rapinare vecchie signore, battersi con le bande ri-vali e, se necessario, ammazzare qualcuno?»5. 6 7 Già, perché non farlo? In nome di che cosa astenersene quando da ogni parte, in forme esplicite o subliminali, ci viene trasmesso sempre lo stesso messaggio, e cioè che niente ha valore e tutto ha un prezzo? Se con politologi e sociologi Preve, almeno su questo tema, non va molto d'accordo, riesce comunque a trovare una buona sintonia con storici come Eric Hobsbawm e Luciano Canfora, nonché con un pensatore come Pietro Bar- cellona. Tutti autori non a caso collocabili in un'area di sinistra critica, cioè in un contesto dal quale proviene lo stesso Preve. Di Hobsbawm, Preve accetta la periodizzazione secolo breve/secolo lungo, mentre, con riferimen-to più diret- to alla democrazia, si richiama a Canfora per quanto riguarda il rifiuto dell'i- dea formale di democrazia, vista da Canfora come ideologia del demos, vale a dire dei poveri, e non come forma di governo. L'importanza dell'educazione (paideía) alla democra-zia, e quindi l'esistenza di un homo democraticus come propedeutico al sorgere di una vera democrazia, è poi sottolineata anche da Barcellona in molti suoi saggi. Inutile aggiungere che Preve si è di certo anche nutrito delle pagine dedicate da Hannah Arendt alla democrazia greca. A questa rete di riferimenti, espliciti e impliciti, Preve aggiunge inoltre il suo tocco personale, la sua nota caratte-ristica: una scommessa sull'uomo. Pascal scommetteva su Dio, Preve scommette sull'uomo. A suo parere, può irnpostare correttamente il discorso sulla demo-crazia se non ci si sbarazza della negativa antropologia hobbesiana, cui aderiva un maestro celebrato della democrazia liberale come Norberto Bobbio, per aífermare e proporre una con- cezione del-l'uomo che Preve fa filosoficamente risalire ad Aristotele, ma che si dipana anche in Cusano e Marx, in base alla quale l'uomo è un essere dotato di logos, intendendo questo termine in tutta la sua estensione semantica, che - comprende le nozioni di ragione, dialo-go e calcolo, e uno zoon polítilcon, ossia al contempo un animale politico, sociale e comunitario6. A partire da questi presupposti, Aristotele può definire l'uomo un ente intermedio fra la di- vinità e l'animalità. È questa sua natura a fondare la necessità della vita in co- mune e della democrazia, in quanto luogo di incontro di quegli Il popolo al potere Prefazione esseri "aporetici' che sono gli uomini, la cui "plasticità" li apre alla verità e al- l'universale, sottraendoli allo scetticismo, al relativismo e a un differenziali- smo assoluto, chiuso all'universale e al vero. Qui Preve inserisce una critica ad Alain de Benoist, ritenuto uno dei portatori di questo discorso, che ci sem- bra datata. Poteva essere plausibile vent'anni fa, ma non adesso. Pierre-An- dré Taguieff, autore di quello che rimane, a tutt'oggi, il saggio più approfon- dito e serio sul percorso intellettuale di de Benoist, ha infatti rintracciato nella sua opera un itinerario di progressiva apertura all'universale e di supe- ramento dei limiti del relativismo e del differenzialismo assoluto'. 8 Questa linea di ricerca ci pare ampiamente confermata dai libri pubblicati da de Benoist successivamente al testo di Tag-uieff, risalente a dodici anni fa. Basti pensare al lavoro sui diritti umani, dove il pensatore francese scrive, senza possibilità di equivoco, che una posizione relativista è insostenibile, e a quello su identità e comunità, in cui queste nozioni vengono proposte in un'accezione aperta e dinamica'. O ancora a Oltre il moderno (Arianna, Ca- salecchio 2005), che vede de Benoist schierarsi per un federalismo inteso nel senso di Althusius e per una democrazia imperniata su una effettiva parteci- pazione popolare. È strano che Preve, che pure, nella nota bibliografica fina- le, mostra di conoscere tali testi, non abbia colto queste evoluzioni dell'ulti- mo de Benoist. Oltre ad essere datata, questa critica è altresì foriera di gravi equivoci che possono nuocere non poco a quel tentativo, nel quale è attiva- mente e meritoriamente impegnato lo stesso Preve, di decostruzione della destra e della sinistra e di denuncia della loro natura di meri e vuoti simula- cri all'ombra dei quali si riproduce il gioco delle parti neoliberale, globalizza- tore e bombardatore. Continuando, infatti, a sostenere, contro le evidenze te- stuali, che de Benoist è un relativista e un differenzialista assoluto, si dà og- gettivamente man forte a quanti sono interessati alla ghettizzazione di un pensiero che, se lasciato libero di circolare e presentato per quello che effetti- vamente è, potrebbe offrire un efficace contributo ad una rico struzione, a partire da un terreno in buona misura non coltivato, di un diverso e inedito panorama culturale e politico, di cui si sente la necessità in ambienti solita- mente definiti alternativi o antagonisti, ma che non è ancora riuscito ad as- sumere una credibile configurazione. La dissipazione di ogni malinteso do- vrebbe essere il primo passo da muovere in questa direzione. C'è, infine, un'altra questione che emerge dalle pagine di questo libro, che ci pare importante sottolineare. Non esiste democrazia, afferma Preve, senza un homo dernocratícus, ossia senza un tessuto connettivo diffuso fatto di uomi- ni animati da passione civile, voglia di partecipazione, desiderio di sentirsi coinvolti quali soggetti consapevoli nel destino della propria "circostanza", del mondo che li circonda. Orbene, la realtà in cui siamo immersi sta marciando in una direzione esattamente opposta: sia la democrazia che l'uomo sono sem- pre più sviliti e resi irriconoscibili, a tal punto che rischia di venir meno la ma- teria prima, per così dire, il presupposto stesso della discussione. Per quanto riguarda la democrazia, infatti, il modello che viene teorizzato, tanto nelle sedi accademiche quanto sugli organi di informazione di massa, e poi esportato e imposto ai refrattari, privilegia l'efficacia e la funzionalità agli interessi della superpotenza americana su ogni altra preoccupazione. In quest'ottica, non è importante che la gente, a tutti i livelli, sia infoimata, partecipi, discuta e deci- da, ma che lo Stato, liberato da fardelli sociali e trasformato in azienda, produ- ca il risultato che da esso ci si attende, che è quello di agevolare il flusso mon- diale di energia destinata a sostenere la way of lífe occidentale. È la cosiddetta "globalizzazione". I dissenzienti vengono inseriti nella categoria degli "Stati ca- naglia", con le tragiche conseguenze che ben conosciamo'. Cosa ci sia di democratico in tutto questo, a parte la retorica, è difficile dirlo. Alla deriva della democrazia, Preve oppone la sua scommessa sull'uomo, la persuasione che nell'uomo ci sia per definizione come una sorta di zona franca che gli consente di soffiarsi ai tentativi dei potenti di turno di inquadrarlo e controllarlo. Il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle — ma il no- stro sguardo Il popolo al potere Prefazione potrebbe allargarsi alla storia in generale - sembrerebbe av- valorare questa schema antropologico. I totalitarismi, che si prefig- gevano appunto un controllo totale dell'uomo tendente alla creazione di un uomo nuovo, sono crollati sotto il peso o della sconfitta militare o di una implosio- ne. Le loro pratiche hanno determinato reazioni di vario genere che alla fine li hanno travolti. I fatti hanno dimo-strato che il regime totalitario, descritto letterariamente in 1984, alla lunga non regge. Orwell aveva in mente l'URSS, rna è chiaro che il suo discorso è applicabile pure ai fascismi. Il Grande Fra- tello può anche arrivare a farsi "amare" dai suoi sudditi, come capita allo sfortunato protagonista al termine del romanzo, ma alla fine nell'animo del- l'uomo scatta qualcosa che lo spinge a ribellarsi, a dire basta e a riaffermare la sua dignità umiliata e offesa. Il falli-mento storico della distopia orwelliarta - che peraltro conserva aspetti molto attuali: si pensi al tema della neolingua, e quindi alla manipolazione del linguaggio da parte del potere - non significa, però, come ci si vuol far credere, che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che la storia è perciò finita. Se l'utopia negativa di Orwell e stata sconfitta, quella di Aldous Huxley appare, al contrario, il pericolo più grave e insidioso. Il Brave New World da lui descritto ha tutta l'aria di essere il modello vin- cente. Le biotecnologie appli-cate all'uomo e la forza di penetrazione e sedu- zione della sfera mediatica conferiscono una sinistra plausibilità allo scenario di un mondo futuro popolato da post-umani, da cyborg completamente asser- viti e lieti di esserlo, dove diventa estremamente difficile di-stinguere fra l'u- mano e il non umano - tema, questo, caro a un altro grande visionario, Philip K. Dick - e in cui l'ultimo esemplare della specie umana non può fare altro che impiccarsi. Di fronte a questa prospettiva, è possibile reagire con la fredda, distaccata indifferenza di un Houellebecq, con l'inquietudine di un Karnoouh o con l'e- saltazione prometeica di Negri e Hardt", ma certo è che in un mondo siffatto non avrebbe molto senso scom-mettere, perché non ci sarebbe più nessuno disposto a farlo. Tut-tavia, è pur vero che, se questa è la tendenza che si vor- rebbe far trionfare, non siamo ancora pervenuti a questi estremi. C'è anco-ra spazio per puntare sull'uomo e questo saggio di Preve è un ap-pello alla resi- stenza e urta dichiarazione di fiducia, che ci auguria-mo risulti contagiosa. Giuseppe Giaccio

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.