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Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi PDF

337 Pages·2005·1.17 MB·Italian
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Leopardi vede il futuro essenziale dell’Occidente: l’approssimarsi del paradiso della civiltà della tecnica e l’inevitabilità del suo fallimento. Emanuele Severino Questo libro di Emanuele Severino, pubblicato per la prima volta nel 1990, rappresenta la più lucida e rigorosa interpretazione filosofica del genio poetico di Giacomo Leopardi. Leopardi come pensatore del nulla – dell’opacità e dell’inconsistenza della realtà imprigionata nell’eterna gabbia del nascere e del morire – va ben oltre la filosofia di Schopenhauer: anticipando il nichilismo di Nietzsche, apre la strada dell’intera filosofia del nostro tempo. Per Leopardi la poesia rappresenta l’ultima illusione di salvezza offerta agli uomini, oltre il fallace ottimismo alimentato dal paradiso della scienza moderna e della tecnica. La sua grandezza filosofica, osserva Severino, "è stata ignorata, ma è inevitabile che egli abbia a diventare il pensatore che alla fine dell’età della tecnica smaschera il culmine della felicità e vede in esso il culmine dell’angoscia". Emanuele Severino (Brescia 1929) è uno dei più importanti filosofi del nostro tempo. Accademico dei Linci e professore emerito di Filosofia teoretica all’Università di Venezia, insegna Ontologia fondamentale all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È autore di opere tradotte in varie lingue. Tra i suoi ultimi libri pubblicati da Rizzoli, ricordiamo L’identità del destino (2009) e Macigni e spirito di gravità (2010). Proprietà letteraria riservata © 1990 R.C.S. Rizzoli Libri S.p.A., Milano ©2004 R.C.S. Libri S.p.A., Milano eISBN 978-88-5863085-3 Prima edizione digitale 2012 dalla terza edizione BUR Saggi ottobre 2010 Copertina: Progetto grafico di Cristina Ottolini per Mucca Design Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Prefazione Titolo e sottotitolo di questo volume sono simmetrici a quelli di un altro mio libro: Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo (Adelphi, 1989). La simmetria è nelle cose. Nella Prefazione de Il giogo si dice: «Questo libro non è un saggio intorno a un antico poeta greco, e nemmeno intorno a un filosofo – anche se Eschilo è uno dei più grandi pensatori dell’Occidente. Insieme a pochi, egli apre il sentiero lungo il quale ormai cammina tutta la terra. Lo si può chiamare il "sentiero della Notte" (Parmenide, fr. 1, v. 11), perché in esso si dispiega l’essenza stessa dell’Errore. La grandezza di tale essenza sfugge alle civiltà che ne sono dominate. Sfugge anche la grandezza del suo inizio – anche la grandezza del pensiero di Eschilo, quindi». Anche di questo libro si può dire che non è un saggio intorno a Leopardi, e nemmeno intorno a uno dei più grandi pensatori moderni. Certo, nonostante le rivalutazioni, si continua a ignorare che Leopardi è uno dei più grandi pensatori dell’Occidente. Ma soprattutto si perde di vista che egli apre l’ultimo tratto del «sentiero della Notte», e vede dove il sentiero conduce. Appunto per questo egli sta «alla fine dell’età della tecnica». L’ultimo tratto è l’età della tecnica. Leopardi non solo è il primo pensatore dell’età della tecnica, e apre la strada poi percorsa da tutta la filosofia contemporanea, ma vede il futuro essenziale dell’Occidente: l’approssimarsi del paradiso della civiltà della tecnica e l’inevitabilità del suo fallimento. Attraverso il suo pensiero, l’Occidente scorge il senso del proprio movimento storico, e dove esso conduce. Appunto al senso e alle possibilità del paradiso della tecnica si rivolge un altro mio libro, La filosofia futura, Rizzoli, 1989 (cfr. soprattutto Parte I – IV), che, insieme a Il giogo, costituisce il punto di riferimento e il presupposto immediato di queste pagine. Ma proprio per queste ragioni si può dire che questo libro non faccia altro che lasciar parlare Leopardi. Ce n’è bisogno. Non lo si è mai veramente ascoltato. Schopenhauer, Wagner, Nietzsche sanno di trovarsi di fronte a un genio. Ma quando Nietzsche, che ha un’influenza decisiva nella cultura contemporanea, scrive che Leopardi è il maggior prosatore del secolo, o «il filologo ideale», contribuisce in modo determinante a nasconderne la grandezza filosofica – della quale Nietzsche è profondamente debitore. In modo analogo, quando De Sanctis ritiene che il pensiero di Leopardi sia sostanzialmente identico a quello di Schopenhauer, e ne esprima anzi in modo più pregnante la sostanza, egli non fa altro che cancellare la filosofia di Leopardi, la fa sparire. Per la cultura marxista si tratta di una filosofia autenticamente rivoluzionaria; eppure anche questa rivalutazione del pensiero di Leopardi ha contribuito a ridurne il peso e il significato, perché lo considera pur sempre nel contesto della filosofia contemporanea, in cui domina il pensiero di Marx; o lo riconduce alla filosofia e alla cultura dell’illuminismo: non ci si avvede che è proprio il pensiero di Leopardi ad aver costituito, in modo sotterraneo ma decisivo, tale contesto e ad aver voltato le spalle alla tradizione dell’Occidente e a quanto di essa rimane nella stessa filosofia moderna. Non si ascolta il grande dialogo di Leopardi con l’intera civiltà e cultura dell’Occidente e con il futuro stesso dell’Occidente. Pascal, Rousseau, Schiller, lo stesso Schopenhauer sono ancora rivolti al passato. Leopardi apre invece la strada percorsa poi dalla cultura contemporanea. Indica la direzione essenziale della strada. Si continua oggi a parlare del «pensiero poetante» di Hölderlin e di Heidegger. Anche Hölderlin, come Leopardi, dialoga in grande con i Greci; ma anche lui guarda al passato, spera che gli Dèi fuggiti abbiano a ritornare. Leopardi, mezzo secolo prima di Nietzsche, sa che gli Dèi non sono dei fuggitivi, ma dei morti. Il contenuto del suo pensiero poetante è essenzialmente diverso e l’intreccio di poesia e filosofia apre l’ultima possibilità dell’uomo, alla fine dell’età della tecnica. Si ignora anche la grandezza filosofica di Eschilo. E la cosa è anche più grave. Insieme a pochi altri, egli apre il cammino dell’Occidente. Pensa per primo che la verità immutabile è il rimedio del dolore provocato dall’annientamento della vita. Leopardi, per primo, pensa che la verità è appunto l’annientamento della vita e delle cose, e che quindi non può essere il rimedio del dolore. La verità è il dolore. È il tratto fondamentale della filosofia contemporanea. «La verità, come rimedio, soggioga il divenire angosciante del mondo. Questo giogo è ciò che la tradizione dell’Occidente chiama "ragione". Poi, l’Occidente vorrà liberarsi dal giogo. Ma anche la liberazione dal giogo, come l’imposizione di esso, si mantiene in rapporto al senso greco del divenire, cioè del dolore che angoscia» (Il giogo, cit., Prefazione). Il pensiero di Leopardi è la prima espressione della volontà di liberarsi dal giogo e della coscienza dell’inevitabilità di tale liberazione. Apre, appunto, l’ultimo tratto del «sentiero della Notte». Liberato dal giogo, il divenire domina. Il nulla – da cui tutto proviene e in cui tutto ritorna – domina. Dopo il fallimento di tutti i «rimedi», la poesia rimane l’ultimo rimedio, «l’ultimo quasi rifugio». La grandezza del pensiero di Leopardi sta nel modo determinato in cui esso intende l’intreccio del nulla e della poesia alla fine dell’età della tecnica. Se la civiltà occidentale vuol essere coerente alla propria essenza, deve riconoscere che la propria filosofia è la filosofia di Leopardi. L’autentica filosofia dell’Occidente, nella sua essenza e nel suo più rigoroso e potente sviluppo, è la filosofia di Leopardi. Se ci si avvicina al significato più profondo della nostra civiltà, non si può dunque perdere di vista il rapporto essenziale che unisce e insieme divide Eschilo e Leopardi. Se si continua a ignorare l’evento straordinario, cioè il senso del «nulla» che il pensiero greco ha per la prima volta testimoniato, non solo non si comprende che cosa siano la «tragedia» attica e il «pessimismo» di Leopardi, ma non si riesce a scorgere quel che più conta: l’anima dell’Occidente: la dominazione del nulla sull’intero sviluppo della nostra civiltà. Il pensiero che si mantiene libero, al di fuori di questa dominazione, non può non scendere nella profonda grandezza dei maestri del nulla. Questo è il primo dei due volumi che intendono rivolgersi al carattere decisivo del pensiero di Leopardi in relazione al presente e al futuro dell’età della tecnica. Mostra la configurazione di fondo dei temi; e solo in alcuni testi, soprattutto gli ultimi e i primi, profondamente solidali – giacché l’unità rigorosa e potente, la continuità profonda del pensiero di Leopardi è stata essa stessa ignorata. Al volume successivo, il compito di portare alla luce gli sviluppi fondamentali.1 Per i Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura (lo Zibaldone) faccio riferimento all’edizione Le Monnier, Firenze 1930-32, e così pure per l’Epistolario (1925); per il resto, a Opere, a cura di Sergio Solmi, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1956. Primavera 1990 Natale 2004 I LEOPARDI E I GRECI

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