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Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli PDF

112 Pages·2014·4.166 MB·Italian
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Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli Stefano, Rodotà iLibra Federico Rampini La trappola dell’austerity. Perché l’ideologia del rigore blocca la ripresa Luciano Gallino Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario Stefano Rodotà Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Marco Revelli Post-Sinistra. Cosa resta della politica in un mondo globalizzato Massimo Giannini L’anno zero del capitalismo italiano Zygmunt Bauman Il demone della paura iLibra Stenano Rodotà Il mondo nella rete Quali i diritti, quali i vincoli © 2014, Gius. Laterza & Figli - Gruppo Editoriale L’Espresso Edizione digitale: marzo 2014 www.laterza.it - www.ilibra.it Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Gruppo Editoriale L’Espresso Spa via C. Colombo 98 - 00147 Roma Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy) per conto di Gius. Laterza & Figli Spa e Gruppo Editoriale L’Espresso Spa ISBN 978-88-88241-20-3 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata Indice Prologo 1. I diritti politici della piazza virtuale 2. La cittadinanza digitale 3. Neutralità e anonimato 4. Dall’habeas corpus all’habeas data 5. Dittatura dell’algoritmo e prerogative della persona 6. Il diritto all’oblio 7. Nuove forme di redistribuzione del potere 8. La qualità della democrazia elettronica 9. Perché è necessario un Internet Bill of Rights Epilogo La parola a... Edward Snowden, Ecco perché ho parlato Thomas Drake e Bill Binney, Così spiavamo le vite degli altri Vint Cerf, Nessuno legge le vostre mail, però la sicurezza dei cittadini ha un costo John Young, Obama non poteva non sapere del Datagate Appello di 560 scrittori e intellettuali contro i sistemi di sorveglianza I numeri della rete Cronologia della rete Bibliografia essenziale Prologo Numero di utenti Internet totali nel mondo (per nazione). I nternet, il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, la rete che avvolge l’intero pianeta, non ha sovrano. Nel 1996, John Perry Barlow apriva così la sua Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio: «Governi del mondo industriale, stanchi giganti di carne e d’acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della mente. In nome del futuro, invito voi, che venite dal passato, a lasciarci in pace. Non siete benvenuti tra noi. Non avete sovranità sui luoghi dove ci incontriamo». Questa affermazione orgogliosa riflette il sentire di un mondo, di una sterminata platea in continua crescita fino agli attuali oltre due miliardi di persone, che si identifica con una invincibile natura di Internet, libertaria fino all’anarchia, coerente con il progetto di dar vita a una rete di comunicazione che nessuno potesse bloccare o controllare. Ma è pure un’affermazione che ha dovuto subire le dure repliche da una storia in continua accelerazione, da una cronaca che consuma. Interrogativi come «L’universalità di Internet deve trovare una sua traduzione istituzionale, una sua ‘costituzione’ che spinga il suo complessivo assetto al di là di quella che viene definita come la sua necessaria governance?» e «Può avere regole il mondo del Web – mobile, sconfinato, in continuo mutamento?» accompagnano da sempre le discussioni sul futuro di Internet, e sono ormai proiettati oltre le ripulse iniziali, che avevano considerato come un attentato alla sua natura libertaria ogni ipotesi di arrivare appunto a regole, percepite come un inaccettabile vincolo. Altre volte nella storia, il diritto e le regole hanno dovuto abbandonare il tradizionale e rassicurante riferimento alla terra e fare i conti con realtà mobili, il mare in primo luogo. Nomos della terra e libertà dei mari sono il filo conduttore della ricerca di Carl Schmitt. Nasceva così un diritto modellato sulla natura delle cose, liberato dalla soggezione a vecchi schemi, con nuovi e inediti protagonisti. Proprio Schmitt ci ricorda il ruolo dell’Inghilterra e dei suoi pirati, che «aprirono la strada alla nuova libertà dei mari, che era una libertà essenzialmente non statale». Non è allora un caso che la grande metafora dello stare in rete sia quella del «navigare» e che proprio al «diritto del mare» si siano rifatti in molti quando hanno dovuto affrontare le sfide istituzionali di Internet, tornando con la memoria alla costruzione, all’«estrazione» dall’esperienza di principi e regole che avrebbero consentito di avere un mare libero e sicuro. D’altra parte, la progressiva crescita di Internet – vale a dire la sua sempre maggiore rilevanza sociale e politica – ha reso sempre più aggressiva la pretesa degli Stati di far valere le loro antiche prerogative, considerando la rete come l’oggetto del desiderio delle sovranità esistenti. Ma nel mondo sconfinato questa pretesa è indebolita dalla «fine del territorio giacobino», circondato da sicuri confini, governato da un unico centro. Sì che gli Stati nazionali cercano di far valere il potere, tutt’altro che residuale, di cui ancora dispongono, ma non possono stabilire una sovranità sul cyberspazio. Questa distinzione tra una sovranità improponibile e un potere invadente mette in discussione una delle conseguenze che si ritenevano implicite nella negazione della sovranità – quella che potrebbe essere sintetizzata nell’affermazione della impossibilità, inutilità, illegittimità di qualsiasi regolazione di Internet. Una impostazione, questa, che non conduce soltanto a una assoluta autoreferenzialità della rete, anzi alla conclusione che la rete non ha bisogno di stabilire relazioni perché essa comprende già tutte le relazioni possibili. Porta con sé anche una impostazione, più che ideologica, mitologica. Sembra, infatti, evocare la lancia di Achille e quella di Parsifal,

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