ebook img

Il mito greco e la tragedia in Pier Paolo Pasolini. Appunti per un'Orestiade africana PDF

147 Pages·2015·2.61 MB·Italian
by  
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Il mito greco e la tragedia in Pier Paolo Pasolini. Appunti per un'Orestiade africana

Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali Tesi di Laurea Il mito greco e la tragedia in Pier Paolo Pasolini. Appunti per un’Orestiade africana Relatore Ch.ma Prof.ssa Valentina Carla Re Correlatore Ch.mo Prof. Carmelo Alberti Laureanda Anna Bersotti Matricola 845294 Anno Accademico 2013 / 2014 INDICE Introduzione p. 3 Capitolo I – Pasolini, il mito greco e la tragedia p. 7 Capitolo II – Pasolini e il mito di Oreste. Confronti anteriori ad Appunti per p. 25 un’Orestiade africana: la traduzione dell’Orestea, Pilade II.1 La traduzione dell’Orestea: <<Peggio di così non potevo comportarmi>> p. 32 II.2 Pilade p. 44 Capitolo III – Appunti per un’Orestiade africana p. 54 III.1 L’opera p. 59 III.2 Definizione del genere p. 70 III.3 Un’analisi del rapporto tra Pasolini e l’Africa p. 75 III.4 Appunti per un poema del Terzo Mondo p. 83 III.4.1 Paesi Arabi p. 85 III.4.2 Sud America p. 85 III.4.3 Ghetti del Nord America p. 86 III.4.4 Nota al “Padre selvaggio” p. 86 III.4.5 Nota al film sull’India p. 87 Capitolo IV – Ulteriori confronti dell’autore con il mito greco e la tragedia p. 89 IV.1 Edipo re p. 89 IV.2 Medea p. 99 IV.3 Le tragedie avviate nel 1966 p. 108 IV.3.1 Orgia p. 110 IV.3.2 Affabulazione p. 112 IV.3.3 Porcile p. 113 IV.3.4 Calderón p. 117 IV.3.5 Bestia da stile p. 121 1 Appendice – Biografia di Pier Paolo Pasolini p. 124 Bibliografia p. 137 Sitografia p. 143 Filmografia pasoliniana p. 145 Filmografia ulteriore p. 145 2 INTRODUZIONE La scelta di analizzare la questione del mito greco in Pasolini si deve in primo luogo al mio percorso personale, che mi lega a filo doppio all’ambito dell’archeologia (classica e, soprattutto, preistorica e protostorica), ma anche al fatto che considero da sempre la personalità di Pasolini una delle più eclettiche e complesse del secolo scorso, caratterizzata da posizioni decisamente radicali e dettate da motivi autobiografici (Siti 2001). Parlo di eclettismo in quanto l’autore contiene in sé una forza che necessita di essere sprigionata attraverso numerose forme artistiche, in un continuo processo di inesausta ricerca, scandito da una costante insoddisfazione e progetti incompiuti. Egli sembra, anzi, aver perseguito ostinatamente e con intento il carattere effimero delle proprie opere: si vedrà come questo sia, in fondo, simbolo di incontentabilità e di una sempre maggiore disillusione. Si tratta di progetti che spesso prevedono la contaminazione di numerosi linguaggi: immagini, interviste, testimonianze orali… Estremamente esemplificativo a riguardo è Appunti per un’Orestiade africana, nel merito del quale si entrerà nel Capitolo III e su cui tale elaborato si concentra. Ho scelto questo argomento da un lato perché ritengo che Appunti per un’Orestiade africana possa considerarsi riepilogativo della poetica pasoliniana degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta (pur essendo, ad oggi, una delle opere dell’autore meno conosciute nonché meno trattate in letteratura); dall’altro perché mi ha permesso di studiare, a partire dall’analisi dei confronti dell’autore con il mito di Oreste, quale sia l’interpretazione che Pasolini fa del mito greco e della tragedia e in che modo utilizzi tali “strumenti” a suo favore. Fondamentale per la mia ricerca è stato, soprattutto per l’avvio dello studio, il supporto del Centro Studi- Archivio Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna1. Pasolini trova dunque modo di relazionarsi con diverse Arti, intese come vere τέχναι (“téknai”, arte, ma anche tecnica): teatro, romanzo, pittura, sceneggiatura, 1 Un ringraziamento particolare va al dott. Roberto Chiesi, responsabile del Centro Studi Pier Paolo Pasolini. 3 poesia, regia, traduzioni dal greco e dal latino, cui si aggiunge una prolifica attività critica e teorica. Una poliedricità quasi ossessiva, insomma; un eclettismo esasperato sino alla contraddizione, che svela il desiderio di infrangere codici scritti e non. Ecco, credo che questa sia l’affascinante cifra di lettura dell’autore. Nelle pagine che seguono ci si interrogherà su cosa significhi il mito greco (Capitolo I) – come risorsa dal Passato – agli occhi di Pasolini, definendone in primis quali siano, a mio parere, le accezioni individuanti. Naturalmente non tralasciando la tragedia, in cui il mito pasoliniano si esplica in forma di rito (nello specifico si parla di un rito di tipo culturale). Si definirà inoltre a quale Antichità Pasolini faccia riferimento: non tanto a quella classica, dotata di un razionalismo maggiormente assimilabile alla borghesia moderna, quanto a quella arcaica e barbarica assimilabile alla Preistoria, una condizione “prima della storia”, dunque, che l’autore ossessivamente ricerca. Alla definizione del mito greco per Pasolini si aggiungerà poi un’altra sua peculiare passione/ossessione, quella per il Terzo Mondo, che l’autore concepisce come la trasposizione (via via sempre più disillusa) della Grecia arcaica nel presente. Ci si soffermerà soprattutto sulla comprensione dei fattori che hanno condotto Pasolini alla scelta di confrontarsi ripetutamente con il mito greco. Si noterà che i motivi principali sono fondamentalmente due, in fondo il secondo conseguenza del primo: in primo luogo il desiderio di rievocare la vie antérieure del grembo materno e il benessere che da ciò deriva; in secondo luogo la necessità di rivitalizzare il mondo contadino e sottoproletario vissuto nel mondo infantile in contrapposizione al neocapitalismo dilagante e alla borghesia tanto odiata dall’autore e personificata dalla sfera paterna. Questo sotto il segno di numerosi tentativi di rimitizzazione: dell’inserimento, cioè, del Passato arcaico nel Moderno – nello specifico, il secondo dovrebbe arginare e coordinare il primo – per permetterne la sopravvivenza. Ci si interrogherà sul motivo per cui tra i confronti di Pasolini con la tragedia greca quello con l’Orestea di Eschilo sia stato quello che deve averlo colpito maggiormente o, forse, messo più in difficoltà (Capitolo II). Si noterà come questo si spieghi grazie a due aspetti: da un lato per il fatto che l’Orestea esprime un sentimento politico di grande importanza agli occhi di Pasolini, il quale riesce a rendere la tragedia malleabile e attuale per innestarvi il proprio pensiero e la propria ideologia; d’altro canto, l’autore sarà stato colpito e affascinato dal fatto che la 4 tragedia non presenti una conclusione netta. Si è detto che i progetti incompiuti, privi di una conclusione, sono tipici della poetica pasoliniana; eppure, paradossalmente, qualcosa lo spinge in questo caso a voler trovare una conclusione: questa diventa una vera questione personale con la quale l’autore si confronterà a più riprese, dalla traduzione istintiva e compiuta quasi di getto, per Gassman e Lucignani, del 1959- ‘60, arrivando addirittura a modellare un personaggio che riporta chiaramente i caratteri della sua persona, nel Pilade, tragedia che Pasolini stende come ideale prosecuzione dell’Orestea, sino a creare, infine, un originale film-documentario, Appunti per un’Orestiade africana, realizzato in vista di un <<film da farsi>>2 e scandito da tre componenti fondamentali dialoganti l’una con l’altra: alcune riprese di ricerca compiute dallo stesso Pasolini per individuare la collocazione futura e i potenziali interpreti del suo film, una discussione con alcuni studenti africani presso l’università di Roma, e l’azzardata quanto, a mio avviso, efficace ipotesi di sostituzione del testo eschileo con una jam session. E proprio su Appunti per un’Orestiade africana, sulla base di quanto sarà detto nel primo e nel secondo capitolo, ci si vuole soffermare (Capitolo III): si analizzerà l’opera, si menzionerà la sua relazione con Appunti per un poema sul Terzo Mondo (si è detto, e si vedrà meglio poi, come la tematica terzomondista tanto lo attragga, a partire da Alì dagli occhi azzurri in poi), ma soprattutto si cercherà di capire perché Pasolini scelga l’ambientazione africana: sia Edipo re che Medea hanno un’ambientazione esotica, ma evidentemente negli Appunti essa assume un’importanza talmente forte da spingere l’autore a inserirla addirittura nel titolo. E in effetti l’ambientazione africana è di particolare interesse poichè custodisce in sé gran parte della poetica del Pasolini degli anni Sessanta; si fa forte infatti non solo l’espediente della ricerca della Grecia arcaica e barbarica, della quale gli pare – almeno inizialmente – di potervi individuare tracce concrete, ma anche perché egli può in questo modo ben esprimere la valenza politica dell’Orestea: è un periodo, quello degli anni Sessanta, in cui parte dell’Africa ha appena scoperto la democrazia (in seguito alla decolonizzazione), proprio come la conclusione dell’Orestea. Sembra dunque che la conclusione della tragedia eschilea – che, si è detto, non può 2 Afferma nelle prime scene. 5 propriamente dirsi tale – Pasolini tenti di ricercarla proprio nel nuovo inizio africano. Sembra, insomma, accettare l’idea, in fondo, che una conclusione non possa esservi. E, infatti, il “film da farsi” tale resterà. Ma l’opera è interessante anche per quanto riguarda l’aspetto antropologico che indaga sul rapporto di Pasolini con il concetto sé/altro da sé; rapporto che, peraltro, è un ulteriore motivo che deve aver spinto l’autore a scegliere l’ambientazione africana. Non si escluderanno naturalmente gli altri approcci dell’autore al mito e alla tragedia, che si configurano in un connubio di cinema e teatro (Capitolo IV). Per quanto riguarda il cinema, Pasolini realizza due opere filmiche oltre agli Appunti per un’Orestiade africana: Edipo re (1967), in cui preponderante è il piano psicoanalitico che prende in considerazione il percorso che porta alla conoscenza di sé3, e Medea (1970), in cui si tratta della tematica cara all’autore della sintesi tra due livelli culturali differenti, quello arcaico e barbarico legato al Passato e quello che mira invece al futuro e al progresso neocapitalistico; è una tematica peraltro costantemente presente anche nei confronti dell’autore con il mito di Oreste. Per quanto riguarda invece l’ambito teatrale, interessanti sono le sei tragedie che l’autore compose nel ’66: Calderón, Affabulazione, Pilade, Orgia, Porcile e Bestia da stile. Sono tutte tragedie in versi che risentono del sapore dei Dialoghi platonici (che peraltro Pasolini aveva da poco letto) che permettono all’autore di esprimere il proprio pensiero in chiave ironica e talvolta scandalosa. Si farà infine qualche breve cenno alla vita tormentata che più che mai è stata incisiva per la poetica di un autore come Pier Paolo Pasolini. 3 Per quanto riguarda la figura di Edipo ma, soprattutto, dello stesso Pasolini. 6 CAPITOLO I PASOLINI, IL MITO GRECO E LA TRAGEDIA Tra le ossessioni più tormentate di Pasolini – e che qui più interessa – vi è quella per il mito antico e la tragedia greca. Ossessione che subito si svela se si osserva che le opere ispirate a tale ambito ricoprono il quindicennio forse più fecondo per Pasolini, dal 1959 – anno dell’incarico da parte di Gassman della traduzione dell’Orestea per il Teatro Greco di Siracusa – al 1973 – anno della prima proiezione, il 1° Settembre, di Appunti per un’Orestiade africana alle Giornate del Cinema Italiano a Venezia. Mi sembra di poter affermare con certezza che Pasolini lavori su un mito inteso in una doppia accezione. La prima è quella di μύθος (“mithos”: parola, racconto), cioè ciò che viene considerato come una storia sacra e pertanto una “storia vera”, poichè fa sempre riferimento alla realtà (Eliade, Cantoni 1993): vale a dire una narrazione connotata spesso a livello sacrale, relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui esso ha raggiunto la propria forma in un certo contesto socio- culturale di uno specifico popolo greco (o collegato al mondo ellenico). È una sorta di racconto a-storico e polisemico, che già esiste prima che un narratore cominci a raccontarne. Inizialmente esso vive di memoria, oralità e auralità: viene trasmesso vocalmente e viene recepito dal pubblico attraverso il senso dell’udito. Ma ciò che conferisce una realistica prospettiva storica al mito e ne dà una collocazione fisica – il teatro1 – è la tragedia, genere teatrale greco per eccellenza che riprende il mito e lo segue fedelmente e la cui messa in scena è un rituale nel contempo religioso e sociale. Pasolini si serve della tragedia non soltanto in quanto nascente da una matrice mitica, ma anche perché essa è un mezzo (verrebbe da dire già un medium, pensando a McLuhan) attuale e inattuale allo stesso tempo: la tragedia, infatti, narra sì di attualità, 1 Nel quale, accanto al senso dell’udito, diviene parimenti importante la vista: a dimostrarlo il fatto stesso che il termine “teatro” deriva dal greco θέατρον, “theatron”, che a sua volta trae radice dal verbo θέαομαι (“theaomai”), letteralmente “io vedo”. 7 dell’importanza della polis e della politica vigente al tempo in cui l’autore era in vita, ma colloca contestualmente i suoi personaggi nel tempo a-storico del mito: mette cioè in dialogo le antiche leggi mitiche con le leggi politiche. E questo aspetto è fondamentale per comprendere l’interpretazione che Pasolini fa dell’Antichità. Il senso tragico viene mostrato e rappresentato davanti ai cittadini tutti come una solenne cerimonia religiosa, politica e sociale, un vero rito insomma. Il termine “tragedia” deriverebbe da τραγῳδία (“tragodía”), che a sua volta significherebbe “canto su/per/intorno al capro”, dove il capro rappresenta l’animale sacro a Dioniso. Pasolini deve aver trovato quest’ultimo particolarmente affine alla propria personalità, in quanto divinità preposta non solo al teatro ma anche all’estasi (e al vino), nonché alla liberazione dei sensi, all’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire in un continuo mutamento (πάντα ῥεῖ), lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo e l’esistenza intesa in senso assoluto, cioè il frenetico flusso di vita che pervade ogni cosa. Rappresenta, insomma, lo stato primigenio dell’uomo, quel piccolo elemento primordiale e istintivo insito e insopprimibile in ogni uomo che Pasolini, soprattutto negli anni Sessanta, ossessivamente ricerca. E questo aspetto, in effetti, poco si allontana da quella seconda accezione di “mito” che ritengo che Pasolini considerasse, consciamente o no, nelle sue opere: essa si configurerebbe, a mio avviso, nell’aspirazione dell’autore a raggiungere il ricordo di qualcosa di lontano, mai vissuto e però innato nell’uomo contemporaneo; costituirebbe dunque <<una figura di pensiero in cui si addensa ed enfatizza la tragedia della condizione umana>> (De Santi 2004, p. 25); un’accezione antropogonica, un punto di riferimento antico e tuttavia sempre presente, che Pasolini ricercherà spesso, ad esempio nella Tanzania e nell’Uganda di Appunti per un’Orestiade africana, nel Marocco dell’Edipo Re o nella Turchia e nella Siria di Medea2. Le sue, infatti, sono ambientazioni che mirano ad andare alle radici del teatro (con modello greco). O, almeno, questo è il pretesto: l’intento più intimo è quello di spingersi sino alle radici della Storia, verso quel livello “prima della storia” e “mitico” che tanto lo ossessiona. Il ruolo ultimo delle ambientazioni del Pasolini 2 Tale concezione antropogonica verrà trasposta, oltre alla ricerca fisica, anche nelle tragedie avviate nel ’66: Orgia, Affabulazione, Pilade, Porcile, Calderón e Bestia da stile. 8

Description:
III.4.5 Nota al film sull'India p. 87. Capitolo IV – Ulteriori confronti dell'autore con il mito greco e la tragedia p. 89. IV.1 Edipo re p. 89. IV.2 Medea p. 99.
See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.