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Il libro nel mondo antico PDF

383 Pages·2008·55.62 MB·Italian
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Horst Blanck Il libro nel mondo antico a cura di Rosa Otranto I~ .". - Edizioni Dedalo . Horst Blanck Il libro nel mondo antico edizione rivista e aggiornata a cura di Rosa Otranto prefazione di Luciano Canfora Edizioni Dedalo © 1992 Verlag C.H. Beck oHG, Miinchen Titolo originale: H. Blanck, Das Buch in der Antike, Miinchen, Beck, 1992 ( «Beck 's Archiiologische Bibliothek») Traduzione di Rosa Otranto La collana «Paradosis» è pubblicata con un contributo dell'Università degli Studi di Bari. © 2008 Edizioni Dedalo srl Viale Luigi Jacobini 5, 70123 Bari www.edizionidedalo.it NEL REGNO DEI LIBRI 1. «L'imperatore sente quotidianamente il bisogno di poter disporre di una biblioteca da viaggio» (Promemoria di Napoleone, 12 giugno 1809). E se la disegna lui stesso: formato, numero di pagine di ciascun volume, con tenitore: «trenta casse, ogni cassa tre file, ogni fila 33 volumi». E dentro ci saranno: «storia universale, storia antica, storia del basso impero, storia generale e monografica, storia moderna degli Stati d'Europa». E aggiunge: «anche Strabone, la Bibbia e qualche storia della Chiesa». Il bibliotecario personale dell'imperatore, Antoine-Alexandre Barbier, provvide. Conoscere il più possibile le letture di un autore - come ormai si può grazie ad importantissimi libri e repertorii (Lo scrittoio del Petrarca; La bi blioteca di un umanista, per Leon Battista Alberti; e poi Tartarotti, Leo pardi, Foscolo etc.) - significa capirli più in profondità. Quando si tratti poi di un personaggio politico, la sua biblioteca aiuta, almeno in parte, a comprendere la sua/orma mentis. Ad esempio questa smisurata «eliofi lia» del Bonaparte non ci sorprende affatto. Sin dagli anni della prima giovinezza nella Corsica di Pasquale Paoli, egli si nutriva di Plutarco, che del resto risultò essere anche una delle (poche) letture certe di Danton quando si fece l'inventario dei suoi beni ad esecuzione awenuta. E si po trebbe seguitare ricordando quanto avevano significato Oriani e Nietz sche per Mussolini, o addentrandosi nella selva della biblioteca personale di Stalin, dipanata da ultimo da Ilizarov. Un campo inesauribile d'indagine sono le «biblioteche d'autore», sin dall'età antica. Per esempio, è noto che Euripide, il grande tragediografo del V sec. a.C., non molto amato dal pubblico ateniese, possedeva libri ed era messo alla berlina anche per questo. Aristofane, il commediografo ate- 6 CANFORA niese che meglio conosciamo, non mancava di deridere Euripide anche per questo. Una volta, nelle Rane (943 ), parla di «decotto di libri» come di qualcosa di pericoloso. In compenso però, lui le grandi tragedie di autori che avevano dominato e ancora dominavano la scena le conosceva bene. E la sua comicità, che è spesso parodia, si nutre appunto di tali letture. Nel secondo secolo della nostra era, forse il più «alfabetizzato» del !' antichità, Ateneo di Naucrati, un autore egiziano che ebbe a disposi zione una formidabile biblioteca, si poneva la questione di quali fossero stati i primi grandi autori-collezionisti di libri. E nominava, dell'epoca classica, tra gli altri, Euripide. Ma soprattutto Aristotele: il filosofo-scien ziato che aveva messo in essere, nel Liceo, non solo una biblioteca, ma anche, con l'aiuto di Alessandro Magno, suo allievo, un museo naturale, che furono il modello della «grande biblioteca» e del Museo di Alessan dria, divenuta ben presto la capitale mondiale della cultura. L'Egitto ha un ruolo importante ma non unico in questa storia. A Roma, al tempo di Vespasiano, Plinio il Vecchio scrive la Storia Naturale sulla base di un'im mensa biblioteca scientifica ed erudita di cui ci dà lui stesso il catalogo, al principio della sua opera. Ma quanti leggevano intorno a questi grandi centri di cultura? L'al fabetismo nel mondo antico è stato, nel Novecento, uno dei grandi temi di discussione. Un bilancio comunque lo si può trarre. Certamente le città, grandi e meno grandi, furono molto più alfa6etizzate delle campa gne, e l' «oriente» parlante greco, dotato di una fitta rete di ginnasi, lo fu molto più dell'occidente. Comunque, la Gallia tardoantica al tempo di Giuliano «l'Apostata», o di Ausonio o, più tardi, di Sidonio Apollinare è, nelle sue aree urbanizzate, caratterizzata da una diffusa cultura libra ria non meno di Gaza o di Cesarea di Palestina. Quello che va evitato è l'idea di uno sviluppo lineare. Non fu così, e forse non è mai così. Ci fu rono momenti alti, come l'età di Adriano, il grande costruttore di bi blioteche: si pensi alle sue iniziative in tal senso in Atene, a Roma e a Tivoli, ad Alessandria. E ci furono momenti di crisi drammatica e di ar retramento, per tutto il III secolo. Ancora alla metà del IV secolo Am miano Marcellino, lo storico di origine greca che continuò in latino l'opera di Tacito, affermava che a Roma le biblioteche erano «chiuse, NEL REGNO DEI LIBRI 7 sbarrate, come tombe». Secondo Rostovtzeff la civiltà classica, in Oc cidente, era crollata perché la campagna (i contadini-soldati) aveva sommerso le città, cioè i luoghi di maggiore addensamento di libri e di lettori. Anche nelle età più vicine a noi, del resto, l'alfabetismo non ha quasi mai avuto un andamento stabilmente progressivo. Nell'Italia di metà Ottocento, intorno al momento in cui si forma l'unità nazionale, la massa analfabeta rasenta mediamente il 70% della popolazione. Il se colo XX ha visto momenti di alfabetizzazione intensiva (e si potrebbe dire «forzata»), come ad esempio in URSS, e, contemporanemente, aree di grande stagnazione come il Nord-Africa francofono, nonostante la presenza coloniale della Francia, cioè di uno dei paesi più alfabetiz zati del mondo. Oggi d'altra parte l'alfabetizzazione sembra totale in certe aree grazie ai nuovi potenti mezzi di comunicazione di massa, ma è qualitativamente molto limitata. Conoscevano più parole i soldati ro mani dell'armata di Crasso, che portavano nel loro bagaglio romanzi e novelle di argomento erotico, che non gli odierni "telepazienti" pur re cuperati all'uso della lingua e affrancati dal «monolinguismo» dialettale per l'appunto grazie alla televisione. La schiacciante prevalenza di Omero, Menandro, Demostene ed Eu ripide, e dei Vangeli, parla da sé. Quelli erano i libri più presenti (bi blioteche, scuole, case signorili). Non necessariamente i più letti. I libri che stavano "sul comodino" delle persone che si dilettavano della lettura erano però forse più leggeri. Era la letteratura di consumo: storie d'amore e d'avventura, per usare il titolo di una famosa raccolta pubblicata da Dedalo nel 1992. Sono sopravvissuti fino a noi non pochi frammenti su papiro del romanzo di Achille Tazio (Leucippe e Clito/onte), giudicato «sconcio» dal patriarca bizantino Fozio, che peraltro se lo leggeva onde poterlo giudicare tale; e non pochi di Caritone, il romanziere greco più elegante. Ma soprattutto piacevano le novelle «piccanti». Se ben poche ne abbiamo tra i tantissimi papiri superstiti, ciò vuol dire che venivano «consumate» con intensità e con altrettanta disinvoltura dismesse. Le più famose e le più audaci erano le cosiddette Milesie, cui si sono ispirati anche i romanzieri romani Petronio e Apuleio. Addirittura, l'imperatore Tiberio forniva agli ospiti delle sue dimore i libri con figure della poco ve reconda Ele/antide. 8 CANFORA Ma i semianalfabeti di epoca classica leggevano dawero prevalente mente o unicamente letteratura "bassa"? La cosa non dovrebbe stupirci se si considerano le statistiche fornite da Robert Damton, Libri proibiti (pornografia, satira e utopia all'origine della rivoluzione francese), Mon dadori 1995 (titolo originale: The Forbidden Best-Sellers). 2. Abbiamo ormai da tempo compreso che c'è una via per tentar di capire cosa leggevano nell'antichità le persone comuni: è però un cam pione limitato geograficamente (alcune aree dell'Egitto: Ossirinco, il Fayum etc.); e anche cronologicamente, visto che buona parte dei fram menti di libri che gli studiosi e i cercatori di «papiri» recuperano risal gono ai primi tre secoli della nostra era. Già piuttosto presto Girolamo Vitelli e Medea Norsa segnalarono (in particolare nel bel volume XI [1935] dei Papiri della Società Ita liana) che l'identità di scrittura tra pezzi diversi, rintracciati magari a di stanza di molti anni, suggerisce che quei tesori recuperati tra i «rifiuti» sono in realtà gli avanzi di antiche «biblioteche»: raccolte private, o di ginnasi, o di centri di copia. Un grande lavoro in questo senso è con densato nel recente volume di William A. Johnson, Bookrolls and Seri bes in Oxyrhynchus. Qui Johnson ha awiato in modo sistematico l'identificazione di alcuni copisti (scribes) che hanno prodotto una serie di rotoli. Si sono salvati pezzi sufficientemente indicativi per stabilire raffronti e trarre deduzioni. Quando la serie degli Oxyrhynchus Papyri era giunta al XXII volume, il grande papirologo inglese Eric Turner pubblicò, anonimo, un bel saggio d'insieme sul «Times» di Londra (19 dicembre 1955, p. 7) intitolato La vita culturale della comunità nilotica (Nile Community's Cultura! Lzfe) che è stato ripescato e ristampato poco tempo fa nella rivista italiana «Qua derni di Storia» (nr. 62). Qui Turner metteva in guardia dalle deduzioni af frettate, che rischiano di essere messe in crisi ad ogni nuova, clamorosa, scoperta. E si deve anche tener conto delle centinaia di frammenti inediti che sono ancora 'acquattati' nelle biblioteche papirologiche europee. Sta di fatto però che la "legge" di Oldfather (The Greek Literary Texts /rom Graeco-Roman Egypt), formulata nell'ormai lontanissimo 1923, secondo NEL REGNO DEI LIBRI 9 cui sono rari i casi di papiri letterari appartenenti ad autori poco cono sciuti, mentre la gran parte conserva grandi autori, resta, nella sostanza, non contraddetta. Un libro italiano di qualche anno fa (Antiche liste di libri su papiro, di Rosa Otranto, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000) ci ha messo in condizione di leggere e utilizzare frammenti più o meno consistenti di liste di libri circolanti in Egitto: si tratta di una testi monianza diretta e d'epoca sulle raccolte (private per lo più) di libri. La "regola" di Oldfather non ne esce incrinata, fatte le debite proporzioni (si tratta di liste compilate quando tutto quel mondo era ancora in vita!). Si è salvata, tra l'altro, una lettera (POxy. XVIII, 2192) di cui igno riamo mittente e destinatario ma che ci illumina su dettagli concreti che nessun libro di storia mai ci potrebbe raccontare. «Fammi allestire - scrive il mittente - e mandami copia dei libri VI e VII del trattato di Ip sicrate intitolato Personag,gi presi di mira nelle commedie. Arpocrazione [cioè il grande lessicografo del II secolo, cui dobbiamo moltissimo delle nostre conoscenze di storici e oratori] dice che quei libri si trovano presso Pollione. Ma io credo che anche altri ne abbiano». E poco dopo: «Ho or dinato ad Apollonide di mandarmi alcuni dei miei libri, di cui saprai al momento opportuno». Rare volte ci accade di entrare in modo così di retto nella vita degli antichi. Lo si può grazie a questi documenti che par lano di biblioteche ormai perdute. 3. Un frammento di papiro trovato oltre dieci anni fa a Tebtunis da uno studioso della Statale di Milano, Aristide Malnati, ma purtroppo tut tora inedito, contiene un brano trattatistico di filosofia stoica corredato di note a margine. È con molta probabilità un esercizio scolastico, o co munque un testo destinato alla scuola. Non a caso fu trovato nell'area dell'antico ginnasio. Il testo principale parla degli elementi indifferenti (termine tipico del lessico stoico) che non hanno rilievo morale ma rile vanza pratica (ad esempio la ricchezza). Una nota marginale porta l'esem pio di Socrate, il quale non avrebbe patito neanche della estrema povertà appunto perché insensibile all'alterno andamento degli "indifferenti" Documenti del genere testimoniano in modo diretto la realtà cui ap partennero. In particolare questo spezzone di papiro, per quel che dice e per il luogo dove fu rinvenuto, testimonia un fatto notevole: la penetra- 10 CANFORA zione, addirittura nella realtà e quotidianità scolastica, dell'insegnamento degli stoici e dei loro "paradossi". Ma era così paradossale il loro pensiero? Paul Veyne, in un libro importante, apparso in Francia (Seui!) nel 2005 e ora tradotto per Rizzali (I.:impero greco romano, 2007), non solo mette al centro della/arma mentis dei ceti colti del mondo greco-romano, tra Au gusto e Marco Aurelio, l'insegnamento stoico, ma soprattutto restituisce allo stoicismo la sua grande forza di attrazione: in quanto pensiero rivolto anch'esso (lo si dimentica spesso) alla ricerca della "felicità". La "grande promessa" della dottrina stoica, infatti, è che l'uomo, sottraendosi al pre dominio dei fattori "indifferenti", raggiungerà la felicità e sarà ormai inat tingibile dai dolori, e dunque sarà "un dio mortale". Non sfuggirà quanto, con buona pace di Plutarco e di altri polemisti, questa impostazione sia vi cina a quella epicurea, che, ugualmente spingendo a non desiderare il su perfluo e vagheggiando una forma di "piacere" che in realtà è "assenza di dolore", ugualmente ~pproda a una felicità fondata sulla rinuncia al su perfluo nonché alla promessa: "sarai simile a un dio" Veyne osserva - e questo potrebbe essere quasi un bilancio del suo grande affresco - che solo con la scoperta agostiniana della "volontà", in parte almeno impotente, e della interiorità lacerata che è in ciascun sog getto, cominciò a declinare l'intellettualismo etico. Esso era stato carat teristico di tutte le scuole di pensiero postaristoteliche, così diffuse nel ceto dirigente dell"'impero bilingue", ma era già del socratismo che in ef fetti fu la remota matrice di quelle scuole. Impero "bilingue" è definizione appropriata di quella straordinaria fusione tra culture che è stata il segno dominante dell'impero romano. Un unico strato dirigente capace di padroneggiare perfettamente le due cul ture: «da Augusto in poi - scrisse efficacemente Wilamowitz ( 1921) - la let teratura mondiale è bilingue». Si esprime cioè indifferentemente nelle due lingue divenute dominanti, il greco e il latino. Ma, nel quadro di tale "con dominio", la posizione dei Greci, i quali con Alessandro avevano imposto il greco in un'area vastissima, era ormai, al tempo stesso, politicamente su balterna e culturalmente egemone. Non è un caso che nelle "biblioteche di Ossirinco" i papiri latini rappresentino una modesta minoranza. Luciano Canfora

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