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Il lavoro perduto PDF

160 Pages·2012·0.69 MB·Italian
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Saggi Tascabili Laterza 378 Susanna Camusso Il lavoro perduto Intervista a cura di Stefano lepri Editori Laterza © 2012, Gius. Laterza & Figli www.laterza.it Prima edizione ottobre 2012 Edizione 1 2 3 4 5 6 Anno 2012 2013 2014 2015 2016 2017 Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-9643-6 Introduzione C’era una volta all’Università di Milano una ragazza di sinistra, femminista, figlia di borghesi laici e colti, che andò davanti ai cancelli delle fabbriche, come tanti stu- denti di quel tempo. A differenza dei suoi compagni, lei davanti alle fabbriche ci rimase. Adesso, dal 2010 in carica come segretario generale della Cgil, Susanna Camusso sente di dover impegnare ancora molte battaglie, per i diritti dei lavoratori come per i diritti delle donne. Ma quel sindacato che per i gio- vani di allora rappresentava una grande forza di riscat- to, eventualmente da scavalcare per andare più avanti, alla gran parte dei giovani di oggi appare come qualcosa che non li riguarda. È anzi di moda domandarsi se il sindacato non sia divenuto una forza conservatrice. Pare ancora costruito sulla misura della generazione che si formò nelle grandi lotte degli anni ’70, ora prossima alla pensione o già a riposo, attaccata a conquiste del passato dalle quali però una parte crescente dei lavoratori è oggi esclu- sa. Fuori dai luoghi di lavoro dove è radicato, rischia perfino di apparire come una parte dell’establishment. Finora il peso del declino italiano è gravato poco sugli anziani e molto sui giovani, sotto forma di scoraggianti V prospettive per il futuro e di concreto calo del tenore di vita; in questa intervista Susanna Camusso riconosce che per parecchi anni il dilagare degli impieghi precari è stato dai sindacati condannato a parole, ma in realtà sottovalutato o affrontato in modo sbagliato. Confrontarsi con questa montagna di difficoltà è indispensabile, e la leader della maggiore confedera- zione sindacale non vi si è sottratta. Saper parlare ai giovani, ed evitare che il sindacato si chiuda su sé stesso inseguendo proprie dinamiche interne, le appaiono le correzioni di rotta più importanti. Spiega a quali con- dizioni vede possibile negoziare con governo e impren- ditori per rendere più efficienti lo Stato e le imprese. La sua tesi di fondo è che l’Italia non può permettersi di risparmiare sul lavoro; può rispondere alle sfide del- la globalizzazione solo investendo sul proprio capitale umano, ossia sulle persone, e creando nuovo lavoro per chi ancora ne è privo. Per questo parla di «lavoro perduto»: non soltanto nel senso di quello che viene a mancare – le tante fabbri- che che nel corso della dura recessione chiudono – ma delle prospettive di impiego e di carriera che già prima della crisi avevano cominciato a disfarsi, con i giovani a spasso, i laureati costretti ad accontentarsi di lavoretti precari, le donne frustrate nel desiderio di indipenden- za. I giovani di ieri speravano in un lavoro migliore di quello dei loro genitori, quelli di oggi sanno che anche se trovano un lavoro simile a quello dei genitori sarà pagato di meno. Ancor più il lavoro è «perduto» perché in Italia, ci dicono i dati più recenti, aumenta il numero di coloro che lo cercano, spinti dalla necessità. L’idea che fosse il movimento dei lavoratori a indica- re la principale direzione di marcia verso il mondo nuo- vo era sostenibile quando ai lavoratori mancava molta VI strada per diventare cittadini a pieno titolo. Oggi, nel XXI secolo, non è più così. Per sottrarre l’Italia al decli- no occorre lo sforzo di tutti; ma è necessaria una visione chiara di quale contributo può dare ciascuna parte so- ciale. Guardando da vicino il sindacato, si scopre che negli ultimi anni ha acquistato una rappresentatività crescente delle donne e soprattutto degli immigrati. Persistere soltanto nella tutela dei «garantiti» diventa sempre più difficile se si devono dare risposte a chi chie- de diritti basilari di cui altri godono già. E se il livello di sindacalizzazione dei lavoratori stranieri si avvicina a quello degli italiani, avanza un grande mutamento nel modo stesso di vivere il rapporto di lavoro, di cui non si sono ancora visti tutti i risultati. Vale la pena di verificare se funziona la sfida propo- sta da Susanna Camusso: ovvero che i lavoratori rendo- no di più se li si tratta meglio, e che la dignità del lavoro è il fondamento primo di una buona politica. Occorre più lavoro, occorre ridare valore al lavoro, ripete. E certo sentire che la propria fatica serve uno scopo con- divisibile alimenta quello spirito civico di cui l’Italia ha grande bisogno. Alla crisi profonda in cui ci troviamo siamo arrivati per un fallimento collettivo dell’intera classe dirigente italiana, nessuna componente esclusa. Camusso sostiene che i lavoratori hanno già dato molto, e che la lentezza della crescita dell’economia è respon- sabilità innanzitutto di imprenditori che non hanno saputo investire. Un dialogo su come produrre meglio lo accetta, «a condizione che non si cerchi di umiliare ancora i lavoratori». Rispetto ad altre occasioni del passato, in cui ai sindacati fu chiesto di sopportare sacrifici per il bene comune, la situazione è oggi diversa. In tutto il mon- do, la globalizzazione ha cambiato i rapporti di forza a VII favore delle imprese e a svantaggio dei dipendenti. La tesi di fondo di Susanna Camusso è che questa anzi sia la causa sommersa della crisi che ci attanaglia: le for- ze squilibranti della finanza si alimentano dall’eccesso planetario di risparmio, dovuto a una distribuzione del reddito troppo favorevole ai profitti. Si può obiettarle che questo problema non può essere risolto partendo dall’Italia, paese perdente nella gara della competitività. Ma la sua battaglia propone una riflessione importante: è sensato ritenere che l’Italia possa rafforzarsi compri- mendo i salari, quando il rimedio principale agli squili- bri dovrebbe essere alzare i salari nei paesi competitivi, in Germania come in Cina? Fin dagli inizi della sua militanza sindacale Camusso seppe essere più fattiva dei tanti coetanei attratti dall’u- topia della rivoluzione. Scelse di essere una riformista, seppure molto avanzata, nella corrente di sinistra del Psi. Vide che il mestiere del sindacato era fare accordi, di conquistare il massimo possibile in un dato momento senza far danni che si sarebbero ripercossi sugli stessi lavoratori dopo. Il più importante rovescio della sua carriera l’ha subito nel 1995, quando altri colleghi dei metalmeccanici Cgil, che volevano apparire più intran- sigenti, bocciarono come arretrato un accordo firmato da lei. Oggi giudica inservibile il concetto di lotta di clas- se, sul quale la Cgil si formò più di cent’anni fa. Il suo bersaglio ricorrente è l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, ma è ben disposta verso gli imprenditori che amano il loro mestiere, uno dei quali le pare l’attuale presidente della Confindustria Giorgio Squinzi. La prova è ardua, perché il sindacato è debole anche se ha ritrovato momenti di unità tra le grandi confederazioni, i posti di lavoro scompaiono, e si pre- VIII sentano problemi inediti; in un paese attraversato da un forte malcontento ma poco propenso alla solidarietà, la scelta di quando scioperare è controversa quanto mai lo era stata prima. La durezza con cui Camusso ha alzato la voce contro il governo Monti piace a quelli che un tempo criticavano il suo riformismo, mentre imbarazza i più riformisti nel partito a cui è iscritta, il Pd. Nel 1993, in polemica contro le tangenti craxiane, affermò che voleva prendere la tessera della socialde- mocrazia tedesca. Il modello tedesco di collaborazione tra le parti sociali viene spesso suggerito ai nostri sin- dacati; lei ribatte che per funzionare quel modello deve essere applicato per intero, anche quando riconosce ai lavoratori più voce in capitolo nelle scelte delle aziende. Ciò che manca qui sembra essere, come in tanti altri campi della società italiana, una maggiore fiducia tra le parti. Forse proprio la capacità di ascoltare la gente, ac- quisita in tanti anni di militanza, la rende aspra con- tro i progetti di riforma che le paiono cerebrali, calati dall’alto da intellettuali che lei colloca senz’altro nel campo conservatore. Peraltro, Camusso sa benissimo – e questa è una grande differenza, rispetto alle ideologie passate della sinistra – di rappresentare solo una parte della società; una parte, quella dei lavoratori dipendenti organizzati, che, in Italia più che altrove, non può ri- tenersi interprete della maggioranza del paese. Questa laicità è uno dei motivi per cui conviene ascoltarla. S.L.

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