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Il Fuoco Degli Angeli PDF

275 Pages·1999·1.38 MB·Italian
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TERRY BROOKS IL FUOCO DEGLI ANGELI (Angel Fire East, 1999) A mio padre, Dean Brooks, che rinunciò alla sua carriera di scrittore perché potessi diventarlo io PROLOGO John Ross è fermo ai margini di un brullo frutteto devastato. Sta guardando la collinetta che si innalza dolcemente davanti a lui e la figura di un uomo appeso a una croce di legno. Il poveretto ha le mani e i piedi trafitti da lunghi chiodi di ferro; polsi e caviglie sono legati strettamente perché non riesca a liberarsi strappandosi dai chiodi. Su tutto il corpo si scorge un reticolo di frustate rosse e da una profonda ferita al fianco esce ancora un rivoletto di sangue. La testa reclinata è nascosta dai capelli lunghi e fini, e il movimento del petto, quando respira, è debole e quasi impercettibile. Dietro di lui, come una sorta di beffardo fondale alla parodìa della sua morte, si scorge il guscio annerito dal fuoco di una chiesa di campagna bruciata. La croce a cui è inchiodato è stata presa dall'edificio, strappata dalle staffe di metallo che la fissavano alla parete dietro l'altare e piantata nel terreno. Nella luce grigia del giorno, la vernice lucida che copre il legno di quercia luccica debolmente, quasi a testimoniare il rispetto che un tempo veniva tributato al culto di Dio. A poca distanza dall'altura, dove sorge il piccolo villaggio che aveva cura di quella chiesa, si leva un coro di grida in mezzo all'inconfondibile rumore del massacro. John Ross è fermo da molti minuti e continua a riflettere sulle implicazioni dell'orribile scena che gli sta davanti. Non può fare nulla per l'uomo crocefisso. Non è un medico, non sa nulla di medicina. La sua magia può rianimare e guarire soltanto lui. È un Cavaliere del Verbo, ma è anche un fallimento. Termina i propri giorni da solo, in un futuro che non ha potuto impedire. La scena che ha davanti non è inconsueta, nell'orrore post-apocalittico della distruzione della civiltà, ma è tristemente familiare e sgradevolmente reale. Alla fine prende una decisione: può staccare l'uomo dalla croce, anche se non è in grado di salvarlo. Con la propria presenza, può dargli qualche istante di pace e di conforto. Sotto un cielo invernale che pare voler smentire la stagione estiva, sale la collina fino all'uomo crocefisso. Questi non solleva la testa né accenna in alcun modo di essersi accorto della presenza di Ross. Sotto una patina di sangue e di sudore, il suo corpo magro e muscoloso è segnato da cicatrici di vecchie ferite. Ha dovuto sopportare molte traversie e violenze in passato, e sembra ingiusto che debba terminare i suoi giorni fra altro dolore e in ancor più grave abbandono. Ross rallenta avvicinandosi a lui e passa rapidamente lo sguardo sulla facciata annerita della chiesa e sugli alberi che la circondano. Nelle ombre vede luccicare occhietti gialli, che rivelano la presenza di Divoratori. Sono in agguato ai margini della sua vista, nascosti negli angoli bui, in attesa di soddisfare la loro fame. Non sono lì per Ross. Sono venuti per l'uomo crocefisso. Aspettano che muoia per assaporare il suo passaggio dalla vita alla morte, la più squisita, appagante e rara tra le umane emozioni che quelle creature bramano. Ross li fissa minacciosamente finché non vede diminuire il chiarore dei loro occhi, grandi come lanterne, e non li vede scivolare nelle ombre in attesa del loro momento. L'attenzione del Cavaliere del Verbo è attirata da un pezzo di legno abbandonato ai piedi della croce. Sono i resti di un bastone nero e lucido... uguale a quello impugnato da Ross. Con un brivido, fissa l'oggetto, incapace di credere a quanto ha scoperto. Ci dev'essere un errore, si ripete. Ci dev'essere un'altra spiegazione. Ma non ne trova. Proprio come lui, l'uomo sulla croce è un Cavaliere del Verbo. Ora Ross accelera il passo, si precipita per aiutare, per abbassare la croce, per sfilare i chiodi, per liberare l'uomo inerme appeso davanti a lui. Ma l'uomo si è accorto della sua presenza e, con voce roca, sussurra: «Non toccarmi». Ross si blocca subito. La forza delle parole del moribondo e la sorpresa nel constatare che è cosciente gli impediscono di proseguire. «Mi hanno avvelenato» dice l'uomo. Ross trae un lento, lungo respiro e annuisce tristemente: coloro che hanno crocefisso quel Cavaliere del Verbo l'hanno coperto di un veleno sovrannaturale, creato dalla magia dei demoni. Non c'è speranza per lui. Ross fa un passo indietro e posa di nuovo gli occhi sul Cavaliere inchiodato alla croce. Osserva il lento alzarsi e abbassarsi del suo petto, il sangue che gli esce dalle ferite, l'ombra della faccia, nascosta dietro la cortina di capelli. «Mi hanno preso quando avevo esaurito la magia e non ero in grado di difendermi» continua a bassa voce il Cavaliere morente. «L'avevo consumata tutta per sfuggire loro, poco prima. Non ho avuto il tempo di rifarne una scorta. Si sono accorti della mia debolezza e mi hanno dato la caccia finché non mi hanno trovato. Demoni ed ex uomini, un piccolo esercito che cerca le sacche di resistenza all'esterno delle fortezze cittadine e della protezione che esse offrono. Mi hanno trovato mentre ero nascosto nel villaggio qui vicino. Mi hanno trascinato quassù e mi hanno inchiodato alla croce per farmi morire. Adesso ammazzano tutti quelli che hanno cercato di aiutarmi.» Ross tende ancora una volta l'orecchio alle grida provenienti dal villaggio. Cominciano a spegnersi, a lasciare il posto a un profondo, minaccioso silenzio. «Non ho avuto molto successo nei miei sforzi per salvare l'umanità» sussurra il Cavaliere. Ansima e tossisce, parla con voce roca. Schiuma ài sangue gli sale alle labbra e gli rotola sul mento e sul petto. «Nessuno di noi ha avuto successo» ammette Ross. «Eppure, ne avremmo avuto la possibilità» risponde il Cavaliere. «Ci sono stati momenti in cui avremmo potuto influire sull'esito degli avvenimenti.» Ross sospira. «In quei momenti, tutti noi abbiamo fatto quello che potevamo.» Il debole trillo di un uccello si leva tra gli alberi. Pennacchi di fumo nero salgono nel cielo dal villaggio, e portano odore di sangue e di carne bruciata. «Forse sei stato mandato per aiutarmi.» Ross distoglie lo sguardo dal fumo per guardare l'uomo crocefisso, senza capire. «Forse ti ha mandato il Verbo. Un'ultima possibilità di redenzione.» "Non mi ha mandato nessuno" pensa Ross. «Ti sveglierai nel presente e continuerai la lotta. Io morrò qui. Tu avrai ancora la possibilità di cambiare il futuro. Io no.» «Non mi ha mandato nessuno» dice in fretta Ross, colto da un'improvvisa inquietudine. Ma l'altro non l'ascolta. «Alla fine dell'autunno» mormora «tre giorni dopo la festa del Ringraziamento, molto tempo fa, mentre ero nella costa dell'Oregon, ho catturato un Variante.» Le parole gli escono sibilando dalle labbra, modulate dai suoni della morte. Ma ora che narra quell'episodio, la sua voce prende forza. «Il mio principale rimpianto è di averne trovato uno, una creatura così rara, così preziosa, di essermene impadronito, ma di non essere riuscito a risolvere il mistero della sua magia. Una possibilità che s'incontra una sola volta nella vita, e io non l'ho saputa sfruttare.» Ora l'uomo crocefisso tace, poi lotta per respirare, per rimanere in vita ancora qualche momento, nonostante sia vinto e mortalmente ferito nel corpo e nell'anima, abbandonato da tutti e costretto, negli ultimi istanti della sua vita, a rivivere gli insuccessi che sente come una propria colpa. Nelle ombre della chiesa bruciata e nel frutteto devastato riappaiono gli occhi gialli e luminosi: i Divoratori tornano a raccogliersi pregustando la morte imminente. Ross potrebbe bruciarli tutti e ricoprire il terreno dei loro corpi carbonizzati, potrebbe spazzare via, come foglie portate dal vento, i loro occhi così astuti, ma sarebbe inutile. I Divoratori sono una parte della vita, rientrano nell'ordine naturale delle cose, e se non cìè posto per loro, allora non c'è posto neanche per gli uomini, perché sono gli uomini ad attirare i Divoratori e ad alimentarli. Il Cavaliere inchiodato alla croce riprende a parlare del Variante, di come e quando e dove lo si potrà trovare, della possibilità concessa a Ross. Gli fornisce tutti i particolari, lo prepara alla caccia per dare a un altro la preziosa opportunità che lui ha perso. Ma nello stesso tempo gli dà anche la possibilità di sbagliare, e Ross, cupo e preoccupato, riesce a pensare soltanto a quello. «Fallo per me, se ti è possibile» sussurra l'uomo. Ormai ha quasi perso la voce: gli si è prosciugata via via che la vita lo lasciava, è diventata secca e raschiante nella sua gola. «Tallo per te stesso.» Ross sente nella propria carne, come brucianti ferite di rasoio, le implicazioni del compito che il Cavaliere morente gli affida. Accettare una missione così importante e pericolosa, abbracciare una causa così diffìcile potrebbe significare la sua fine. Eppure, come può rifiutare? «Prometti.» Le parole suonano vuote e deboli e prive di vita. Ross fìssa in silenzio il morente. «Prometti...» John Ross si destò. Il sole gli picchiava sulla faccia e dall'esterno giungevano voci acute di bambini. L'aria era afosa, carica di umidità, e un soffio improvviso di vento gli portò odore di terra smossa e di foglie verdi. Il Cavaliere del Verbo ammiccò e si rizzò a sedere. Mentre attraversava la Pennsylvania con l'autostop, si era fermato a riposare in un parco alla periferia di Allentown e si era addormentato all'ombra di una vecchia quercia. Intendeva fare un pisolino, ma da giorni dormiva male e la mancanza di sonno aveva finito per prendere il sopravvento su di lui. Si guardò attorno lentamente, per orientarsi. Il parco era grande, fitto di alberi, e il punto in cui si era fermato era lontano dai sentieri e dai campi di gioco. Era solo. Posò gli occhi sullo zaino e sulla sacca da viaggio, poi sul lucido bastone di legno nero che teneva tra le mani. Aveva la gola secca e gli faceva male la testa. In un punto indeterminato, nel profondo del petto, sentiva un dolore bruciante, come di carboni accesi. Nei raggi del sole gli apparvero nuovamente le figure del sogno: le immagini del suo inferno privato. Ross era un Cavaliere del Verbo e conduceva una doppia vita: una nel presente e un'altra nel futuro, una quando era sveglio e una quando dormiva, una in cui poteva cambiare il mondo e una in cui doveva sopportare le conseguenze del suo insuccesso nel cambiarlo. Aveva accettato l'incarico quasi venticinque anni prima e da allora era sempre vissuto così. Aveva trascorso quasi tutta la sua vita da adulto combattendo una guerra che era iniziata col mondo e sarebbe terminata solo con la sua distruzione. Il campo di battaglia non aveva confini nello spazio o nel tempo. E non ci sarebbe mai stata una battaglia risolutiva. Eppure, la magia di un Variante poteva avere un'influenza determinante. Frugò nello zaino finché non trovò una vecchia borraccia. Svitò il tappo e bevve lunghi sorsi del liquido tiepido, trovando un momentaneo sollievo all'arsura in bocca e in gola. Quando volle riavvitare il tappo, però, incontrò qualche difficoltà. Il sogno l'aveva sconvolto. Gli succedeva spesso, perché i sogni gli mostravano un mondo dominato dalla follia, dove l'orrore era la realtà quotidiana. Nel presente in cui viveva durante la veglia c'era ancora qualche speranza, nel futuro dei suoi sogni non ce n'era nemmeno una. Eppure, quell'ultimo sogno era diverso dagli altri. Si alzò, si mise in spalla lo zaino, prese la sacca e attraversò il parco in direzione opposta a quella da cui era venuto, per raggiungere la strada a due corsie che conduceva a ovest, verso Pittsburgh. Come sempre, gli eventi che gli erano stati rivelati nel sogno erano imminenti, e gli davano la possibilità di influenzarli in modo positivo. Era giugno e il Variante sarebbe apparso tre giorni dopo la festa del Ringraziamento. Se fosse stato presente e se fosse stato abbastanza svelto, sarebbe riuscito a catturarlo. Poi avrebbe avuto circa trenta giorni per cambiare il corso della storia. La sfida avrebbe scosso qualsiasi uomo, ma non era il pensiero del Variante a tormentarlo mentre usciva dal parco per iniziare il viaggio che l'avrebbe portato nell'Ovest. Era il ricordo dell'uomo da lui sognato: l'uomo crocefisso, il Cavaliere del Verbo caduto. Era la faccia che aveva visto quando l'uomo aveva sollevato la testa negli ultimi istanti della sua vita, liberandola dall'ombra dei lunghi capelli. La faccia dell'uomo crocefisso era quella di John Ross. DOMENICA 21 DICEMBRE 1 Nest Freemark aveva appena finito di vestirsi per andare in chiesa quando sentì bussare alla porta. Era davanti allo specchio del bagno e si fermò a metà dell'applicazione del mascara. Istintivamente si guardò alle spalle, poi pensò di essersi sbagliata: non aspettava nessuno ed era troppo presto, di domenica mattina, perché venisse qualche visitatore senza avvertire prima con una telefonata. Riprese a truccarsi. Pochi minuti più tardi, i colpi alla porta si ripeterono. Fece una smorfia, poi lanciò una rapida occhiata all'orologio per avere la conferma. Proprio come pensava. Le otto e tre quarti. Posò il mascara, si rassettò il vestito e controllò allo specchio il proprio aspetto. Era alta, poco meno di un metro e ottanta, snella e perfettamente in forma, con le gambe lunghe, i fianchi stretti e la vita sottile del corridore di fondo. Per tutta l'adolescenza le era sem‐ brato di essere impacciata e ossuta, tolto quando correva, ma alla fine era riuscita ad accettare il proprio corpo e adesso, a ventinove anni, si muoveva con la sicurezza di sé e la grazia di una modella, senza far risaltare la forza e la resistenza acquisite con anni di allenamento rigoroso. Ora si osservò allo specchio con lo stesso sguardo franco e aperto che rivolgeva a tutti. Aveva occhi verdi, grandi, e la faccia tonda e liscia, un po' alla Charlie Brown. I capelli castani, corti e ricci, le incorniciavano i lineamenti minuti e regolari. La gente le ripeteva sempre che era bella, ma lei non ci aveva mai creduto per davvero: gli amici la conoscevano fin da bambina e tendevano a essere generosi nel giudizio; gli estranei lo dicevano per educazione. "Comunque" pensò ora con ironia mentre si pettinava "non si può mai sapere quando il Principe Azzurro verrà a suonare al tuo campanello. Meglio tenersi pronte per l'occasione." Uscì dal bagno, attraversò la camera da letto e si avviò lungo il corridoio. Si era alzata alle cinque e mezzo ed era andata a correre sulle strade deserte che si stendevano dal Sinnissippi Park a Moonlight Bay. L'inverno era giunto da alcune settimane con una lunga nevicata, ma qualche giorno prima, per un improvviso innalzamento della temperatura, la neve si era sciolta e non ne era caduta altra. Qualche macchia di colore bianco sporco rimaneva ancora nelle parti più ombrose del bosco e negli avvallamenti e nei fossi dove l'avevano spinta gli spazzaneve, ma l'asfalto delle strade era asciutto e pulito. Nest aveva corso per cinque miglia, poi era tornata a casa, aveva fatto la doccia, si era preparata la colazione e si era vestita. Alle nove e mezzo la aspettavano in chiesa, per dare

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