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Il fascismo e la razza: la scienza italiana e le politiche razziali del regime PDF

446 Pages·2010·20.323 MB·Italian
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Giorgio Israel Il fascismo e la razza La scienza italiana e le politiche razziali del regime ottcbr» 1938 xjm sa^.16 Preeia« R. PROVVEDITORATO ÀGLI STUDI B. Iati te.te Itvaieo "Cr*«o«nsl' DI BOLOGNA Prot N. 5431 BOLOGNA Titolo Classe O i '• 1 ' ‘ AìiSpjJ ■. ' 4 . < 'jji I.«? OGGETTO V 1 Il ?a.ni«t»>« oj*» ««6«r.a« accertata l’up ' rtenonia alla »oaau Mr.iica» u decorrer« dal 1 ‘ I • ‘ • -Mi • • • • — * . . , > i I «Mtl* • 1 1 I 1 " I 11 > I > >j|g» • I t g I I I • jpt 11 I I t • I I lt ; J ■ ! ! ? I V I T . ) I I I I I < I I I y I , » I I t I t ■ 1 J il Mulino Biblioteca storica Il fascismo e la razza Le politiche razziali del fascismo furono dettate esclusivamente da scelte di politica estera, e in particolare dall'alleanza stretta con Hitler, oppure ebbero radici e motivazioni autoctone? Razzismo e antisemitismo furono elementi costitutivi dell'ideologia fascista? Quale fu il coinvolgimento della società italiana? E quale il contributo di scienziati e intellettuali? Sono alcuni degli interrogativi cruciali con cui negli ultimi anni si è confrontata la storiografia, nell'intento di fare luce su origini e messa in opera delle leggi razziali antiebraiche volute dal regime nel 1938. Giorgio Israel torna sull'argomento e in questo libro documenta con rigore come il razzismo di Stato trovasse sostegno in talune elaborazioni teoriche della scienza italiana, dall'antropologia all'eugenetica, alla demografia. Quanto al mondo universitario, se per un verso scontò l'espulsione degli scienziati ebrei, per un altro contribuì alla politica razziale del regime, salvo poi, nel dopoguerra, «dimenticarsi» delle compromissioni, in un processo di rimozione che in molti casi dura ancora oggi. Giorgio Israel Insegna Storia della matematica nella Sapienza - Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato «Scienza e razza nell'Italia fascista» (con P. Nastasi, 1998), «La questione ebraica oggi» (2002), «La Kabbalah» (2005). Tra i suoi libri recenti: «Chi sono i nemici della scienza?» (2008, Premio Capalbio), «Il mondo come gioco matematico» (2008, con A. Millón Gasca, Premio Peano). La storia dell’antisemitismo esiste, è un dato di fatto. Ma quello che offusca tale realtà è che questa storia dell’antisemitismo, infine realizzata, non ha in nessun modo eliminato l’antisemitismo dalla storia. Essa continua a drenare nelle sue acque inquinate Xanti mascherato da complementi mutevoli (-giu­ daismo, -semitismo, -sionismo), ma l’oggetto resta lo stesso: l’uomo ebreo. Anche l’obiettivo è lo stesso: il suo sterminio. Fin tanto che il «termine» non sarà realizzato, l’antisemita non avrà pace. Non si può trarre alcuna lezione dalla storia se non che i suoi protagonisti dispongono di un guardaroba inesauribile: vi trovano la maschera appropriata all’Â/c et nunc del loro folle ruolo. André Neher, Hanno ritrovato la loro anima. Percorsi di Teshuvah, Genova, Marietti, 2006 Giorgio Israel Il fascismo e la razza La scienza italiana e le politiche razziali del regime Società editrice il Mulino Ladri di Biblioteche Progetto Fascismo 2019 I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it ISBN 978-88-15-11612-3 Copyright © 2010 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie Indice Introduzione p. 7 I. La questione razziale in Italia: problemi e scenari 15 1. La centralità della questione «scientifica» 15 2. Specificità del caso italiano 20 3. Problemi storiografici e interpretazioni a confronto 27 IL Razzismo scientifico e antisemitismo 37 1. Origini del razzismo 37 2. Le teorie razziali nei contesti nazionali e il caso italiano 48 3. La confluenza dell’antisemitismo nel razzismo moderno e l’immagine dell’ebreo 57 4. Gli ebrei e la scienza 66 5. Il caso italiano 82 III. Teorie della razza nell’Italia fascista 95 1. Dal nazionalismo al «problema dei problemi» 95 2. Demografia e statistica 116 3. Dalla demografia all’eugenetica 129 4. I contributi dell’antropologia 145 5. Il coinvolgimento della comunità scientifica: un bilancio 152 IV. L’antisemitismo di stato 159 1. Un andamento fluttuante 159 2. Una scelta di politica razziale 169 6 Indice 3. Il Manifesto-, genesi, conflitti, revisioni p. 178 4. La campagna razziale contro gli ebrei 202 5. L’ondata investe la comunità scientifica 222 V. Le correnti del razzismo fascista 233 1. Razzismo spiritualistico-romano «scientifico» 233 2. Altri razzismi 253 3. La mostra nazionale della razza e altri sviluppi 263 4. Il razzismo riscrive la storia della scienza 274 VI. La comunità scientifica di fronte al razzismo 289 1. La presenza ebraica nella comunità scientifica italiana 289 2. La comunità scientifica di fronte all’estromissione degli ebrei 306 3. La discriminazione 318 4. Le conseguenze delle politiche razziali 325 Epilogo 333 Note 351 Riferimenti bibliografici 389 Indice dei nomi 431 Introduzione La storiografìa delle politiche razziali antiebraiche nell’Italia fascista ha subito uno sviluppo straordinariamente rilevante nel corso di mezzo secolo. Negli anni Sessanta le conoscenze su questo tema erano racchiuse quasi interamente nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice [1961], opera tanto più rilevante e meritoria in quanto rompeva un lungo silenzio attorno a esso e anche attorno al tema dello sterminio degli ebrei nei lager nazisti. In questo silenzio anche la sinistra antifascista (e, in particolare, comunista) aveva avuto una responsabilità non secondaria. Erano gli anni in cui si tendeva a spiegare il razzismo come una manifestazione dell’odio di classe1. Gli ebrei internati e sterminati nei lager rientravano nella generica categoria di «de­ portati» e le politiche razziali del fascismo erano viste come una delle tante infamie della dittatura, neppure tra le più efferate. La tendenza a considerare il razzismo antiebraico del fascismo un fenomeno secondario e privo di interesse specifico si sommava all’inclinazione a sottolinearne le differenze con quello hitleriano. Si finiva con il parlare di razzismo «blando». In fondo - si diceva e si scriveva - il fascismo «discriminava, non perseguitava» gli ebrei, quasi che essere cacciati dal posto di lavoro per motivi di razza fosse una innocua penale in un gioco di società. Tutto il male veniva addossato al razzismo germanico. In questa tenden­ za all’assoluzione o alla minimizzazione hanno giocato un ruolo importante coloro che si erano compromessi non soltanto con il regime - vale a dire la stragrande maggioranza degli italiani - ma anche con le politiche razziali, e che avevano mostrato uno zelo neppure richiesto nel promuovere la campagna razziale. Nel suo li­ bro, De Felice ricordava come l’Italia, negli anni Trenta e Quaranta, avesse visto una produzione di pubblicistica antisemita «vastissima quanto mai si possa immaginare» [ibidem, 359, 444]. Nel 1946 gli 8 Introduzione autori dei misfatti razziali e quanti si erano compromessi furono assolti con grande generosità. Furono loro restituite le posizioni di potere di cui avevano goduto negli anni del fascismo, al punto che essi si trovarono persino a gestire la reintegrazione di quelli che avevano perseguitato. Vi fu addirittura chi fu epurato soltanto perché non era stato antifascista pur essendo stato vittima del fascismo in quanto ebreo. L’occultamento e il rovesciamento delle responsabilità sono testimoniati dal numero delle aule o istituti universitari che, nel dopoguerra, sono stati intitolati a coloro che si erano quantomeno sporcati le scarpe con la politica razziale del regime. In questa gigantesca opera di «lavacro», destra e si­ nistra hanno purtroppo attuato tristi forme di connivenza che la letteratura più recente sta portando alla luce non senza suscitare reazioni di fastidio o di ira2. In questo contesto, un capitolo specifico riguarda gli intellet­ tuali che, come osservò lo stesso De Felice, furono la categoria più coinvolta - e massicciamente - nella campagna razziale. Come stupirsi allora se, nell’ambito degli studi storici sulle po­ litiche razziali del fascismo, la «questione degli intellettuali» è stata clamorosamente trascurata? Era ovvio che chi deteneva gli strumenti dell’analisi storica non fosse disponibile a rivolgerli contro se stesso o anche soltanto contro i propri colleghi, che già l’amnistia politica aveva lavato di ogni colpa per i misfatti commessi o per le grandi e piccole viltà. Sotto questo profilo, non deve neppure stupire che il libro di De Felice sia stato allora accolto con scarso favore e abbia anzi destato reazioni di fastidio. Esso rappresentò un atto di coraggio notevole per la denuncia aspra che vi si faceva delle compromissioni degli intellettuali con le politiche della razza: Due settori in particolare [...] offrirono all’antisemitismo un certo nu­ mero di adesioni non trascurabile: la cultura e i giovani [...] Che la cultura italiana, fascista e profascista che essa fosse, abbia aderito su larghissima scala all’antisemitismo non è un mistero per nessuno [...] Pochi uomini di cultura, anche tra coloro che godevano di tali posizioni di prestigio da non avere nulla da perdere, seppero mantenersi estranei alla canea di quegli anni. L’unico dei «grandi» che forse più seppe farlo fu Gentile. Tra gli altri, casi come quello di Bontempelli - che osò rinfacciare a Bottai la sua adesione all’antisemitismo - come quello di G.E. Barié5 - che all’università di Milano insorse pubblicamente contro chi voleva vedere nella filosofia di Spinoza una prova del «pervertimento giudaico» -, come anche quello di Marinetti, rimasero casi isolati [...] E non si venga a gettare la colpa di Introduzione 9 questa abiezione sul regime solamente: chi non volle unirsi alla canea lo fece, rinunciando agli onori e alle prebende, è vero, ma salvando il suo onore e la sua dignità di uomo di cultura [...] Il fatto è che troppi «uomini di cultura» videro nell’antisemitismo di Stato una maniera per mettersi in mostra, fare carriera, fare danaro, per sfogare i loro rancori e le loro invidie contro questo o quel loro collega [ibidem, 442-4441. Tuttavia, nel suo libro De Felice decideva di non insistere su questo tema, di non sviluppare un esame esaustivo della lettera­ tura antisemita «colta», per non avviare una sorta di «caccia alla rovescia». Non ci interessa tentare di capire se si sia trattato di un atto di generosità nei confronti dei colleglli. Quel che conta è che qui risiede la maggiore debolezza del libro di De Felice. La sua analisi sorvola completamente, o quasi, sul mondo intellet­ tuale e universitario. Spesso mancano o sono appena menzionati protagonisti di primo piano della politica razziale. Per esempio, quasi non si cita Sabato Visco, che pure fu a capo dell’Ufficio razza del ministero della Cultura popolare. Nel parlare del co­ siddetto Manifesto degli scienziati razzisti si compiono clamorosi errori, come quello di menzionare Pende come l’unica «figura di primo piano» tra i firmatari, quasi si trattasse di una lista di «giovani assistenti» o figure modeste, mentre tra di esse vi era il presidente dell’Istat Franco Savorgnan e il patron della psichia­ tria italiana Arturo Donaggio. Ma la conseguenza più negativa dell’aver omesso un’analisi dell’atteggiamento del mondo culturale e universitario era la riduzione della vicenda del razzismo fascista a una questione meramente politica e persino soltanto di politica internazionale, e quindi l’aver accreditato la tesi secondo cui il fascismo non aveva mai avuto propensioni razziste, tantomeno antisémite, e che la scelta di promulgare una legislazione razziale era stata conseguenza del patto d’acciaio con Hitler, e quindi soltanto una concessione all’alleato nazista. Questa tesi venne in effetti sostenuta da De Felice, anche se poi egli la corresse nella biografia di Mussolini, in cui sottolineava l’esistenza di un filo che legava le politiche pronataliste ed eugenetiche del fascismo con le politiche razziali, ammettendo quindi l’esistenza di correnti razziste autoctone. Ma su questo torneremo nel seguito. Quel che ci preme sottolineare è che l’opera di De Felice, malgrado alcune affermazioni che andavano in senso opposto, mise in discussione solo in parte la diffusa interpretazione riduttiva del razzismo fascista. Poteva così accadere - non per responsabilità di

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