ebook img

Il Buon Uso del Tradimento PDF

184 Pages·1980·6.79 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Il Buon Uso del Tradimento

Pierre Vidal-Naquet Il buon uso del tradimento Flavio Giuseppe e la guerra giudaica Introduzione di Arnaldo Momigliano Editori Riuniti LCOLL 1256- 9 001 I edizione: febbraio 1980 Titolo originale: Flavius Josèphe ou du bon usage de la trahison © Copyright by Les Editions de Minuit, Paris, 1977 e P. Vidal-Naquet Traduzione di Daniella Ambrosino © Copyright by Editori Riuniti Via Serchio 9/11 - 00198 Roma Impostazione grafica di Tito Scalbi CL 63-2061-9 Indice Introduzione 9 Premessa 23 I. L’intermediario 25 II. Giuseppe parlava aramaico 35 III. Tria nomina 43 IV. Il quinto Vangelo 53 V. Lo Stato ebraico 62 VI. Il regno greco 72 VII. Fare politica nella Diaspora 84 Vili. Gli stranieri in casa 100 IX. Varianti dell’Apocalisse 109 X. I re: il caldo e il freddo 124 XI. La città divisa 135 XII. Dopo 151 Appendice Flavio Giuseppe e Masada 161 Indice dei nomi antichi 185 5 a G., aramea Introduzione Ciò che Flavio Giuseppe non vide I L’autore di questo libro, nato da una introduzione ad altrui traduzione in francese della Guerra giudaica di Flavio Giuseppe, ha ormai un suo posto ben definito tra gli studiosi che si sono affiancati a J.-P. Vernant nel rinnovare l’interpretazione del pen­ siero greco. Partendo da premesse non dogmatiche, in cui conflui­ scono la psicologia storica, il marxismo e lo strutturalismo (sia della varietà Dumézil, sia della varietà Lévi-Strauss), questo gruppo, noto e influente anche in Italia, ha ridato interesse vivo alla mito­ logia, alla poesia e a diversi filoni della filosofia come espressioni della presa di possesso della realtà da parte dei greci. In questo gruppo Pierre Vidal-Naquet, che è nato nel 1930, è il più inte­ ressato a dirette ricerche di storia politica e sociale. Lo indicano il volume, scritto in collaborazione con P. Lévéque, su Clisthène l’athénien del 1964, e il penetrante opuscolo Le bordereau d’ense- mencement dans l’Égypte ptolémaique (1967), nonché, forse più ancora, la parte essenziale che egli ha avuto nel presentare e sviluppare al pubblico francese le ricerche economico-sociali del suo amico M. I. Finley \ Ciò in parte si spiega semplicemente con 1 1 P. Vidal-Naquet, Economie et société dans la Grece ancienne: l1 oeuvre de M. I. Finley, in Archives Européennes de Sociologie, 6, 1965, pp. 111-148; introdu2Ìone alla trad. francese di Democracy Ancient and Modem (Tradition de la démocratie grecque), Paris, 1976. Per il lavoro in collaborazione con J.-P. Ver­ nant basti rimandare al loro volume Mythe et tragèdie en Grece ancienne, Paris, 1972 (trad. it. Torino, Einaudi, 1976). È impossibile qui dare una bibliografia 9 la sua formazione ortodossa di filologo classico e storico antico, allievo di HA. Marrou, Victor Goldschmidt, L. Robert, A. Aymard e di quel curioso « socratico » Henri Margueritte. Ma (anche que­ sto è noto) gli interessi di Vidal-Naquet storico non sono separabili dall’azione che egli, senza precise affiliazioni di partito, ha esercitato cospicuamente in due momenti decisivi della recente storia fran­ cese: nella crisi algerina, in cui prese posizione contro i metodi di repressione usati dal governo francese (cfr. il suo volume Lo stato di tortura, Bari, Laterza, 1963), e nella insurrezione studentesca del 1968, di cui fu partecipe e poi storico in collaborazione con Alain Schnapp nel volume documentario Journal de la Commune étudiante, 1969, che ha avuto una traduzione inglese. Nel 1960-61 Vidal-Naquet, allora assistente a Caen, fu so­ speso dall’insegnamento universitario per aver firmato la dichia­ razione dei 121 sul diritto « à l’insoumissìon » nella guerra di Algeria. In periodo piu. recente gli attacchi gli sono venuti, in Francia e in Italia, non solo da studiosi di destra, ma anche di sinistra (B. Hemmerdinger e V. Di Benedetto) 2. Dopo alcuni anni al CNRS e all’Università di Lione, fu nominato nel 1966 vice- direttore di studi e nel 1969 direttore di studi alla École Pratique des Hautes Études, come successore di A. Aymard. È anche attivo nella redazione delle Annales e in particolare legato da vincoli di collaborazione con il medievalista J. Le Goff. Che l’interesse storiografico di Vidal-Naquet dovesse un giorno includere il giudaismo era in teoria prevedibile; ma il volume su Flavio Giuseppe prese in un certo senso di sorpresa l’autore stesso prima che i suoi abituali lettori in argomenti greci. Vidal-Naquet non ha mai dimenticato e non può dimenticare di essere ebreo, di quegli ebrei delle Afba' Kehillot, delle « quattro comunità », del Contado Venassino, con centro a Carpentras, che hanno dato dal medioevo dinastie di grandi rabbini e medici, e in tempi piu recenti musicisti, politici, scrittori e scienziati fuori di proporzione anche solo dei piu importanti scritti di Vidal-Naquet, che pure sarebbe necessaria per la difficoltà di rintracciare i numerosi contributi a volumi collettivi e le originali introduzioni a libri altrui. Sia almeno ricordata la eccellente e fortunata scelta di testi commentati in collaborazione con M. Austin, Économies et sociétés en Grèce ancienne, 1972, che ha avuto una traduzione ampliata in inglese. 2 Si vedano per es. V. Di Benedetto in Belfagor, 33, 1978, pp. 191-207, che non manca naturalmente di valide obiezioni, e lo strambo pezzo di B. Hemmer­ dinger, Belfagor, 31, 1976, pp. 355-358. 10 con la loro minuscola entità numerica. Il padre di Vidal-Naquet, che partecipò alla Resistenza dal 1940, e la madre furono entrambi deportati e assassinati ad Auschwitz dai nazisti. L’intervento di Vidal-Naquet in difesa degli arabi (e dei berberi) dell’Algeria ha qui la sua radice. Di qui pure viene la sua preoccupazione costante con il problema di Israele. Questa preoc­ cupazione non è definibile in poche parole, ma la sostanza è che Vidal-Naquet ritiene possibile un dialogo tra israeliani e palestinesi. Nemmeno è definibile in termini perentori la relazione tra questa preoccupazione di ebreo francese per il futuro dell'ebraismo e la sua interpretazione della posizione di Giuseppe durante e dopo la guerra giudaica del 66-70 d. C. Basti, qui sottolineare la radice emozionale profonda da cui è improvvisamente emerso un nuovo (e forse più personale) Vidal-Naquet storico, quale si può ora già seguire (oltre che in un articolo su Masada riprodotto in appendice al presente volume) in un capitolo sul giudaismo ellenistico-romano nel secondo volume su Rome et la conquète du monde méditerra- néen (1978) della collezione « La nouvelle Clio », a opera di Claude Nicolet e collaboratori. È facile previsione che si tratti di attività appena aperta. II In un punto tuttavia la relazione tra le preoccupazioni pre­ senti di Vidal-Naquet, ebreo della Diaspora moderna, e la sua narrazione della guerra giudaica del 70 d.C. assume una più pre­ cisa fisionomia. È nell’attenzione che egli dedica alla Diaspora antica prima, durante e dopo la guerra del 70, insistendo allo stesso tempo (che è poi una variante del medesimo fenomeno) sulla duplice formazione rabbinica (ebraica) e retorica (greca) di Flavio Giuseppe. I due fatti sono connessi al di là di ogni contestazione. La Diaspora (o almeno gran parte di essa) rimase assente a quella guerra, per poi battersi ed esserne dissanguata nell’eroica e furi­ bonda ribellione sotto Traiano, a cui invece sembrano essere rimasti pressoché estranei gli ebrei di Palestina. Alla loro volta questi ultimi si trovarono soli a sfidare le legioni di Adriano nella rivolta di Bar-Kochba, il disastro finale. Da parte sua lo storico della guerra del 70 è un ebreo che parla aramaico e scrive dapprima 11 in aramaìco. Solo dopo aver ricevuto la cittadinanza romana ed essersi insediato in Roma si trasforma con qualche difficoltà in scrittore di lingua greca, segnando con l’assorbimento di forme greche di pensiero il suo distacco dagli ebrei palestinesi, ma allo stesso tempo elaborando un’apologià del giudaismo, che riflette in molti modi la situazione della Diaspora. Non per nulla il Contro Apione è la risposta a un detrattore egiziano di lingua greca. La condizione di transfuga non era nuova. Polibio ci si era trovato. Come Vidal-Naquet dice bene, Polibio doveva quale tran­ sfuga fare i conti con i suoi concittadini achei, non però con Dio. Flavio ha da giustificarsi davanti al Dio dei padri, e perciò scrive non solo di storia contemporanea, come Polibio, ma sul passato del suo popolo, in difesa delle sue tradizioni religiose. La situa­ zione di Flavio Giuseppe che, dopo essere diventato transfuga, rimane fedele al suo Dio e al suo popolo non è nei suoi elementi obiettivi troppo differente da quella degli ebrei della Diaspora che non hanno combattuto nella guerra del 70 d.C. e, dispersi in aree linguistiche diverse, rimangono ebrei. Traditore nei confronti dei suoi compagni di lotta in Palestina, egli va a rifugiarsi tra coloro che non hanno combattuto e non sanno ancora che combatteranno. Ili Non è tuttavia un pregiudizio moralistico che ci fa parlare dell’isolamento di Flavio Giuseppe. Egli non dà segno di compren­ dere la istituzione che teneva insieme gli ebrei anche prima della scomparsa del tempio, la sinagoga. E anche meno dà segno di comprendere che gli entusiasmi apocalittici da lui avversati non impegnano soltanto dei gruppi rivoluzionari palestinesi, ma si esten­ dono agli ebrei della Diaspora, coinvolgono gruppi cristiani e da ultimo si affondano nel terreno infuocato della ostilità a Roma nelle province. Qui la mia interpretazione comincia a distaccarsi da quella dell’amico Vidal-Naquet. 1 1. La storia della sopravvivenza delle culture nazionali nel­ l’impero romano è una storia che non ammette generalizzazioni. Include i casi opposti dei greci che diventarono romei quando furono cristianizzati (e riservarono il titolo di elleni ai pagani) e 12 degli egizi (o dei siri) che riacquistarono il meglio della loro co­ scienza nazionale quando la loro lingua (rispettivamente copto e siriaco) divenne la lingua della loro religione dopo la loro conver­ sione al cristianesimo. Nell’Occidente latino le vecchie culture regionali sembrano vivere di vita sottoterranea finché riemerge­ ranno (almeno per certa misura) in veste latina o neo-latina dopo la caduta dell’impero di Occidente. Per gli ebrei, la vita nazionale già prima del 70 si identificava largamente con le associazioni che in lingua greca furono designate prevalentemente con il nome di sinagoghe3. Sinagoghe esistevano cosi in Palestina come nella Diaspora. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non sappiamo donde e a quale data (certo almeno dal I sec. a. C.) le sinagoghe si siano venute moltiplicando dovunque c’erano ebrei. In Palestina, finché il tempio di Gerusalemme esi­ stette e invero finché la maggioranza della popolazione rimase giu­ daica, la sinagoga non servi a distinguere gli ebrei dai gentili e quindi a conservare ebrei gli ebrei. Ma in Palestina come nella diaspora la sinagoga rappresentava la costituzione di un culto fon­ dato sulla lettura e sul commento della Bibbia (e in particolare del Pentateuco), la cura diretta o indiretta dell’educazione dei fanciulli e degli adulti, e ma organizzazione amministrativa e assi­ stenziale. Ciascuna sinagoga era fondata per iniziativa privata, e perciò ci potevano essere molte sinagoghe nella stessa città, senza impedire liberi collegamenti e comunicazioni tra sinagoghe. Il servizio religioso della sinagoga presupponeva che il testo biblico fosse accessibile anche a chi non sapeva di ebraico: donde la tradu­ zione orale o scritta della Bibbia in greco, in aramaico o piu tardi in latino, un fatto unico nel mondo antico. Nelle sinagoghe per la prima volta gli ebrei diventano il popolo del libro, anche se siano ancora ben lontani dall’accettare come modello ideale la regola di Maimonide che ogni ebreo, ricco o povero, giovane o vecchio, 3 Cfr. J. Gutman (ed.), The synagogue, New York, 1974. Tre differenti orientamenti nello studio del giudaismo del I sec. d. C. possono essere esemplifica^ da S. Safrai e M. Stern (edd.), The Jewish People in thè First Century, I-II (finora pubblicati), Leiden, 1974-75; E. Rivkin, A Hidden Revolution: thè Pharisees' Search for thè Kingdom within, Abingdon, 1978; W. S. Green (ed.), Approaches to Ancient Judaism: Theory and Practice, Missoula, 1978. Sul sistema educativo J. Goldin in Ex Orbe Religionum. Studia G. Widengren, I, Leiden, 1972, pp. 176-191. Può essere interessante confrontare uno studio sociologico della moderna sinagoga americana, S. C. Heilman, Synagogue Life, Chicago, 1973. 13 sano o malato, ha il dovere di riservare una porzione di ogni giorno per lo studio della Torah sino al giorno della morte. La sinagoga offre la possibilità d’espressione — e fino a un certo punto di riso­ luzione — ai contrasti economici, sociali e specificamente religiosi che si vengono accumulando. La sinagoga mantiene e sviluppa l’unità di culto dove viene a mancare l’unità di lingua. Ma la molte­ plicità delle sinagoghe si ridurrebbe a caos senza interpreti auto­ revoli della Legge e quindi si appoggia a scuole rabbiniche. Non c’è bisogno di andare al di là dei Vangeli, degli Atti degli Apostoli e di S. Paolo per accorgersi di tutto questo. Ma quasi nulla ci viene, sulla sinagoga da Flavio Giuseppe, che appena ci informa, come introdotta da Mose, della pratica di studiare la Legge al Sabato (Ant. Jud. 16, 43; Contra Apionem 2, 173). La sinagoga come istituzione funzionante non appare nelle sue opere. 2. Non c’è forse oggi bisogno di insistere che i conflitti sociali interni del popolo ebraico intorno al 70 d. C. — cosi finemente analizzati da Vidal-Naquet — erano in parte generati e in parte delimitati dalla presenza di Roma. Come tali non sono separabili dalla situazione che Roma crea, e dalla ostilità che conseguente­ mente suscita, attraverso tutto l’impero. La classe dominante sfrutta e fondamentalmente disprezza i comuni provinciali, da cui cerca di staccare un numero limitato di ricchi, romanizzandoli e lenta­ mente ammettendoli alle cariche pubbliche. La presenza delle auto­ rità romane acuisce i contrasti fra ricchi e poveri delle province, senza peraltro conquistare interamente il cuore dei provinciali privi­ legiati. Plutarco si lascia sfuggire l’allusione rivelatrice agli stivali dei soldati romani che stanno sulle teste dei greci (Traecepta ge- rendae reipublicae 813 E). Isolare, soprattutto negli anni 66-70, che furono di generale commozione dell’impero, la rivolta degli ebrei dalle altre rivolte dei provinciali è naturalmente impossibile. Ma Flavio Giuseppe disgiunge, piuttosto che congiungere, gli ^eventi di Palestina e quelli del resto dell’impero (Bellum Jud. 7, 75 sgg-)- Eiu in generale, non dà alcun segno di accorgersi che le aspettazioni apocalittiche di certi gruppi rivoluzionari in Giudea a lui ben familiari (TBellum Jud. 2, 258; 6, 283) erano condivise da ebrei della Diaspora, fatte proprie da gruppi cristiani e infine non troppo dissimili dalle speranze dei provinciali pagani in un 14

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.