CONNIE WILLIS I VENTI DI MARBLE ARCH Titolo originale: The winds of Marble Arch Traduzione di Flora Stagliano Premio Hugo 2000 per la categoria Romanzo Breve Cath rifiutò di prendere la metropolitana. — Ti era piaciuta molto l'ultima volta che siamo venuti qui — dissi, frugando nella valigia alla ricerca di una cravatta. — Sbagliato. A te era piaciuta — disse lei, lisciandosi i ca- pelli corti. — Io pensavo che fosse sporca, maleodorante e pe- ricolosa. — Stai parlando della metropolitana di New York. Questa è quella di Londra. — La cravatta non c'era. Aprii la chiusura lampo della tasca laterale e vi infilai una mano. — Sei andata in metropolitana l'ultima volta che siamo venuti qui. — Ho anche portato le valigie per cinque rampe di scale in quell'orribile bed and breakfast in cui alloggiavamo. Non ho in- tenzione di rifare nemmeno questo. Non avrebbe dovuto farlo. Il Connaught aveva l'ascensore e il facchino. — Detesto la metropolitana — disse. — La presi solo perché non potevamo permetterci i taxi. Ma adesso possiamo. Potevamo sicuramente. Potevamo anche permetterci un al- bergo con la moquette e un bagno in stanza, invece di averlo lungo il corridoio. Era una sistemazione decisamente diversa da... come si chiamava? Aveva pavimenti marroni di linoleum su cui di certo era preferibile non camminare a piedi nudi, e bi- sognava mettere delle monetine in un contatore sopra la vasca da bagno per avere l'acqua calda. — Come si chiamava il posto dove alloggiavamo? — chiesi a Cath. — L'ho rimosso dalla memoria — rispose. — Ricordo solo che la stazione della metropolitana aveva il nome di un cimite- ro. — Marble Arch — dissi — e non prendeva il nome da un ci- mitero, ma dalla copia dell'arco di Costantino a Roma che si trova in Hyde Park. — Be', sembrava il nome di un cimitero. — Il Royal Hernia! — dissi ricordando improvvisamente il nome. Cath fece un largo sorriso: — II Royal Heritage. — Il Royal Hernia di Marble Arch — dissi. — Dovremmo andarci, in nome dei vecchi tempi. — Dubito che esista ancora — disse lei mettendosi gli orec- chini. — Sono passati vent'anni. — Certo che esiste ancora — replicai — con le docce, con la patina di sporco e tutto il resto. Ricordi quei letti stretti? Sem- bravano bare, solo che le bare almeno hanno il legno ai lati, così non si rotola fuori. — La cravatta non c'era. Cominciai a togliere le magliette dalla valigia e a metterle sul letto. — Que- sti letti non sono molto migliori... comincio a chiedermi come siano riusciti gli inglesi a riprodursi in tutti questi anni. — Noi ce la cavammo bene, mi sembra — disse Cath infi- lando si le scarpe. — A che ora inizia la conferenza? — Alle dieci — risposi, gettando calzini e biancheria intima sul letto. — A che ora ti vedi con Sara? — Alle nove e mezza — disse, guardando l'orologio. — Avrai tempo per prendere i biglietti per il teatro? — Certo. Il Vecchio non si farà vedere prima delle undici. — Bene — disse Cath. — Sara ed Elliott possono venire solo sabato. Hanno un impegno domani sera, e noi venerdì sia- mo a cena con la vedova di Milford Hughes e i suoi figli. Ar- thur verrà a teatro con noi? L'hai contattato? — No, ma so che II Vecchio vorrà andare. Cosa andiamo a vedere? — chiesi rinunciando a cercare la cravatta. — Ragtime, se riusciamo a prendere i biglietti; lo fanno al- l'Adelphi. Altrimenti prova a prenderli per L Tempesta o per A Sunset Boulevard, e se sono esauriti per Endgames: ci recita Hayley Mills. — Kismet non lo danno? Fece di nuovo un largo sorriso. — Kismet non lo danno. — A quale stazione della metropolitana bisogna scendere per l'Adelphi? — Charing Cross — rispose lei consultando la mappa. – Sunset Boulevard è all'Old Vie, e La Tempesta al Duke of York su Shaftesbury Avenue. Puoi prendere i biglietti tramite un'a- genzia... farai molto più in fretta che andando ai teatri. — Con la metropolitana no — dissi. — Ci si mette un attimo ad andare ovunque. E le agenzie sono per i turisti. Lei sembrò scettica. — Prendi la terza fila se possibile, ma non laterale. E non più indietro della prima galleria. — Non la balconata? — chiesi. I posti più lontani e più ripidi erano stati gli unici che ci eravamo potuti permettere la prima volta che eravamo venuti a Londra, talmente in alto che si riu- sci va a vedere soltanto la parte superiore della testa degli atto- ri. Quando eravamo andati a vedere Kismet, II Vecchio aveva passa to tutto il tempo a sporgersi in avanti per osservare il co- stume arabo di Lalume con un binocolo preso in affitto. — Non la balconata — disse Cath, infilando un ombrello e la guida turistica nella borsa. — Pagali con l'American Express se l'accettano, altrimenti con la Visa. — Sei sicura che la terza fila sia una buona idea? — chiesi. — Ricorda: II Vecchio ci fece quasi buttare fuori dalla balco- nata superiore l'ultima volta, e non c'era nessun altro lì sopra. Cash smise di infilare roba nella borsa. — Tom — disse sembrando preoccupata. Sono passati vent'anni, e tu non vedi Arthur da più di cinque. — E pensi che II Vecchio sia cresciuto nel frattempo? — do- man dai. — Non è possibile. È la persona che ci ha fatti buttare fuori da Graceland cinque anni fa. Sarà ancora lo stesso. Sembrava che Cath volesse dire qualcos'altro, ma poi comin- ciò a mettere le cose in borsa. — A che ora è il cocktail party stasera? — È uno sherry party — dissi. — Danno sherry party in que- sto paese. È alle sei... ci vediamo lì, d'accordo? È un tempo suf- ficiente perché tu e Sara compriate tutta la città e vi raccontia- te... quanti? Tre anni di pettegolezzi? Io avevo visto Elliott e Sara l'anno scorso ad Atlanta, e quel- lo ancora prima a Barcellona, ma Cath non era venuta con me a nessuna delle due conferenze. — Dove andrete a fare acquisti? — chiesi. — Da Harrods — rispose. — Ricordi il servizio da té che comprai la prima volta che siamo venuti qui? Prenderò i piatti in accordo. E una sciarpa da Liberty e un cardigan di cacheme- re... tutte le cose che non ci siamo potuti permettere la volta scorsa. — Guardò nuovamente l'orologio. — Sarà meglio che vada. Ci sarà molto traffico con questa pioggia. — Con la metropolitana faresti prima — dissi. — E staresti all'asciutto. Se prendi la Piccadilly Line fino a Knightsbridge ti lascia proprio lì, non devi nemmeno uscire all'esterno: c'è un'entrata di Harrods proprio nella stazione. — Non porterò i sacchetti degli acquisti su e giù per quelle orribili scale mobili. Sono quasi sempre rotte, e inoltre ci sono i topi. — Una volta hai visto un topo a Piccadilly Circus, ed era lungo i binari — dissi. — Sono passati vent'anni — sottolineò, avvicinandosi al let- to e trovando facilmente la mia cravatta in quella confusione. — Probabilmente adesso ci sono migliaia di ratti laggiù. — Mi diede un bacio su una guancia. — Buona fortuna con la tua presentazione. — Afferrò un ombrello. — La metropolitana prendila tu — disse uscendo dalla porta. — Sei tu quello a cui piace tanto. — È quello che intendo fare — le urlai dietro, ma le porte dell'ascensore si erano già chiuse. Nonostante le disastrose previsioni di Cath, la metropolitana era esattamente la stessa di vent'anni prima. Be', forse non esat- tamente... adesso c'erano macchine per la distribuzione dei bi- glietti, e dispositivi automatici che risucchiavano l'abbonamen- to settimanale e lo restituivano subito. E le scale mobili erano di metallo invece che di legno, ma erano più ripide che mai, e i manifesti dei musical e degli spettacoli teatrali che le fiancheg- giavano quasi non erano cambiati affatto. All'epoca andavano in scena Kilmet e Cats... adesso Showboat e Cats. Cath aveva ragione: adoravo questa metropolitana. È il mi- glior sistema di trasporto sotterraneo al mondo. La metropolita- na di Boston è vecchia e decrepita, quella di Tokyo è una sca- tola di sardine, e quella di Washington sembra essere stata pro- gettata come un rifugio antiaereo. Il Metro non è male, ma ha lo svantaggio di essere a Parigi; la BART di San Francisco non va da nessuna parte. La metropolitana di Londra porta ovunque, fino a Heathrow e Hampton Court e anche oltre, fino a oscure fermate suburba- ne come Clockfosters e Mudchute. C'è una fermata a ogni at- trazione turistica, ed è impossibile perdersi. Ma non rappresenta soltanto un modo efficiente per arrivare dalla Torre alla Cattedrale di Westminster a Buckingham Pala- ce. È un posto interessante di per sé... un meraviglioso dedalo sotterraneo di gallerie, scale e corridoi, pittoreschi come i ma- nifesti dei teatri grandi come cartelloni che si trovano sulle pa- reti delle piattaforme, e come le mappe affisse a ogni pilastro, parete e biforcazione delle gallerie. Mi fermai davanti a una mappa, studiando le linee verde, blu e rossa che si incrociavano: Charing Cross. Dovevo prendere la linea grigia. Cos'era? La Jubilee. Seguii i segnali lungo una piattaforma che curvava e fuori verso la piattaforma che portava in direzione est. Un treno stava partendo. Un segnale luminoso sopra i binari diceva: PROSSIMO TRENO FRA 6 MINUTI. Il treno si avviò nella stretta galleria, e io aspettai la raffica di vento che sarebbe seguita, mentre il treno scompariva spingendo l'aria davanti a sé. Arrivò, con un debole odore di gasolio e polvere, scompi- gliando i capelli della donna che era in piedi accanto a me e fa- cendo ondeggiare la sua camicetta. PROSSIMO TRENO FRA 5 MINUTI, c'era scritto sul segnale. Impiegai quel tempo a osservare una coppia di sposini che si tenevano per mano e leggevano sulle pareti della galleria i ma- nifesti di Sunset Boulevard e Sliding Doors e di Harrods. "Una ventata dal passato", diceva quello nella parte terminale. "Spe- rimentate il Blitz di Londra all'Imperiai War Museum: alla sta- zione della metropolitana Elephant and Castle." — Treno in avvicinamento — disse una voce dal nulla. Il familiare segnale ATTENZIONE AL DISLIVELLO era ancora dipinto sul bordo della piattaforma. Cath si era sempre rifiutata di stare in piedi vicino al bordo. Si metteva nervosa contro le pareti piastrellate come se si aspettasse che il treno improvvisamente uscisse dai binari e piombasse su di noi. Il treno arrivò... in perfetto orario, di cromo brillante e plasti- ca, senza gomme americane sul pavimento, e senza sostanze sconosciute sui sedili di tessuto felpato arancione. — Mi scusi — disse la donna accanto a me, spostando la borsa della spesa in modo che potessi sedermi. Persino le persone che prendevano questa metropolitana era- no più educate di quelle degli altri mezzi di trasporto sotterra- nei... e anche più colte. L'uomo davanti a me leggeva La casa desolata di Dickens. Il treno rallentò. — Regent's Park — annunciò la voce in tono piatto. Regent's Park... l'ultima volta che eravamo venuti qui II Vec- chio aveva urlato — Avanti! — ed era saltato giù dal treno a questa stazione. Ci aveva portati a fare un tour frenetico delle spoglie mortali di Sir Tommaso Moro. Eravamo andati alla Torre di Londra per vedere i gioielli della corona e Cath, che leggeva il suo In- ghilterra a 40 dollari al giorno di Frommer mentre era in coda, aveva detto: — Tommaso Moro è sepolto nella chiesa qui. Sa- pete... Un uomo per tutte le stagioni — ed eravamo andati tutti in gruppo a vedere la sua tomba. — Volete vedere le altre parti del suo corpo? — aveva detto II Vecchio. — Le altre parti? — aveva chiesto Sara. — Soltanto il corpo è sepolto qui — aveva detto II Vecchio. — Dovete vedere la sua testa! — e ci aveva condotti al Ponte di Londra, dove la testa di Moro era stata infilzata su un palo, e poi al giardino di Chelsea, dove sua figlia Margaret l'aveva se- polta dopo averla tirata giù, e poi fino a Canterbury, con II Vecchio che si voltava e ci parlava mentre guidava, portandoci fino alla picco la chiesa dove adesso era sepolta la testa. — I resti di Tommaso Moro: il tour mondiale — aveva detto riportandoci indietro in macchina a velocità folle. — Tranne che per il lago Havasu — aveva detto Elliott. — Non è lì che si trova l'originario Ponte di Londra? — E quando la conferenza annuale si era tenuta a San Diego, II Vecchio si era presentato con una macchina a noleggio e ci aveva rapiti tutti per portar ci in Arizona a visitarlo. Non vedevo l'ora di incontrarlo. Non era possibile prevedere quale pazza gita avesse in mente stavolta. Dopotutto era l'uomo che ci aveva fatti buttare fuori da Alcatraz. Non aveva preso parte alle ultime quattro conferenze (era in viaggio in Nepal per la prima e stava finendo un libro durante le ultime tre) e avevo una gran voglia di sapere cosa aveva fatto durante questi anni. — Oxford Circus — disse la voce in tono piatto. Altre due fermate per Charing Cross. Mi allungai un po' per guardare la stazione mentre ci ferma- vamo. Ogni stazione ha uno stile che la contraddistingue e un colore che la identifica: St. Pancras il verde contornato di blu marino, Euston Square il nero e arancio, Bond Street il rosso. Oxford Circus aveva uno stile con le scale blu diverso dall'ulti- ma volta che c'eravamo stati. Il treno ripartì acquistando velocità. Sarei arrivato a destina- zione in cinque minuti e all'Adelphi in dieci... molto prima di Cath nel suo taxi, e altrettanto comodamente. Arrivai in otto minuti, salii lungo le scale mobili e uscii nella pioggia, poi lungo lo Strand raggiunsi l'Adelphi in venti minuti. Ne avrei potuti impiegare quindici, ma dovetti aspettare dieci minuti per attraversare lo Strand (rannicchiato sotto un tendone mentre rimpiangevo di non aver seguito il consiglio di Cath di portare un ombrello). I taxi neri di Londra incolonnati, gli auto- bus a due piani e le utilitarie sembravano andare velocemente da nessuna parte. Ragtime era esaurito. Presi una mappa dei teatri da uno scaf- fale nell'atrio e guardai dove si trovava il Duke of York. Era a Shaftesbury, e la fermata della metropolitana più vicina era Leicester Square. Tornai a Charing Cross e scesi le scale mobi- li immettendomi nel passaggio che portava alla Northern Line. Avevo ancora mezz'ora, il che significava che ce l'avrei fatta appena in tempo... non era un'impresa impossibile. Cominciai a percorrere la galleria di sinistra in direzione dei treni, mantenendo il passo con la folla e cercando di sentire il rombo di un treno in arrivo sul vociare smorzato e il rumore acuto di tacchi alti. Le persone cominciarono a camminare più in fretta... il ru- more dei tacchi alti si fece più rapido. Tirai fuori la mappa del- la metropolitana dalla tasca posteriore: potevo prendere la Pic- cadilly Line fino a South Kensington e cambiare con la District e poi... Il vento mi colpì come l'onda d'urto di un'esplosione. Barcollai perdendo quasi l'equilibrio. La testa andò improv- visamente all'indietro, come se fossi stato colpito alla mascella. Cercai disperatamente la parete piastrellata.