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I successori di Stalin PDF

393 Pages·1985·14.903 MB·Italian
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Seweryn Bialer Isuccessori di Stalin GARZANTI Dalla morte di Breznev (1982), in rapida sequenza, si sono succeduti ben tre segretari generali del PCUS, Jurij V. Andropov (no­ vembre 1982 - febbraio 1984), Kostantin U. Cernenko (febbraio 1984 - marzo 1985), fi­ no alla nomina di Michail S. Gorbacev (marzo 1985), che è anche il primo espo­ nente della generazione post-staliniana a raggiungere la più alta carica dell’Unione Sovietica. Comincia, in tal modo, a trovare concreta rispondenza l’idea centrale del libro di Se- weryn Bialer, secondo cui il «dominio della generazione formatasi sotto Stalin sta vol­ gendo al termine, ed il trapasso darà luogo per la prima volta da decenni a reali impulsi e a vere e proprie pressioni in direzione di un cambiamento». A sostegno della propria ipotesi di partenza, Bialer ripercorre le tappe travagliate del cammino percorso dalla società sovietica da Stalin ad oggi, illustrandone puntualmente caratteri e motivazioni, dalle linee di politi­ ca economica a quelle di politica estera. Il quadro che emerge è quello di una società che, soprattutto a partire dal periodo brezneviano, ha conseguito una sostanziale stabilità politica, in larga misura a prezzo dell’instabilità economica, e che quindi man­ tiene un largo margine di provvisorietà, la­ sciando ampi spazi alle decisioni dei suoi massimi dirigenti. In tal senso Bialer forni­ sce gli elementi fondamentali per un’infor­ mazione corretta sugli aspetti e sui proble­ mi della società sovietica attuale, rinviando la risposta alla possibile svolta legata alla nuo­ va generazione di dirigenti. Seweryn Bialer è nato a Berlino nel 1927. Ha compiuto gli studi universitari in Polo­ nia divenendo membro dell’Accademia po­ lacca delle Scienze. Nel 1956 è emigrato ne­ gli Stati Uniti, dove ha svolto attività di ri­ cerca presso la Columbia University su temi relativi alla storia sovietica e specificata- mente sulla questione della formazione dei gruppi dirigenti e del processo decisionale in Unione Sovietica. Attualmente è Profes­ sor of Politicai Science presso la Columbia University, Direttore del Research Institute of International Change e membro del Co­ mitato Esecutivo del Columbia’s Russian Institute. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui I generali di Stalin (1972); Radicalism in the Contemporary Age (1977, 3 voli.) e The Do­ mestic Context of Soviet Foreign Policy (1980), di cui è stato coautore e curatore. Sue ricer­ che sono state inoltre pubblicate in molte riviste e volumi collettivi. Negli ultimi anni Bialer ha rafforzato l’im­ pegno pubblico e politico sempre su temi relativi alla politica sovietica, con l’organiz­ zazione di numerosi convegni fra istituti americani ed europei, viaggi in Unione So­ vietica e Qna, preparazione di materiali e documentazioni per il Congresso degli Stati Uniti e interventi su riviste e giornali ame­ ricani quali «Foreign Affairs», «New York Times», «Newsweek» e «Problems of Com­ munism». Per il centenario della rivoluzione russa 1917-2017 SEWERYN BIALER I successori di Stalin GARZANTI Prima edizione: novembre 1985 Traduzione dall’inglese di Sergio Minucci Titolo originale dell’opera: «Stalin’s successors» © Cambridge University Press, 1980 © Garzanti Editore s.p.a., 1985 Printed in Italy I SUCCESSORI DI STALIN Nota introduttiva «Un mutamento nel sistema stalinista, e una tenace resistenza al muta­ mento sono stati gli aspetti centrali della vita politica sovietica dalla morte di Stalin in poi (...) Gli studiosi occidentali del mondo sovietico hanno per­ cepito con lentezza questo conflitto dalle radici profonde. Abituata a vedere solo una tradizione politica e quindi solo continuità nella storia sovietica, e ad immaginare l’Unione Sovietica come un congelato sistema “totalitario”, la maggior parte degli studiosi ha cominciato a pensare seriamente al muta­ mento ed alle grandi controversie che esso ha provocato solo alla metà degli anni Sessanta».1 In questi termini Stephen Cohen, biografo di Bucharin, ha delineato i tratti essenziali della storiografia sull’Unione Sovietica, la «svol­ ta» intervenuta — posso aggiungere — con le opere di Alexander Erlich e Moshe Lewin, ed in tal modo egli ha anche indicato il quadro tematico og­ getto dell’indagine storica attuale.2 Non vi è dubbio, infatti, che da sempre la storia dell’Unione Sovietica è stata intrisa del giudizio politico espresso sulla rivoluzione d’Ottobre, sulla società che ne è risultata, sullo stalinismo, e, in generale, sull’ideologia che ufficialmente la distingue. Il concetto di «totalitarismo» ha accompagnato gran parte delle ricostruzioni storiche delle sue tappe, da Lenin a Stalin ed ai suoi successori, e quello di «continuità sto­ rica» ne ha rappresentato la chiave interpretativa di fondo: «La formula di governo del totalitarismo sovietico si basa su un equilibrio mobile di fasi al­ terne di repressione e di distensione, ma il suo profilo essenziale rimane im­ mutato. Il regime totalitario non perde le sue caratteristiche di stato di poli­ zia; esso muore quando il potere viene strappato dalle sue mani»? Eppure, al di là della messa in discussione dei concetti chiave della storiografia preva­ lente sull’Unione Sovietica già accennati, essa si è certamente fermata alle soglie delle necessarie conferme e precisazioni che quei termini implicavano. Affermare, ad esempio, la sostanziale continuità di azione politica tra Lenin e Stalin, significa sì opporsi alla corrente interpretazione esistente in Unione Sovietica che la nega, ed indicare — al contrario — la «dipendenza» di en­ 7 trambi dalle condizioni storiche in cui avvenne la rivoluzione, ma implica anche, inevitabilmente, far discendere l’azione del secondo da quella del pri­ mo, renderli insomma anelli di un’unica inscindibile catena, che ha avuto inizio nel 1917. E ciò, inoltre, significa perdere di vista il singolare intreccio che è andato a costituire la società sovietica, e al quale ciascuno dei due dirigenti ha con­ tribuito specificamente. Diventano, in tal modo, meno rituali le parole con cui Carr, nel 1955, concluse una polemica con Seton-Watson: «... il tentativo di stabilire un parallelo fra l’attuale regime della Russia sovietica e un altro qualsiasi ordinamento istituzionale o sociale del passato — sia esso l’autocra­ zia zarista oppure la borghesia vittoriana serve solo a confonderci le idee. Si tratta di un fenomeno nuovo nella storia, con meriti e difetti nuovi; farem­ mo quindi meglio a cercare di valutarlo per quello che è.»4 Ed infatti, le rico­ struzioni storiche dell’Unione Sovietica prevalenti nel secondo dopoguerra, sono state caratterizzate da un approccio ideologico che unificava tendenzial­ mente l’analisi storica con il giudizio politico, finendo per rendere «seconda­ ria» la prima e «precario» per ciò stesso il secondo, al di là persino dei meriti «pionieristici» acquisiti. A tali ricerche succedettero studi specifici, di tipo quantitativo, che affrontarono aspetti e momenti particolari della storia so­ vietica in gran parte trascurati precedentemente, senza la pretesa di vedere in essi la conferma di ipotesi globali, ma certamente senza perdere di vista il le­ game tra politica e ideologia che contraddistingue da sempre le vicende di quel paese. La ricerca, tuttavia, di una chiave di lettura unitaria, o comunque decisiva, rimase al fondo dell’approccio di entrambe le linee storiografiche accennate, presente soprattutto nell’ambito anglosassone, condizionandone spesso i risultati. Un’analisi storica di tipo «comparativo», che risulta in so­ stanza la via più «facile» per una valutazione della storia sovietica, e, dall’al­ tro versante, un approccio settoriale che periodizzi artificialmente l’insieme degli avvenimenti o ne frammenti gli episodi, rappresentano le due secche in cui spesso si è arenata la ricerca sulla storia sovietica. Si tratta, forse, a questo punto, di far propria un’indicazione di uno studioso sovietico, che così si espresse a tal proposito: «Al centro dell’analisi si deve porre non soltanto l’arretratezza, ma la sua inconsueta unione con l’accelerazione; non soltanto l’acutizzarsi dei conflitti sociali, ma un nuovo tipo di connessione nell’inter­ cambiabilità di quei conflitti (...) Occorre guardare al conflitto più vitale, os­ sia le forme e i mezzi più diversi dell’integrazione nella modernità».’ Defini­ re, insomma, i caratteri specifici con cui l’Unione Sovietica ha vissuto il suo processo di «modernizzazione» a partire dalla rivoluzione d’Ottobre, signifi­ ca forse riuscire a delineare più precisamente i tratti della sua società civile attuale, i problemi che la travagliano e che più compiutamente esprimono le sue prospettive. Rimane, certamente, tuttora problematica la definizione 8

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