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I problemi filosofici della teoria della relatività. Lezioni 1920-1921 PDF

146 Pages·2015·6.133 MB·Italian
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ERNST CASSIRER I PROBLEMI FILOSOFICI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ LEZIONI 1920-1921 A CURA DI RENATO PETTOELLO MIMESIS/RICERCARE Ernst Cassirer I PROBLEMI FILOSOFICI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ Lezioni 1920-1921 a cura di Renato Pettoello MIMESIS Titolo originale: Die philosophischen Probleme der Relativitätstheorie, contenuto in E. Cassirer, Nachgelassene Manuskripte und Texte, Bd. 8: Vorlesungen und Vorträge zu philosophischen Problemen der Wissenschaften 1907-1945, hrsg. von J. Fingerhut, G. Hartung und R. Kramme, Meiner, Hamburg 2010, pp. 29-116. MIMESIS EDIZIONI (Milano - Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Ricercare, n. 10 Isbn: 9788857530628 © 2015 - MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935 INDICE Introduzione Una nuova immagine del mondo 7 di Renato Pettoello Avvertenza 29 Ernst Cassirer I PROBLEMI FILOSOFICI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ Premessa 33 I problemi filosofici della teoria della relatività 37 1. Il concetto di verità e il concetto di realtà in fisica 57 2.1 fondamenti concettuali e sperimentali della teoria della relatività speciale e generale 81 3. Spazio e tempo 103 4. Il problema dell’oggetto nella teoria della relatività 125 5. La dottrina kantiana dello spazio e del tempo e la teoria della relatività 129 Appendice 139 Indice dei nomi 143 Renato Pettoello INTRODUZIONE Una nuova immagine del mondo1 «Der gesunde Gelehrte, der Mann, bei dem Nachdenken keine Krankheit ist». (G. Ch. Lichtenberg) 1. Nel 1905 Einstein pubblica, insieme ad altri fondamentali lavori, una memoria di una trentina di pagine dal titolo Elektrodynamik bewegter Körper. È l’atto di nascita della teoria della relatività 12. Il giovane scien­ ziato, impiegato all’ufficio brevetti di Berna, risolveva così arditamente alcuni dei più tormentosi problemi lasciati in eredità dalla ricerca fisica del XIX secolo ed in particolare quelli legati all’elettrodinamica e all’ot­ tica. E lo stesso Einstein ad ammetterlo apertamente, rivendicando nel contempo la grande semplificazione delle teorie precedenti: la teoria della relatività (ristretta) si è sviluppata dall’elettrodinamica e dall’ottica. In questi campi essa non ha modificato in modo apprezzabile gli enunciati della teoria (di tali fenomeni), ma ne ha considerevolmente semplificato la costruzione teorica, cioè la derivazione delle leggi e - cosa di gran lunga più importante - ha ridotto in misura notevole il numero delle ipotesi fra loro indipendenti su cui tale costruzione si basa3. 1 Per le sigle utilizzate in questa Introduzione e nel corso dell’opera, così come per l’indicazione della traduzione delle opere di Einstein cui si è fatto ricorso, si veda V Avvertenza, a p. 29. 2 Bisognerebbe aggiungere anche il brevissimo lavoro dal titolo Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig?, CP, voi. 2, pp. 312-314. 3 A. Einstein, Über die spezielle und allgemeine Relativitätstheorie. Geme­ inverständlich, CP, voi. 6, pp. 453-454; tr. it. cit., p. 419. 8 I problemi filosofici della teoria della relatività L’elettromagnetismo di Faradey e Maxwell aveva minato pro­ fondamente il modello meccanicistico di spiegazione del mondo, anche se Maxwell stesso non lo abbandonò mai del tutto. Inoltre la teoria del campo elettromagnetico metteva fondamentalmente in crisi l’idea, centrale nella meccanica newtoniana, dell’azione a distanza, istantanea. È ormai evidente che l’azione può propagarsi soltanto attraverso un corpo intermedio e con un tempo finito e che, per così dire, il “protagonista” degli eventi fisici non sono i corpi, ma, appunto, il campo. Bisogna inoltre ricordare che lo studio dei fenomeni elettromagnetici evidenziò l’affinità dei feno­ meni elettrici e di quelli magnetici che, fino ad allora, sembravano distinti e che la velocità di propagazione di tali fenomeni è pros­ sima a quella della luce. Quest’ultimo aspetto rese evidente che i fenomeni elettromagnetici non sono invarianti rispetto alle tra­ sformazioni classiche o galileiane. Di qui la necessità di elaborare delle nuove trasformazioni per le quali i fenomeni elettromagnetici risultassero invarianti. Al grande scienziato olandese Hendrik A. Lorentz si deve appunto la formulazione di queste trasformazioni, note oggi come trasformazioni di Lorentz, che costituiranno parte integrante della struttura matematica della relatività ristretta. Ve­ diamole brevemente: x-vt y'=y, z =z, Nella colonna di sinistra, prima dell’uguale, sono riportate le tra­ sformazioni galileiane, vale a dire le tre coordinate spaziali e la coor­ dinata temporale, a destra dell’uguale le trasformazioni di Lorentz. In entrambi i casi si tratta di moti rettilinei uniformi e in entrambi i casi R. Pettoello - Una nuova immagine del mondo 9 si tratta di mettere in relazione distanze e tempi osservati su sistemi in quiete, con quelli osservati su sistemi relativamente in moto. Ma, mentre nella fisica classica, distanze e tempi non vengono alterati dal­ la velocità del sistema in questione (come evidenziano chiaramente le trasformazioni galileiane), le trasformazioni di Lorentz riducono le distanze e i tempi osservati nei sistemi in moto alle condizioni dell’os­ servatore in quiete, mantenendo la velocità c della luce costante per tutti gli osservatori. È evidente che, trattandosi di moto traslatorio, come per le leggi di trasformazione classiche, le dimensioni y' e z , vale a dire le dimensioni misurate relativamente al sistema in moto ad angoli retti rispetto a x e ad angoli retti l’un rispetto all’altro (cioè altezza e larghezza), non subiscono variazioni per effetto del moto. È importante osservare che quando la velocità del sistema in moto v è molto piccola, rispetto alla velocità della luce c, le equazioni delle tra­ sformazioni di Lorentz si riducono sostanzialmente alla relazione del principio classico della somma delle velocità. Quando però la velocità v è molto elevata e prossima alla velocità c, allora i valori di x' e di t' cambiano in modo radicale. Tutto ciò è particolarmente evidente nella quarta trasformazione, quella relativa al tempo, dove peraltro si ottiene un altro significativo risultato: il tempo non è più un concetto assoluto e indipendente, come avveniva nella fisica classica, ma dipende dal sistema di riferimento. Ho ritenuto opportuno soffermarmi brevemente sulle trasformazio­ ni di Lorentz, in considerazione dell’importanza che esse hanno avuto per l’elaborazione della relatività ristretta, tanto che Einstein scriverà, ancora molti anni dopo, che «il contenuto della teoria della relatività ristretta può [...] essere sintetizzato in una sola proposizione: tutte le leggi naturali devono essere invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz»4. Un altro rilevante problema, rimasto aperto nella fisica classica ed al quale la relatività ristretta darà risposta con un vero e proprio colpo di spugna, è quello relativo alla natura dell’etere. L’ipotesi di un etere luminifero pare infatti ormai del tutto superflua ad Einstein, in quanto la teoria della relatività ristretta non ha bisogno di «uno “spazio assolu­ tamente stazionario” corredato di particolari proprietà, né di un vettore 4 A. Einstein, The Fundamentais of Theoretical Physics, in Id., Out ofMy Later Years, Thames & Hudson, London 1950, p. 104; tr. it. cit., p. 570. 10 / problemi filosofici della teoria della relatività velocità assegnato a un punto dello spazio vuoto nel quale abbiano luo­ go processi elettromagnetici»5. La necessità di spiegare la propagazione della luce e poi delle onde elettromagnetiche aveva indotto i fisici ad ipotizzare l’esistenza di una sostanza materiale che riempie lo spazio e penetra i corpi. La natura ondulatoria della luce sembrava infatti richiedere, sul modello del moto ondulatorio dei fluidi, la presenza di questo mezzo. Si trat­ tava però di capire quali proprietà fisiche esso dovesse avere e qui la questione s’ingarbugliò ben presto: a seconda delle esigenze, l’etere venne infatti interpretato ora come un fluido, ora come un solido ela­ stico, ora come un corpo rigido. La sostanziale identità di natura dei fenomeni elettrici e magnetici con quelli della luce, cui conduceva la teoria di Maxwell e Faraday, sembrava appianare, almeno in parte, le difficoltà, in quanto il concetto di etere finiva col coincidere sostan­ zialmente con il campo elettromagnetico, che possedeva un più chiaro significato fisico. Restavano però da chiarire almeno due aspetti non certo secondari: si trattava di capire per quale motivo non fosse pos­ sibile rilevare alcuna resistenza del presunto mezzo materiale al moto dei corpi e se l’etere fosse trascinato dai corpi oppure no. Per dare risposta a questi problemi era necessario elaborare un’elettrodinamica dei corpi in movimento. Il primo a tentare di costruire una dinamica del genere, su basi classiche, fu Hertz che, pur separando radical­ mente etere e materia, era però costretto a supporre 1’esistenza di un movimento dell’etere da parte dei corpi materiali. Questa complessa teoria venne tuttavia ben presto abbandonata, perché si scontrava con l’evidenza sperimentale. Non meno problematici risultarono gli altri tentativi di comprendere il presunto trascinamento dell’etere. I due esperimenti più rilevanti e in contraddizione tra loro, in quest’am­ bito, furono quello di Fizeau che mostrava come l’etere luminifero non possa essere trascinato completamente dalla materia in moto (in questo caso un fluido) attraverso di esso; e quello, notissimo, di Michelson-Morley che dimostrava che il “vento d’etere”, ipotizzato da Hertz, non esiste e che l’etere non può essere trascinato dal moto della terra. L’ultimo tentativo di salvare l’etere fu fatto da Lorentz, che lo identificava col campo elettromagnetico nel vuoto, deprivan­ 5 A. Einstein, Elektrodynamik bewegter Körper, CP, voi. 2, p. 277; tr. it. cit., p. 149. R. Pettoello - Una nuova immagine del mondo 11 dolo sostanzialmente di ogni proprietà meccanica. Ancora una volta Lorentz avrà un ruolo importante nell’elaborazione della teoria della relatività, questa volta della relatività generale, tanto che Einstein ar­ riverà ad affermare che «l’etere della teoria della relatività generale», perché, come vedremo tra breve Einstein recupererà il concetto di etere, «è idealmente riconducibile a quello di Lorentz»6, naturalmente sostituendo le funzioni spaziali che lo descrivono con altre costanti e prescindendo dalle cause che ne determinerebbero lo stato. L’esperimento di Michelson-Morley aveva mostrato, contro ogni aspettativa, che la velocità della luce rimaneva invariata, sia che il rag­ gio luminoso fosse lanciato nella presunta direzione del vento d’etere, sia che fosse lanciato nella direzione opposta. Il risultato evidente, an­ che se sconcertante, era che non esisteva alcun vento d’etere: la velocità della luce era del tutto indipendente dalla direzione. In sostanza l’espe­ rimento dimostrava che tutti i fenomeni ottici si comportano come se non vi fosse una traslazione della terra rispetto all’etere. Per rispondere all’esperimento di Michelson-Morley, e salvare la fìsica classica e il concetto di etere, - seguendo una strada già proposta autonomamente qualche anno prima da George F. Fitzgerald - Lorentz avanzava l’ipo­ tesi che un corpo in movimento subisca una contrazione della propria lunghezza nella direzione del moto. Tale contrazione coinvolgerebbe le forze che mantengono coese le molecole che costituiscono i corpi. L’e­ laborazione definitiva di questa teoria di Lorentz, così come delle sue trasformazioni è del 1904. È a questo punto che entra in campo la teo­ ria della relatività. Senza voler togliere nulla alla genialità di Einstein, bisogna però dire che - come avviene spesso - la teoria della relatività era, per così dire, nell’aria. È innegabile, ad esempio, che Poincaré, pur non elaborando una teoria compiuta, si era spinto già molto avan­ ti in questa direzione. Né erano mancati lavori di rilievo che avevano preparato il terreno alla nuova teoria, dai lavori sulla deformazione dei campi generati da cariche ad altissima velocità e sulla simmetria forma­ le nella formulazione delle equazioni di campo di Heaviside e Hertz, ai lavori dello stesso Lorentz di cui parlerò tra breve. E però innegabile anche che soltanto Einstein fece il passo decisivo, avanzando una teoria che risolveva con grande “semplicità” ed eleganza alcuni dei problemi 6 A. Einstein, Äther und Relativitätstheorie, CP, voi. 7, p. 318; tr. it. cit., p. 514.

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