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I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo PDF

1137 Pages·2016·6.597 MB·Italian
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Dai primi episodi violenti nel ’68 alle bombe e alla lotta armata, la storia di come l’Italia democratica è riuscita a scon�ggere il terrorismo rosso e nero. Tra la �ne degli anni Sessanta e gli Ottanta, l’Italia fu scossa da una serie di attacchi di diversa matrice ideologica: attentati, trame golpiste, lotta armata condotta da gruppi clandestini. Come fu vissuta la ferocia degli “anni di piombo”? In che modo è stata fatta giustizia? Vladimiro Satta, storico che da anni si concentra su questi temi e ha maturato una profonda conoscenza della documentazione in materia, ricostruisce in questo libro un periodo oscuro del nostro Paese. Carte alla mano, Satta smentisce molti luoghi comuni di destra e sinistra, puntando l’attenzione non soltanto sui nemici della Repubblica, ma anche sui poteri pubblici e su come sono riusciti a difendere Stato e cittadini. Vladimiro Satta, documentarista del Senato dal 1987 e storico, si è occupato della documentazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi dal 1989 al 2001. Tra i suoi libri Odissea nel caso Moro (2003) e Il caso Moro e i suoi falsi misteri (2006). Vladimiro Satta I nemici della Repubblica Proprietà letteraria riservata © 2016 Rizzoli/RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-58-68347-7 Prima edizione digitale 2016 www.rizzoli.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. I nemici della Repubblica No, non fa male credere fa molto male credere male. Giorgio Gaber, Non è più il momento Introduzione La violenza politica, nelle sue varie espressioni, è un fenomeno ricorrente nella storia dell’Italia unita.1 Il periodo che va dalla �ne degli anni Sessanta agli anni Ottanta fu il più violento dalla nascita della Repubblica. Il Paese fu scosso da una �tta serie di eventi drammatici di vario tipo e di diversa matrice ideologico-politica. Si ebbero manifestazioni di protesta sociale aggressive e distruttive, scontri �sici e reciproci agguati fra estremisti, lotta armata praticata da formazioni clandestine, bombe, trame golpiste. Migliaia furono gli attacchi, centinaia i morti, una moltitudine i feriti.2 La stagione della violenza politica si aprì durante il ciclo della protesta dapprima studentesca e poi operaia (1968 e 1969). Una vena di aggressività a�orò il 1° marzo 1968 a Roma (scontri di Valle Giulia) dall’interno del movimento studentesco, si rivide in alcune giornate dell’«autunno caldo» del 1969 e, coltivata da formazioni extraparlamentari di ultrasinistra nelle quali i giovani contestatori e gli operai più bellicosi con�uirono, si sviluppò e manifestò a più riprese per i mesi e gli anni a seguire. Nel corso del 1969 si susseguirono una serie di attentati dinamitardi incruenti – alcuni a opera di fascisti, altri di anarchici – ai danni di sedi di istituzioni �no ad arrivare al tragico salto di qualità con l’apparizione dello stragismo, una forma di terrorismo di estrema destra che fece esplodere bombe micidiali in luoghi frequentati da cittadini comuni. Il primo episodio di questo genere avvenne il 12 dicembre 1969 in una banca di Milano e a partire dal 1973 se ne veri�carono altri che ebbero caratteristiche ed e�etti tragicamente analoghi, sebbene verosimilmente fossero stati concepiti con obiettivi di�erenti.3 Nel frattempo, sempre a destra, furono intessute trame golpiste che, pur non essendo mai arrivate oltre la soglia del tentativo di colpo di Stato inscenato da Junio Valerio Borghese ma conclusosi con un dietrofront nella notte fra 7 e 8 dicembre 1970, potenzialmente avrebbero comportato un massiccio uso della forza o addirittura scatenato una guerra civile. Nella seconda metà del 1970 prese le mosse la lotta armata condotta dalle Brigate rosse e da altri gruppi di estrema sinistra, molti dei quali nati da scissioni interne alle diverse formazioni politiche della sinistra rivoluzionaria postsessantottina. La lotta armata esordì con azioni di modesta portata che somigliavano da vicino alle violenze spicciole contro gli oppositori delle istanze operaie e che venivano rivendicate con espliciti richiami alle lotte in fabbrica, poi salì vertiginosamente di livello e di intensità e si protrasse �no all’omicidio del senatore Roberto Ru�lli nel 1988, passando attraverso Aldo Moro (1978) e tante altre vittime. Tra la �ne degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo si scatenò un terrorismo nero di nuova generazione – si pensi ai Nuclei armati rivoluzionari – per certi aspetti speculare a quello rosso. Oltre che dei fenomeni autoctoni, nei primi anni Settanta il Paese fu teatro di azioni di terrorismo internazionale, specie mediorientale, e nel 1981 dell’attentato contro papa Giovanni Paolo II (un discorso a parte andrebbe fatto per il disastro aereo del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica).4 Questi drammatici fatti, che per loro natura hanno una grande presa emotiva sulla cittadinanza, hanno portato all’adozione nel linguaggio comune dell’espressione «anni di piombo», la quale peraltro non è stata coniata in Italia bensì è stata mutuata dal titolo di un �lm tedesco uscito nel 1981: Die bleierne Zeit. Un libro che si occupa di questi argomenti non può prescindere dalla locuzione «anni di piombo», quindi. Tuttavia, è doveroso puntualizzare che essa, in riferimento alla storia generale del periodo che va dalla �ne degli anni Sessanta agli Ottanta inoltrati, contiene una buona dose di esagerazione (non a caso viene dal mondo dello spettacolo). Il Paese non si fece schiacciare da quel peso e, nel bene e nel male, la storia di quegli anni non è fatta soltanto di piombo e simili. Anzi, fu lo strato di piombo a liquefarsi, per giunta senza lasciare altri residui che le morti e le cicatrici per chi ne fu vittima. L’origine straniera della de�nizione «anni di piombo», comunque, ci ricorda che il caso italiano non fu isolato. Uno studioso del terrorismo su scala mondiale, Walter Laqueur, titolando un suo famoso libro, chiamò il periodo 1958-1975 L’età del terrorismo. Le ricerche in chiave comparatistica di Leonard Weinberg e altri mostrano che l’avvento di sistemi democratici nel mondo contemporaneo ha coinciso con l’ascesa del fenomeno terroristico in svariati Paesi.5 Tra le possibili cause di tale coincidenza – a meno che non la si voglia ritenere casuale, come alcuni fanno – si suole indicare il fatto che la novità della democrazia genera spesso grandi aspettative seguite da delusioni e che le democrazie sono più vulnerabili rispetto ad altri sistemi perché il potere, dovendo rispondere a tutti, è tollerante (e ha di�coltà a opporsi ai ricatti di chi minaccia di colpire i cittadini), mentre le autocrazie non si pongono i medesimi scrupoli quando si tratta di reprimere. Le libertà di espressione e di movimento – che sono tipiche delle democrazie – sono preziosissime, ma purtroppo o�rono ai nemici della democrazia l’opportunità di abusare di esse al �ne di organizzare attività antidemocratiche. I suddetti fattori di rischio si riscontrano largamente nell’Italia degli anni Sessanta, dove la ricostruzione postbellica era ormai compiuta e le libertà civili e politiche erano state ripristinate. Il Paese, per l’appunto, all’indomani della Seconda guerra mondiale era passato dalla monarchia alla repubblica e dalla dittatura alla democrazia uscendo da un ventennio di regime fascista, il quale era stato preceduto per decenni da un sistema che poteva dirsi liberale, ma oligarchico piuttosto che democratico. E, per una fascia consistente delle masse popolari, la �ne della dittatura doveva essere il preludio di una rivoluzione sociale, che sarebbe arrivata all’esito di una marcia attraverso le nuove istituzioni più o meno lunga. Inoltre, sempre secondo Weinberg, tra i sistemi democratici risultano maggiormente esposti al terrorismo quelli che presentano

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