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I giorni fragili di Arthur Rimbaud PDF

109 Pages·2015·0.51 MB·Italian
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NARRATORI DELLA FENICE Philippe Besson I giorni fragili di Arthur Rimbaud 2 Titolo originale: Les jours fragiles de Arthur Rimbaud Traduzione: Francesco Bruno Visita www.infiniteStorie.it il grande portale del romanzo ISBN 88-8246-820-8 © Éditions Julliard, Paris 2004 © 2006 Ugo Guanda Editore S.p.A., Viale Solferino 28, Parma Disegno e grafica di copertina di Guido Scarabottolo 3 Il Libro Isabelle Rimbaud è cresciuta all'ombra del fratello maggiore, genio votato allo scandalo, da sempre in fuga dalla famiglia e dalle convenzioni sociali. E quando Arthur ritorna dopo un lungo periodo trascorso in Africa, con una gamba in cancrena a causa di una grave malattia, è lei ad accudirlo, e solo con lei il fratello sembra avere un dialogo, nonostante le incolmabili differenze che li dividono. Isabelle diventa allora la depositaria dei segreti e dei tormenti di lui: attraverso il suo diario, la donna si crea uno spazio in cui lasciare libero corso alla propria esigenza di scrittura, un vizio di famiglia avversato dalla madre. Ma anche all'esigenza di raccontare ciò che avrebbe preferito non sapere e non vuole affidare ai posteri: l'ateismo, l'omosessualità, le «turpitudini» di Arthur, il quale lascia che la sorella si appropri letteralmente di lui, almeno negli ultimi giorni della sua vita, e non si ribella a quest'ansia di possesso che cela un sentimento enigmatico, quasi indecifrabile. Attraverso la voce di Isabelle, Philippe Besson ricostruisce i drammatici momenti in cui Arthur Rimbaud si trova costretto all'immobilità, e insieme traccia un ritratto dell'uomo che sta dietro il mito. Ma il libro è anche il ritratto della sorella e di ciò che questo incontro porta alla luce: momenti di rabbia, di incomprensione profonda, di risentimento e di desiderio, che si fanno più intensi con l'avvicinarsi della fine; e con il disvelarsi di confidenze che, anche una volta soffocate, non possono lasciare Isabelle immutata. Philippe Besson è nato nel 1967 a Parigi, dove tuttora risiede. Guanda ha pubblicato i romanzi E le altre sere verrai? e Un amico di Marcel Proust. 4 Intro A Florian Sallaberry Tornerò, con membra di ferro, pelle scura, occhi furenti: dalla mia maschera, mi giudicheranno di razza forte. Avrò oro: sarò ozioso e brutale. Le donne curano questi feroci infermi di ritorno dai paesi caldi. Sarò… salvo. ARTHUR RIMBAUD Una stagione all'inferno, agosto 1873 5 Maggio 1873 6 Venerdì 22 maggio Nella nostra famiglia, gli uomini non rimangono. E' vero, se ci si pensa: non hanno mai fatto altro che allontanarsi, darsela a gambe e liberarsi di noi donne, condannate a restare in paese, legate alla terra. Non ho mai smesso di domandarmi da cosa nasca in loro questa voglia di altri cieli, quando il cielo è lo stesso dappertutto. Mio padre, per primo, ha bazzicato, per cominciare, soltanto città di guarnigione, secondo le sue tante destinazioni, lontano dal domicilio coniugale. D'altronde, mi ha concepita durante una sosta a Sélestat e, stando a quanto mi hanno detto, risiedeva dalle parti di Lauterbourg quando sono venuta al mondo. E' mai ripassato da lì per vedere che faccia avevo? Mamma dice di sì, ma io stento a crederle, anche se mi guardo bene dal mettere in dubbio la sua parola. Sempreché abbia fatto la strada per venire a conoscermi, non ci ha messo comunque molto, poi, a darsela a gambe e non tornare più, per andare a zonzo sotto il sole e abbandonarci al nostro destino, al nostro suolo. Non so niente di lui, o quasi, salvo che fu capitano, ufficiale itinerante ora in Algeria, ora in Crimea, che fu nominato cavaliere della Legion d'onore, e che Arthur e io gli dobbiamo gli occhi azzurri. Sì, questo è indubbio: gli occhi sono quelli di papà. Anche Arthur ha sempre avuto il ballo di san Vito. Non sarei più in grado di elencare con esattezza tutti i posti che ha attraversato, le colline che ha scavalcato, le contrade che ha esplorato, gli orizzonti che ha cercato di raggiungere. Ricordo in compenso con precisione che ero giovanissima quando se n'è andato. Non avevo ancora vent'anni. Lui ne aveva venticinque e ne dimostrava diciassette. Era di una magrezza adolescenziale, aveva la testa incassata nelle spalle. Se ne è andato senza degnarci di uno sguardo. Ci ha lasciate alle nostre Ardenne, che pure erano anche le sue, a questo paese di gelo, duro e nero. Ormai sono più di dieci anni che l'Africa ce l'ha preso. Frédéric, infine, non vive molto lontano da noi, ma distante quanto basta perché non lo si frequenti più. Mamma lo ha bandito sei anni orsono, e tutto per un cattivo matrimonio. Anche oggi che uno dei nostri uomini si riavvicina, proprio quando non ci si sperava più, bisogna non muoversi di qui e aspettare. Dopo il suo interminabile esilio, Arthur è, difatti, sbarcato a Marsiglia, dove devono operarlo. Mi sarebbe piaciuto raggiungerlo là, ma nostra madre ha deciso altrimenti: lei e lei soltanto salirà sul treno domani all'alba. 7 E' appena tornata dall'ufficio postale di Attigny dove ha telegrafato al figlio la sua ora d'arrivo. Mi ordina di rimanere a Roche e di occuparmi della fattoria durante la sua assenza. Non discuto. Lei sa cosa bisogna fare, cosa è bene. L'ha sempre saputo. Sabato 23 maggio Non mi faccio illusioni: se oggi mio fratello torna in Francia, è più per curarsi che per rivedere noi. Ma cosa contano le sue ragioni? Importa che è più vicino a noi di quanto lo sia mai stato nell'ultimo decennio. Ciò che conta è che sia di ritorno. Certo, le sue condizioni ci preoccupano. Da mesi lamenta un dolore da infezione al ginocchio, che lo fa soffrire terribilmente, al punto che riesce a muoversi soltanto con grande difficoltà. Si è fatto visitare dai dottori somali, ma questi non sono riusciti a capire il suo male né a togliergli il dolore. Gli ospedali di laggiù probabilmente non ne hanno colpa: non si può chiedere a degli ambulatori spersi nella sterpaglia di fare miracoli e di svelare i misteri del corpo umano. Arthur ha preso la giusta decisione, in ogni caso, accettando di affidare la sua sorte a dei medici francesi che sono più competenti e meglio informati sugli ultimi sviluppi della scienza. E si dice che l'ospedale della Conception a Marsiglia sia un istituto serio. Saperlo placa un po' la mia ansia. Ahimè, come in un orrendo moto altalenante, non riesco a scacciare dalla mente le immagini atroci dell'agonia di Vitalie, la nostra amata sorella. Come dimenticare che fu portata via da un male al ginocchio e che le sue ultime settimane furono un calvario? Come non fare l'accostamento? Come non pensare a una maledizione, a una catena di sventure? Dio misericordioso, cos'abbiamo mai fatto per meritarci una sorte simile? Quale oltraggio possiamo mai aver commesso? Ma io voglio credere che Arthur è in condizione di guarire e che quella brutta nevralgia sarà presto uno spiacevole ricordo e nulla più. E decisamente ora che i nostri uomini ci vengano restituiti. 8 Domenica 24 maggio Sono la prima a sorprendermi di tenere questo diario, di sentirne la necessità, ma dopotutto anche Vitalie ne teneva uno, e il fatto non stupiva nessuno. In fondo, scrivere è un vizio di famiglia. Soltanto al maggiore, Frédéric, ripugna. E poi io ho frequentato le scuole. Conosco il greco e il latino. E so cavarmela nel tornire le frasi. Perché dovrei vietarmi questa pratica? Eh, che male ci sarà mai? Mamma, non c'è dubbio, troverebbe da ridire (peggio: sarebbe sbalordita, e corrucciata), lei che ritiene che siano state le parole a portare Arthur alla rovina. Eppure, era la prima a lamentarsi della rarità e della brevità delle sue lettere dall'Africa. A volte l'avrebbe voluto più facondo, quel figliolo lontano, dal momento che aveva optato per un'esistenza seria. Ciò non toglie che lei nutra una sorta di naturale diffidenza nei confronti delle introspezioni, delle confessioni. E nei confronti di coloro che vi si abbandonano, che vi si perdono. E' stata lei a coprire le nostre vite di una cappa di piombo. Lei che ci ha ridotti al silenzio, al suo silenzio. Le terrò nascosto questo diario. Così non m'interrogherà in proposito e io non avrò bisogno di mentire. Mi ha sempre vista come una ragazza riservata, una ragazza introversa, disciplinata. Anche le madri possono sbagliarsi. E se si trattasse soltanto di non smarrire dei sentimenti, di trattenere dei frammenti, di serbare dei ricordi, di fissare degli istanti? Di sgranare i giorni. Lunedì 25 maggio Le notizie che giungono da Marsiglia non sono incoraggianti. Un telegramma arrivato stamane mi comunica che è indispensabile e imminente l'amputazione della gamba sinistra. Questo annuncio mi fa piombare subito nel terrore. Sento un'acqua gelida che mi cola lungo la spina dorsale. E la mia intera carcassa è colta dal tremito. Ritrovo, di punto in bianco, le paure di un tempo, quando temevo di vedere Arthur andare alla perdizione. Secondo i medici si è sviluppata una cancrena. Bisogna impedire che si diffonda. L'operazione 9 dovrebbe esser fatta da un certo dottor Pluyette. Mamma assicura che l'ospedale dispone delle attrezzature più moderne. Mi prega di non preoccuparmi. «Andrà tutto bene. » Come può dire una cosa simile, quando il mio povero fratello sarà storpiato per sempre? Quando lo intaccheranno nella carne, lo priveranno della sua integrità? Capisco che mamma cerchi di rassicurarmi, ma ci sono circostanze che esigono lucidità e verità. Ignoro come si sia svolto l'incontro tra lei e Arthur. Non una parola, a questo proposito, nel suo telegramma, non la minima allusione. Nessun calore, nessuna emozione. Fatti, soltanto fatti, dettagli materiali. E, alla fine, questa domanda: «Come vanno le cose alla fattoria?» Se questo è il tono che ha adottato con lui, dubito che l'incontro sia stato pieno di tenerezza e di affetto. Arthur si è sempre lamentato amaramente della sorveglianza poliziesca esercitata da mother, come la chiamava lui, della sua presenza possessiva e del suo rifiuto di ogni effusione. Gli anni potrebbero aver addolcito la sua amarezza. Forse adesso la giudica con altri occhi. Forse capisce meglio i suoi oneri, le sue responsabilità, anche la sua solitudine. Sarei già soddisfatta se quei due non si detestassero. Martedì 26 maggio Preferirei essere a Marsiglia anziché qui, al suo fianco anziché sola, preferirei stringere la sua mano anziché scrutare il vuoto. Vorrei essere accanto a lui nel momento in cui gli infermieri andranno a prenderlo, quando la barella lo porterà via. Sono sicura che saprei trovare i gesti, le parole, i silenzi, gli sguardi. Quanto a mamma, non potrà esimersi dal mantenere quell'espressione severa, distaccata, impassibile. Non che non provi niente, ma si è sempre vietata di lasciarsi andare. Scommetto che Arthur non rifiuterebbe un po' di compassione nonostante il suo orgoglio, un po' di tenerezza nonostante la sua rudezza, un po' di cuore nonostante la sua apparente insensibilità. Insomma, i suoi difetti sono quelli che lui rimprovera a nostra madre. Farebbe bene ad abbandonarsi a sua volta, a mostrare la sua paura, se ne ha, dato che di questo non c'è da vergognarsi. Gli farebbe bene, e non è infamante implorare misericordia: Dio in persona la concede. Si, vorrei essere lì nel momento in cui partirà per quel viaggio da cui tornerà del tutto diverso. Dovrei accontentarmi dei mattoni e del 10

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