Enzo Melandri I generi letterari e la loro origine Prefazione di Giorgio Agamben Q)lodlibet -t Al di là dei generi letterari di Giorgio Agamben l generi letterarie la loro origine è stato pubblicato in «Lingua e stile», xv, 1980, ), pp. 391-43 1. La presente edizione ne riproduce fedelmente il testo. © 2014 Quodlibet srl Macerata, via Santa Maria della Porta, 43 www.quodlibet.it Questo breve capolavoro, pubblicato dodici anni dopo La linea e il circolo( 1968), offre un'occasione privilegiata per comprendere il funzionamento di quella cosa mirabile quanto enigmatica che era ed è - se l'intelletto, come suggeriva Averroè, è in sé unico ed eterno - la mente che diciamo di Enzo Melandri. Come nel libro maggiore (usiamo qui il termine in senso esclusivamente quantitativo), anche qui una singolarità mortale ed effimera ha impresso sull'im mortalità del pensiero -col quale, secondo il teorema averroista, si è momentaneamente congiunto o ha co abitato durante la sua fugace esistenza - un segno in confondibile. La mente, in questo senso, non è il tito~ lare del pensiero, ma soltanto una su~.m odalità,. essa non ha natura sostantivale, ma pìutt'osto avverbiale, come la lingua ha inteso perfettamente servendosi del termine «mente» per formare gli avverbi (d olce-men te;lieta-mente, severa-mente). Il lettore di La linea e il circolor iconoscerà, così, a prima vista quello specialissimo stile melandriano che si presenta come impervio per ragioni opposte a quelle che spingevano Benjamin a definire «spigoloso» lo sti- IO · GIORGIO AGAMBEN AL DI LÀ DEI GENERI LEITERARI le di Heidegger: mentre questi enfatizza ogni volta le p. 48) la prima identificazione di «tre generi di poesia e difficoltà come se temesse di urtarsi a degli spigoli, la di racconto», uno puramente mimetico (la tragedia e la sprezzatura di Melandri sembra dare per scontato ciò commedia), un secondo in cui è il poeta stesso a parla che smentisce ogni aspettativa e per evidente ciò che re· (il ditirambo e la lirica) e un terzo che è un misto dei contraddice tutte le rappresentazioni comuni. Di qui primi due (l'epica) (p. 3I ). Il carattere determinante re-. le ambagi in cui rimane impigliato il lettore che deve sta, però, secondo Melandri, la mimesi.s:m algrado l'ec ogni volta ricostruire per suo conto ciò che l'autore si cezione della lirica (che per Croce era invecè il para limita a suggerire; di qui, anche, l'utilità di un viatico digma dominante), il rapporto fra linguaggio poetico che, come questa avvertenza, intenda orientare il letto (per un greco dell'età classica, la forma originaria del re nel labirinto in cui Melandri si è divertito .ai rretirlo. linguaggio: l'epos omerico)e il mondo è essenzialmen te imitativo. Riprendendo e generalizzando la tesi del Innanzitutto l'argomento, apparentemente estra suo maestro, Aristotele farà della mimesi il carattere neo alla problematica filosofica: i generi letterari. Dopo definitorio della poesia e delle arti; ma alla mimesi egli le prime pagine, in cui Melandri fa sbrigativamente i sovrappone una «nuova teoria della conoscenza», che conti con la famigerata liquid~zione crociana dei ge Melandri definisce «isomorfismo», fondata sulla cor neri, l'argomento sembra inspiegabilmente messo da rispondenza f~a le parole, i concetti e le cose. L'a llusio parte per lasciare il posto a questioni di filosofia pri ne è qui, anche se Melandri non lo cita espressamente, ma, come quella, in ogni senso cruciale, del rappor al trattato Sull'interpretazione (Peri hermeneias), in to fra linguaggio e mondo. Uno sguardo più attento cui Aristotele ha fondato la logica e l'ontologia occi al titolo fornisce la soluzione del piccolo enigma: «I dentale legando insieme nel linguaggio i vocaboli (ta generi letterari e la loro origine». È solo la seconda ente phone), le impressioni nell'anima (ta pathemata parte che Melandri ha inteso trattare: ·non quanti e en te psyche) e le cose (pragmata ). «Si .,i.ratta» precisa che cosa siano i generi letterari e quali relazioni in Melandri «di una teoria strutturale, in,cì/i non conta la trattengano fra di loro, ma perché vi sono dei generi differenza qualitativa del campo - psichico, linguisti letterari; non una questione, pur importante, di storia co, cosale - ma è rilevante solo ·1a corrispondenza tra i della letteratura, dunque, ma un problema genuina rispettivi "nodi"» (pp. 36-37). Decisivo è, cioè, che sia mente filosofico. assicurato il nesso significante fra le.parole, i concetti Del resto Melandri non ha difficoltà a restituire a e le cose, in modo che sia sempre possibile identificare ·.Platone (a un Platone presocratico, incline alla medi: l'ente che viene così conosciuto e significato attraverso cina e alla retorica più che all'etica e alla geometria - il linguaggio. 12 GIORGIO AGAMBEN AL DI LÀ DEI GENERI LEl,ERAR! Sovrapponendo in questo modo alla lingua come nel chiasma ontologico, Melandri aveva trascritto un facoltà essenzialmente mimetica (del resto Aristotele assioma centrale del Tractatus di Wittgenstein ( «gli definisce i concetti omoiomatà, «similitudini» delle, oggetti posso solo nominarli ... posso solo dirne, non cose) un paradigma logico-conoscitivo, Aristotele ha dirli»), qui egli riformula la fondamentale dicoto reso possibile la scienza, ma, insieme, ha condannato mia wittgensteiniana fra esprimere e dire: «Ciò che l'uomo parlante a un'aporia irriducibile. si esprime nel (in der) linguaggio, noi non possiamo esprimerlo attraverso di esso (durch sie)» (4.uI). Ma È questa aporia che diventa il tema essenziale del la radice dell'aporia è nella radicale eterogepeità fra saggio. Essa occupa qui la stessa posizione centrale l'elemento mimetico e l'elemento logico-condscitivo che ne La linea e il circolo spettava a quella frat del linguaggio. Ciò che il linguaggio non può dire è tura del linguaggio in nomi e discorso, semantica la natura mimetica del suo rapporto col mondo, che nominale e semantica proposizionale che Melandri corrisponde del resto, contro il primato del paradig~ chiama .«chiasma ontologico». Si tratta, se si vuo ma gnoseologico nella nostra cultura, al fatto che il le, di una nuova formulazione della stessa aporia. rapporto tra uomo e natura è in ultima analisi «mi Come l'impossibilità di far coincidere o anche sol metico e tecnico» e non «conoscitivo» (p. 53 ). tanto articolare insieme i due piani del linguaggio comprometteva, nel libro maggiore, la stessa rela Abbiamo qui sorvolato sulle folgoranti letture di zione ontologica fra le parole è le cose, così l'impos Platone _e Vico, di Benjamin e Hertz attraverso cui sibilità di conciliare mimesi e conoscenza, elemento Melandri argomenta la sua tesi. Non può non sor pragmatico-mimetico e elemento logico-speculativo prendere, tuttavia, che, dopo aver enunciato il suo del linguaggio si traduce qui nella frattura fra espri teorema, egli concluda bruscamente il saggio senza mere e dire, cioè nell'impossibilità per il linguaggio tornare al problema del generi. La domanda sull'ori di dire il proprio rapporto col mondo. «Resta il fatto gine dei generi letterari annunciata dal-titolo sembra che il linguaggio, attraverso l'anima, può dire di tutto così restare inevasa. È probabile, però, che Melandri ciò che esiste al mondo e in questo senso esprimerei l ritenesse che la risposta fosse implicitamente. conte mondo, però non può dire il suo rapporto con quel nuta nell'assunto conclusivo e che lasciasse.at'lettore totale che pure, bene o.male, esprime» (p. 38 ). O, nella il compito di esplicitarla. Cercheremo, pertanto, a formulazione più pregnante del teorema che conclude nostro rischio e pericolo, di provarci a enunciare ciò il saggio: «il linguaggio esprime il mondo, ma non può che l'autore ha preferito lasciare non-detto. dire il rapporto che ha col mondo» (p. 78). E come, 14 GIORGIO AGAMBEN H linguaggio - così recita, abbiamo visto, il teorema melandriano - può dire il mondo, ma non il suo rap porto col mondo. La relazione fra l'uomo e il mondo è, cioè, mediata dal linguaggio, ma in modo tale, che pro prio q1.1ellrae lazione resta non dicibile né detta. Di qui il senso e la necessità dei generi letterari: essi esprimo no, ciascuno a suo modo, l'impossibilità del linguaggio di venire a capo del suo rapporto col mondo. I generi letterari sono, cioè, il sigillo che l'esperienza dei pro pri limiti segna sul linguaggio: tragicamente (il pianto I generi letterari e la loro origine sull'impossibilità di dire), comicamente (l'impossibi lità di clire come riso), elegiacamente (il lamento sulla parola), innicamente (la celebrazione del nome), liri camente (il canto: io non posso dire ciò che, parlando, vorrei dire), epicamente (la memoria delle azioni che si perdono al di là del pianto e del riso). Per questo la filosofia, che vuole venire a capo dei limiti del linguaggio, non può non confrontarsi con i generi letterari che ne segnano la soglia. Essa è la «mu sica suprema» (Phaed., 61 a) e quasi «la musa stessa» (Resp.,V I, 499 d), il genere dei generi che viene a capo della loro irriducibile partizione. E per questo il Sim posios i chiude con l'immagine di Socrate che, seduto fra Agatone e Aristofane, suggerisce a entrambi che la stessa persona deve saper comporre commedie e trage die e che chi è poeta tragico è, per arte, anche comico. Quantunquec ategoria del tutto storiC,,a l'origine non ha nulla in comune con la genesi. L'origine non comprendei l divenire di quanto è nato, ma piuttosto sottintende qualcosa di sorgivo nel suo cresceree appassire.L 'origines ta come un verti~ ce ne1 flusso del divenire e trascinac ol ritmo suo proprio il materialeg enetico. WalterB enjamin 1925. o. È nota l'avversione di Croce per i «generi let terari». La loro utilità pratica è nulla; quella critica, oltre che inutile, è forviante. Essi non sono predicati, né tanto meno categorie del giudizio estetico. L'in terdizione vale anche al di là della letteratura: la stessa divisione delle arti in poesia, musica, pittura, & c., concerne solo i materiali dell'espressione, le regole pratiche del loro uso, e quindi non ha che un valore «tecnico», nel senso basso e artigianale del termine. La polemica è motivata con due ragioni. La pri ma è l'esigenza di un'autonomia-del giudizio estetico, ciò che ne richiede un fondamento intuitivo, sebbene non per questo immediato o direttamente «di ·gusto». 18 I GENERI LETTERARI E L_A LORO ORIGINE · I GENERI LETI'ERARI E LA LORO ORIGINE L'intuizione di cui si tratta non è infatti «empirica» La prima ragione quindi va bene, ma sol perché in ma «pura», tal che per distill.arne l'essenza deve per fondo è tautologica. La seconda è, all'incontro, ben l'appunto soccorrere l'intero stabilimento dell' esteti più interessante; e questo perché è in ultima anali ca, ove con ciò s'intenda la «scienia dell'espressione e si arbitraria, opzionale e perciò discutibile. A Cro linguistica generale». Questa terminologia ci è ormai ce doveva verosimilmente presentarsi come legata a estranea, più ancora che desueta; ma sì tratta di un far.o/ doppio filo con la prima, mentre per noi il nesso·si to lessicale che di per sé non ha molta importanza. Una è abbastanza assottigliato, per non dir proprio liso. volta superato questo inconveniente, non è difficile E il motivo è che, a parte il suo esser fonte del giu condividere nel merito la motivazione di Croce; tanto dizio estetico, l' «intuizione pura» si manifesta «so più, ove si tenga in debito conto il contesto tardo-po stanzialmente» sotto le specie di «espressione lirica». sitivistico con cui egli polemizza: come dire, le tappe Dunque la seconda ragione privilegia direttamente il dell'evoluzione, gli stadi progressivi dell'umanità e in momento detto lirico in sede di espressione, ma che definitiva.la giustificazione funzionalistica di ogni svi vale altresì quale origine dell'iptuizione, anch'es luppo modologico, tra cui non per ultimo quello dei sa detta lirica pur in funzione di primum movens; e generi letterari. E più che giusto pare tuttora consen quindi, al di là dell'intuizione già data come espressa, tire al suo ammonimento, per cui cercare di fondare comunicata e compresa, il momento lirico si fa in ter un'estetica «col raccogliere in classi i fatti estetici e in za istanza fondamento della critica estetica. Questa durne le leggi» sarebbe una speranza mal riposta. Non sua triplice stratificazione (intuizione, espressione, c'è qui difficoltà alcuna a esser d'accordo sul principio. giudizio) indurrebbe da sola a fare di un'estetica liri Se c'è un'estetica, il suo criterio dev'essere autonomo cizzante una gnoseologia per suo conto, o addirittura sia nei confronti delle generalizzazioni empiriche, sia una particolare concezione del mondo. La situazione delle precettistiche, o imposizioni normative. Ora, pur vien complicata piuttosto che chiarita se si parte da consenténdo in ciò, i nostri investimenti a pro di una un tale postulato. Però Croce non si perita di affron siffatta scienza si sono nel frattempo diradati ·per sem tarla mettendo in corto circuito almeno due dei tre plice effetto economico di «legge delle rese decreséen livelli col binomio «intuizione ed espressione», da ul ti». Di fatto, l'autonomia del giudizio estetico già' con timo collassante in imperscrutabili endiadi anche per Croce tendeva a restringersi, quasi per dispetto, sul parte del critico. frammento esemplare. Ma noi non sapremmo esser Troviamo qui le nostre prime resistenze. Che sia tanto autolesionisti, da salvar l'estetica anche a costo fatica convertire un'intuizione in espressione gene di riserbarle il dominio di una classe vuota. ralmente intelligibile (s'intende, da parte del pubbli- 20 I GENERI LETTERARI E LA LORO ORIGINE I GENERI LETTERARI E LA LORO ORIGINE 21 co al quale intendiamo rivolgerci) è un fatto. Si con non si può mai sapere a che cosa in particolare. Cro sidera ripagata la·fatica quapdo uno, finalmente, ha ce parte da quest'ultima accezione, quella generale o l'impressione d'essersi fatto capire. Ma non si è mai trascendentale. «La lirica non è effusione», egli dice; e compresi perfettamente; forse perché nessuno è così su.questo understatement siamo tutti d'accordo . Ma del tutto in chiaro con se stesso, da non lasciar àdito poi passa di colpo dalla litote all'iperbole, pretenden a delle ipotesi circa quel che avrebbe voluto o magMi do senza scampo alcuno, salvo la resa incondiziona anche, ben peggio, dovuto dire. Ora tutto questo sarà ta, che la «lirica» sia «essa stessa oggettivazione, per sì «empirico», ma non per ciò stesso così perentoria la quale l'io vede se stesso in spettacolo e si narra e si mente indegno di una qualche riflessione. Non vo drammatizza» . La conclusione diventa, come preve gliamo però entrare in merito. Rileveremo piuttosto dibile, un massacro: dato che «questo spirito lirico come neppure in Croce l' a priori lirico sia univoca forma la poesia dell'epos e del dramma», gli altri due mente dete.rminato, come invece richiesto dall'equi generi non si distinguono dal primo, cioè dal lirico, valenza di intuizione ed espressione, da un lato, e di «se non in cose estrinseche» (Croce 1928). tutto questo e la critica, dall'altro. La nozione stessa In questo non ben controllabile gioco di equiva di «lirica» si basa su un equivoco, ed è questa equi lenze sghembe, a effetto, che fa della lirica il sinonimo vocazione che ne rende indistinguibili a prima vista obbligato, non però il reciproco, di poesia, si determi i diversi usi, i quali, per dirla in breve, si riassumono na uri procedimento riduzionistico a senso unico. L'e in due poli opposti: quello empirico e quello trascen quivalenza intesa in senso generico, o trascendentale, dentale. Per un verso, il genere lirico si caratterizza rende comprensibile I' altrimenti stupefacente giudizio come tale per contrasto con il suo opposto, il genere per cui il Macbeth o, ecceterando, l'Antonio e Cleopa epico più quello drammatico e varie altre còntami tra sarebbero «sostanzialmente • nient'altro che «una nazioni; e allora la stessa discriminabilità lo fa com lirica in cui i personaggi e le scene rappresentano i vari prendere empiricamente. Ma per l'altro verso, esso toni e le consecutive strofe» (ibid.). - Ma forse che, di riassume in sé gli altri generi in quanto forme difetti ciamo noi, si potrebbe capire Shakespeare senza saper ve, o commiste a esigenze estranee aWestetica, come d'inglese, ·almeno quanto basta per seguire sul testo a l'etica, la politica, o in generale l'intento didascalico; fronte uno show dell'Old Vie?- No; qui la negazione ma in tal caso non li riassume più come genere, giac di Croce sarebbe recisa. E la stessa credo sarebbe nel ché la sua stessa assolutezza lo rende senza contrasto caso di un italiano che si fosse limitato a leggere il tea in sede empirica, e così diventa un termine «trascen tro di Pirandello (per citare uno dei teatri più «scritti») dentale»: un attributo che si applica a tutto, anche se e pretendesse di capirlo senza la sia pur minima tradi- 22 I GENERI LETI.l!RARI E LA LOR'? ORIGINE I GENERI LETTERARI E LA LORO ORIGINE 23 zione rappresentativa. Ma poi forse Croce soggiunge en passant) che l'argomentazione di Croce - e forse rebbe che nemmeno la lirica ·di Salvatore di Giacomo con ciò ha di mira, ma a noi non importa, i suoi soli si può intendere completamente senza l'ausilio dello dali d'oltralpe - presenta almeno due fallacie. Una è scenario partenopeo. - Con la regressione nel generi la mancata storicizzazione dei generi, ovvero il com co e/ o trascendentale,. che fa nostra adesione di J>rin puto della relativa inefficacia di ciò che si rimprovera cipio rende legittima, la polemica tenderebbe di pdr sé loro, nel confronto coi tempi e le situazioni di cultura. a stabilizzarsi in una inconcludente, defatigante guer Questo per noi italiani appare senz'altro ovvio, salvo ra di posizione. Tuttavfa crescerebbe in noi l'antitesi, doversi accorgere che non ne abbiamo colto fino in rafforzandone certe motivazioni fino a persuaderci a fondo certe implicazioni. La seconda invece sta in un praticare una diversa strategia d'attacco. penetrante appunto rivolto a chiunque voglia opporsi Anzitutto, l'esame del disegno di Croce. Se lo sco al genere, quasi questo fosse in rebus, e nel far ciò non po era quello, comechessia, d'interdire il duplice nefa s'accorgesse di quanto futile sia, partendo da siffatte sto influsso dei generi, sull'ispirazione poetica e sulla premesse, cercar di cogliere l'individuale per mezzo sua sistemazione critica, si pongono allora alcune non di uno straordinario concorso di differenze specifiche impertinenti domande. - Non sarebbe stato più sem mirate su di esso. È l'obiezione di «cattivo nomina plice, nonché storicamente più comprensibile, pigliar lismo». La quale vien rivolta, indipendentemente da le mosse da quella sorta di genere misto o di commi Croce, a chi nemmeno sospetta come, per render in stione, ariche se ben controllata, degli stili, che nelle telligibile ]'individuale nella sua haecceitas( Scoto) e varie forme del «comico serio» caratterizza, in con hoccitas( Leibniz), si richieda tutt'altro procedimento trasto con la lirica da Petrarca a Mallarmé, ·l'epos e le d'individuazione che la «dialettica dei distinti» o del sue tante implicazioni drammatiche da Dante a Zola? le differenze: anche se tale, forse, da non esser stato (Auerbach 1946) -. Oppure, in termini più accessibili fin qui ben definito. E questo mette in luce la radicale da parte di una scienza dell'espressione, o linguistica divergenza che si dà tra il giudizio classificatorio da generale: perché mai l' «unilinguismo» petrarchesco, la un lato, non importa quanto tendente al particolare .e musica dall'intonazione uniformata al lirico, dovrebbe specifico, piuttosto che all'universale e generico, e il di per sé prevalere, poeticamente e metaletterariamen giudizio individuale dall'altro, che invece si.avvale del te, sul «plurilinguismo» dantesco dalle molte muse, tra «tipico» per pervenire all'individuazione del singolare cui eminenti la drammatica e l'epica? (Contini 1951). (Benjamin 1928). Nel suo saggio sulle origini del teatro tragico tede Croce registra con soddisfazione il fatto che la cri sco, Benjamin tra l'altro ci avverte (benché non solo tica letteraria del XIX secolo (e qui forse egli ha in·