BIBLIOTECA DEL PIEMONTE ORIENTALE diretta da Giovanni Tesio e Giuseppe Zaccaria 28 Nino Bazzetta de Vemenia I CAFFÈ STORICI D’ITALIA DA TORINO A NAPOLI FIGURE, AMBIENTI, ANEDDOTI, EPIGRAMMI CON ILLUSTRAZIONI E RITRATTI presentazione di Stefano Giannini iinntteerrlliinneeaa eeddiizziioonnii La collana “Biblioteca del Piemonte Orientale” è promossa dall’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” e dalla Regione Piemonte © Novara 2010 interlinea srl edizioni via Pietro Micca 24, 28100 Novara, tel. 0321 612571 [email protected], www.interlinea.com Stampato da Italgrafica, Novara ISBN 978-88-8212-720-6 Prima edizione: Ceschina, Milano 1939 In copertina: Irving Penn, Gruppo al Caffè Greco di Roma, New York, collezione dell’autore PRESENTAZIONE Considerato in alternativa alla più ambigua taverna, il caffè ha sempre goduto di buona fama e ampio successo. Se per la ta- verna l’immagine prevalente è legata soprattutto al consumo di alcol (uno svantaggio per la civile conversazione e per la conduzione degli affari), al caffè si poteva consumare una be- vanda che, secondo l’Usbek delle Lettere persiane di Monte- squieu «dà spirito a chi lo beve: almeno, tra tutti quelli che ne escono non c’è nessuno che non creda di averne quattro volte di più di quando c’era entrato». Non si sa quanto alto fosse il quoziente di ironia della perentoria affermazione della lettera, ma è evidente che la bevanda caffè si avvantaggiava già da al- lora di una nomea per lo più positiva, presto trasferitasi al lo- cale nel quale si serviva. Fin dall’apertura dei primi locali nel tardo Seicento, il caffè è stato il luogo tradizionalmente privi- legiato dagli individui in cerca di uno spazio pulito nel quale passare il tempo tra buona conversazione, buone letture e ci- vile confronto di idee. Se per Joseph Addison si trattava di uno dei luoghi deputati (con i club e le sale da tè) alla libera- zione della filosofia dal chiuso delle biblioteche e delle scuole, per il Goldoni della Bottega del Caffèrappresentava lo spazio che la piccola e media borghesia, esclusa dai salons, aveva scel- to per mostrarsi sana e intraprendente. Immagini idealizzate, senza dubbio, ma non lontane dal vero se si pensa alla cliente- la settoriale che il caffè riesce a conquistarsi col passare del tempo. Come si leggeva in un numero della britannica “Na- tional Review”, un periodico di metà Ottocento, a proposito dei caffè londinesi: Ogni professione, corporazione artigiana, classe, partito aveva il suo caffè preferito. I giuristi discutevano di diritto, criticavano l’ultimo caso o si raccontavano le ultime “ghiottonerie di Westminster” da Nando’s o al Grecian, nei dintorni del Temple… Gli uomini della City si incontra- 5 vano da Garraway’s o da Jonathan’s per discutere l’ascesa e la caduta delle azioni e verificare lo stato dei premi di assicurazione. Gli ecclesia- stici si scambiavano pettegolezzi universitari o si pronunciavano sull’ul- tima predica del Dr. Sacheverell da Truby’s o al Child’s. I soldati si riu- nivano per le loro lamentele all’Old o al Young Man’s nei pressi di Cha- ring Cross. E così via per altre categorie: i politici whig e tories, gli at- tori, gli artisti, i dandies, i commercianti, i diplomatici, i ban- chieri, i filantropi. Allo stesso modo, osserverà Nino Bazzetta de Vemenia, a Venezia i patrizi frequentavano in prevalenza i caffè del ponte dell’Angelo e delle Rive a San Moisè; i lettera- ti quello di Menegazzo, i segretari quello omonimo a San Giu- liano, i procuratori di San Marco quello della Nave in calle lar- ga San Marco. L’atmosfera tollerante ha ben presto attirato personaggi anche fuori dagli schemi, compresi nottambuli e flâneurs. La civile conversazione non escludeva la battuta ful- minante, o l’insulto in guanto di velluto. Ma l’aurea di spazio democratico, non in contrasto anzi incoraggiata da una clien- tela a volte irregolare, ha sempre guidato lo spirito originale del caffè, spesso indicato da nomi come quello del Caffè del- l’Amicizia di Novara, che un tempo, ricorda Bazzetta, si chia- mava Caffè dell’Uguaglianza. In anni di rinnovato apprezzamento per locali in grado di proporre atmosfere stimolanti, rileggere il viaggio di Bazzetta tra i tanti caffè che punteggiavano il panorama della penisola (e del Ticino) alla fine degli anni trenta è salutare fonte di ispi- razione. Dopo un breve profilo storico iniziale in cui, ancora una volta, appare chiara l’impossibilità di precisare le coordi- nate cronologico-spaziali sia del caffè sia del locale che da es- so prende il nome (la bevanda arrivò quasi sicuramente dal vi- cino Oriente, forse dalla penisola arabica, ma quando si può parlare di nascita del caffè come locale in Europa? Nel 1640? Nel 1679? A quale città spetta il primato? Venezia o Torino? Londra o Parigi?), Bazzetta accompagna con scrittura elegan- te e divertita il lettore nelle decine e decine di caffè storici e letterari ancora esistenti nei suoi anni e rivisita le memorie dei tanti già scomparsi. Quando nel 1939 uscì questo volume sui caffè, il suo auto- re, nato a Novara nel 1880, aveva già alle sue spalle una lunga carriera di giornalista di costume, polemista, storico ed erudi- 6 to, con un seguito di ammiratori e nemici che il suo interesse per il pettegolezzo e l’attualità salottiera gli avevano procura- to. È proprio questo suo fiuto da segugio per il particolare in- teressante e curioso, elegantemente mescidato con l’erudizio- ne e l’amore per quello spazio di incontri che è il caffè che ren- de I caffè storici d’Italia un testo capace di rinnovare ancora oggi l’attenzione dei lettori. Accanto all’amore per il caffè, vi- sibilissimo nelle pagine cariche di affetto che Bazzetta gli de- dica, si può individuare una inclinazione al dato antropologico che ben risponde ai nostri contemporanei interessi per le at- mosfera d’antan di un mondo in cui l’informazione era pro- dotta e circolava in maniera più ridotta e controllabile, in cui le dispute letterarie potevano sfociare in duelli, in cui l’abilità retorica (compreso il saper dire onestamente villanie di boc- cacciana memoria) definiva la persona e ne poteva sancire la posizione tra i membri di quella società. Il passo tra il parlare arguto e il dato letterario è breve in Bazzetta. Infatti l’autore aggiunge alle sue pagine quella sensi- bilità per la letteratura a cui in Italia il caffè è stato sempre as- sociato. Nella tradizione italiana, infatti, il caffè è soprattutto uno spazio al cui centro stanno la lettura, la discussione e l’e- laborazione di idee. È il ritrovo che ispirò il “Caffè” di Verri, la cui influenza prevalse, nelle ricerche e rievocazioni lettera- rie, sull’aspetto forse più robusto ma meno visibile, di spazio economico e di interazione pratica quotidiana che caratterizzò il caffè, per esempio, della Bottegagoldoniana. Se lo stimolo di Goldoni non ricevette lo sperato seguito, anche l’immagine del caffè come accademia fuori dall’accademia (già avanzata in Inghilterra da Addison) è riduttiva e imprecisa. Dopotutto, nei caffè ottocenteschi l’atmosfera sembra più incline a pro- muovere intendimenti di traffici illeciti, o all’opposto nobili ri- chiami al patriottismo, come quando nel febbraio del ’48 il Caffè Pedrocchi di Padova fu teatro di sanguinose lotte contro le truppe occupanti di Vienna. Più forte, nelle pagine di Baz- zetta, è senz’altro l’idea di palestra retorica in cui esercitare l’intelligenza pronta – «aristocrazia dell’ingegno» per Bazzetta – che attraversa e sconvolge l’immobilità plumbea delle classi sociali. Questo aspetto della dimensione dei caffè è colto da Baz- zetta grazie a una attenzione felice e efficace agli epigrammi. 7 Genere solo quantitativamente minore nel panorama lettera- rio italiano, l’epigramma è scelto e generosamente antologiz- zato dall’autore che – si capisce, per indole polemica e abitu- dine all’osservazione del particolare – lo predilige e lo coltiva con abilità. Sono memorabili quelli che Antonio Baratta (per Bazzetta il vero «sovrano dell’epigramma») componeva nei suoi lunghi soggiorni nei torinesi Caffè Calosso, Biffo, Florio. La sua penna era elegantissima e affilata. Preziosa la risposta di Baratta alla volgarità di chi lo prevedeva, lui in condizioni di miseria, prossimo ministro delle finanze: Ministro di Finanza nominato per mostrar quanto loro sono grato, per cortese favor di certi tali, abolisco la tassa sui maiali. Le pagine di Bazzetta sono ideali per ospitare i numerosi epigrammi di letterati famosi o dimenticati, di personaggi da caffè la cui memoria oggi vive solo grazie a lui. Sono versi a volte già pubblicati, spesso ricordati e trascritti per la prima volta, che colgono una situazione, che pungono e che danno la cifra di un’atmosfera non sguaiata, intelligentemente control- lata ma non per questo innocua. Coerente con la misura rapi- da e scattante dell’epigramma, aspetto notevole del volume è lo stile brillante di scrittura con cui l’autore affronta quello che potrebbe diventare un elenco debole e tutto sommato noioso di nomi. Infatti, se il suo lungo elenco di caffè inizial- mente minaccia il sopore anagrafico, i brevi commenti dedica- ti ai tantissimi caffè che da Torino, attraverso la sua Novara, i laghi, il Ticino, l’amata Pavia, poi Milano, il Veneto tutto e poi a capofitto verso Bologna, Firenze, Roma e infine Napoli, sono esempi di scrittura vivace, di concisione variata – che non tralascia l’inserto dialettale –, il cui ritmo coinvolge il let- tore, città dopo città, alla scoperta d’un mondo che si ha l’illu- sione di poter ritrovare. Nel testo tuttavia mancano riferimen- ti al clima politico contemporaneo a Bazzetta. Quando il suo libro è pubblicato siamo nel 1939, anno XVII dell’era fascista come lugubremente ricorda il frontespizio dell’edizione Ce- schina. Bazzetta, prudentemente, non s’avvicina al dibattito politico, forse avendo in mente il “qui non si fa politica” che il regime aveva imposto come limite alla discussione nei locali 8 pubblici. Mantiene una linea di impegno indiretto in cui il di- leggio politico verso l’autorità (sempre limitato) è riservato a personaggi del passato. Più frequente è il dileggio per motivi di costume, di abitudini, di comportamenti pubblici di perso- naggi conosciuti come Carducci, o i fratelli Cantù, o altri che «ebbero dal tempo devastata la fama» ma che Bazzetta ripor- ta tra i lettori. Bazzetta ama l’erudizione e ci spiega il perché dell’espres- sione «figura da cioccolattiere», del potere del bicerin, raccon- ta di bevande oramai scomparse come lo “scottum”. Si diver- te a riportare embrioni di storie, burle, battute, come la nasci- ta della tassa sulle «frottole più grosse» istituita al Caffè Arena di Bologna, preclaro esempio di convegno di “spacciatori di storielle”; o osservare come al fiorentino Michelangiolo si riu- nisse un cenacolo di artisti «che non avevano da cenare»; o co- me, di fronte all’imperversare dello scandalo della Banca Ro- mana, Riccardo Selvatico, figura conosciuta nei caffè delle Procuratie veneziane, ottenuto il titolo di commendatore, fece stampare un biglietto da visita che leggeva: «Riccardo Selvati- co, commendatore a piede libero». Già in grado di avvertire l’avvicinarsi inesorabile dei bar, indice affidabile dei cambiamenti di ritmo della modernità, Bazzetta nota la resistenza dei caffè nella provincia italiana. Sarà Piero Chiara, scrittore geograficamente vicino a Bazzetta, a cogliere saldamente questo motivo. Chiara ha ricreato quegli spazi famigliari (a lui come a Bazzetta) all’interno dei caffè di provincia che tanto spesso ha descritto nei suoi racconti e nei suoi romanzi. È un’atmosfera forse decadente e gioiosamente fannullona, ma che ci avverte del necessario distacco che biso- gna mantenere dai fatti della vita, seguendo una massima che si potrebbe identificare così: non prendersi mai troppo sul se- rio. Oppure: riservare lo sdegno e la protesta ai momenti ve- ramente delicati, consapevoli che gli innumerevoli fatti della vita sono molto spesso meno seri di quel che pare a prima vi- sta. Ironia prima di tutto, come quella che anima le pagine di Bazzetta. Resta l’immagine di un locale che è stato una parte di sto- ria d’Italia, di un luogo della memoria con cui confrontarci. Il caffè, ci ricorda Bazzetta, è crogiuolo di idee, una fonte di di- scussioni e dibattiti civili, di elaborazione di storie da raccon- 9