i Bambini e la Filosofia Nicola Zippel Indice par pag Introduzione 7 1.0. La Philasophy for Children 9 1.1. La proposta di Matthew Lipman 9 1.2. II manuale 13 1.3. L'insegnante come formatore 19 1.4. La comunità di ricerca 23 2.0. Storia e teoria della P4C 27 2.1. Il contesto storico e teorico della P4C 27 2.2. Pedagogia e democrazia 32 2.3. Il diritto dei bambini alla filosofia 35 3.0. Una proposta alternativa alla P4C 41 3.1. Una filosofia solo per bambini 41 3.2. Quale idea della filosofia? L'eredità platonica 42 3.3. Come insegnare la filosofia? L'eredità di Russell 45 3.4. Ragionamento filosofico e prospettiva storica 49 4.0. La filosofia si dice in molti modi 59 4.1. Insegnante o facilitatore? 59 4.2. Non solo logos 62 4.3. Una filosofia soltanto nostra? 66 4.4. L'orizzonte storico e geografico della filosofia 70 5.0. L'alba della meraviglia I. La filosofia greca 77 5.1. I sapienti e i bambini 77 5.2. All'inizio 80 5.3. Dall'elemento naturale all'essere 84 5.4. Dentro la caverna 88 5.5. Oltre l'elemento 94 5.6. Il mago dei numeri 95 5.7. Il potere della parola 99 5.8. Fuori dalla caverna 102 6.0. L'alba della meraviglia II. La filosofia cinese 105 6.1. Passaggio a Oriente 105 6.2. Chi è il saggio? 106 6.3. Saggezza è sensibilità 109 6.4. Dentro la Via 114 6.5. Saggi come bambini 118 6.6. Vivere nel vuoto 123 Appendici 129 1. Giochi filosofici 131 2. Quale filosofo, quale elemento? 135 3. La mia autobiografia confuciana 137 Bibliografia 139 Introduzione Sono molti anni, ormai, che la filosofia viene insegnata nelle scuole elementari, in Italia e nel mondo. Nata a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento negli Stati Uniti, la filosofia con i bambini si è andata diffondendo prima in ambito anglosassone e poi, nel passaggio di secolo, anche in diverse realtà europee. Pur nelle differenze di ogni singola esperienza, il riferimento alla Philosapby for Children e al suo fondatore Matthew Lipman accomuna gran parte delle pratiche filosofiche rivolte ai bambini. A un'analisi delle radici storiche e teoriche del progetto educativo di Lipman sono dedicati i cap. 1 e 2, del volume. "L'alba della meraviglia", il laboratorio che da più di dieci anni svolgo in varie scuole romane, e in particolare nel VII Circolo Montessori, si basa su un'idea alternativa di didattica filosofica rispetto a quella elaborata da Lipman e proseguita dai suoi allievi e sostenitori. Le ragioni di questa diversità sono spiegate nei cap. 3 e 4; esse sono principalmente due: 1. L'importanza riservata alla dimensione Storica e geografica delle idee filosofiche, in cui inquadrare la discussione in classe con i bambini; 2. La critica della visione eurocentrica della filosofia unita all'apertura di un orizzonte interculturale per la didattica filosofica con i bambini. In breve, i cap. 1-4 espongono lo sfondo storico e la base teorica della nostra esperienza didattica di filosofia con i bambini. I cap. 5 e 6 sono dedicati alla descrizione di quello che succede in classe durante le ore di lezione con i bambini. Ai momenti più importanti del laboratorio sono dedicati i riquadri disseminati nei capitoli, che riproducono, in forma narrativa e con il linguaggio con cui mi rivolgo ai bambini, i passaggi fondamentali delle lezioni. Il volume si chiude con tre Appendici. La prima descrive i giochi che concludono il secondo e il terzo anno del laboratorio e sono dedicati rispettivamente alla filosofia greca e cinese. Le altre due riproducono alcuni scritti dei bambini, raccolti dalle insegnanti nelle ore che ognuna di loro ha scelto di riservare in classe al progetto, tra una lezione e l'altra del laboratorio. Sono poche righe e, per quanto abbiano la luminosità del pensiero dei bambini, danno solo una piccola idea della ricchezza di quel che accade durante la lezione. È una ricchezza riservata a chi è presente nel momento vivo del fare filosofia insieme, legata alla spontaneità dell'idea che viene alla mente, allo sguardo di chi interroga e al sorriso di chi sente di aver capito. È, in qualche modo, l'eterna vittoria di Socrate su Platone. Il volume si rivolge a tutti coloro che lavorano nel campo dell'istruzione e, in modo particolare, agli studiosi e ai docenti di filosofia di ogni ordine e grado, dal momento che affronta principalmente questioni legate ai fondamenti storici e teorici dell'insegnamento della filosofia, non solo indirizzata ai bambini. Per quanto il tema centrale del volume, e l'esperienza che ne è alla base, sia l'insegnamento della filosofia ai bambini, la metodologia didattica che guida il nostro laboratorio può essere applicata anche in contesti formativi diversi. Coloro che già praticano la filosofia con i bambini troveranno qui il racconto di un'esperienza educativa che, per la sua impostazione geostorica e interculturale, rappresenta una realtà pressoché unica in Italia. Un 'ultima nota sulle insegnanti: discrete presenze durante la lezione, svolgono un lavoro prezioso e insostituibile nelle ore che corrono da una settimana all'altra, tenendo vivo l'interesse dei bambini e aiutandoli a esprimere i loro pensieri e le loro sensazioni attraverso la scrittura e, soprattutto, i disegni. A queste insegnanti va tutta la mia gratitudine, per il sostegno e l'entusiasmo che hanno dimostrato in questi anni e senza i quali il laboratorio non sarebbe stato possibile. Desidero ringraziare l'editore per aver incoraggiato e curato in tutte le sue fasi l'idea e la realizzazione di questo volume. Ringrazio mia moglie Chiara, per aver seguito con attenzione critica e affettuosa empatia le diverse stesure dei capitoli. Un ringraziamento particolare, infine, va al professor Niccolò Argentieri e alle ragazze e ai ragazzi del "Sabato del Virgilio" di Roma, con cui ho avuto il privilegio di discutere di filosofia e bambini e a cui devo illuminanti osservazioni in vista della scrittura del volume. 1. La Philosophy for Children 1.1. La proposta di Matthew Lipman La Philosophy for Children, resa comunemente con l'acronimo P4C, nasce tra gli anni Sessanta e Settanta del. Novecento negli Stati Uniti, per iniziativa del filosofo Matthew Lipman, professore prima alla Columbia University di New York e poi al Montelair State College, in New Jersey. Secondo il racconto dello stesso Lipman, scomparso nel dicembre 2010, l'idea di insegnare filosofia ai bambini gli venne in mente quando notò come i suoi figli di 10-11 anni non ricevessero a scuola alcuna forma di insegnamento che li aiutasse a ragionare (Brandt, 1988, p. 34; Lipman, 2011). All'epoca, Lipman insegnava Logica al college e capi che l'insoddisfazione che provava nei risultati raggiunti coni suoi studenti dipendeva dal fatto che erano arrivati troppo tardi a imparare il ragionamento logico. Questo lo convinse che doveva fare qualcosa per aiutare gli studenti di scuola media a "imparare a ragionare" (Brandt, 1988, p, 34). Questi due elementi, la circostanza che Lipman fosse un professore di Logica e la sua preoccupazione per la capacità di ragionamento di un individuo - con il corollario di una sostanziale identificazione tra "logica" e "ragionamento" -, sono di fondamentale importanza per comprendere il metodo su cui baserà la sua P4C. Riconosciuta la necessità di insegnare la logica ai ragazzi e alle ragazze in età preadolescenziale, il problema per Lipman diventa quello di trovare un modo "interessante" di presentare i principi del ragionamento logico, un modo che fosse cioè in grado di suscitare negli studenti interesse, curiosità, partecipazione, come condizioni di una loro adeguata comprensione. Lipman individua questo modo nel più classico degli strumenti dell'insegnamento filosofico, un libro; non però uno dei tanti libri scritti da o su qualche filosofo famoso, né un libro già esistente e riguardante la didattica della filosofia. Lipman stesso decide di scrivere questo libro, scegliendo la forma che più si adatta alla fruizione da parte di un ragazzo, il racconto. Tenendo nella giusta considerazione il ruolo che l'immedesimazione gioca in un lettore in generale e in un ragazzo in modo particolare, Lipman decide di rendere protagonisti del racconto studenti della stessa età di quelli a cui è rivolta la P4C. Nasce così Harry Stottlemeier's Discovery, letteralmente "La scoperta di Harry Stottlemeier", il ragazzo protagonista del racconto che, nella musicalità del nome, richiama la pronuncia inglese di Aristotele, "Aristotele" (cfr. Lipman, 2011). Il riferimento al celebre allievo di Platone è tutt'altro che casuale e, come vedremo, è un altro elemento di importanza fondamentale per comprendere le modalità e le finalità dell'insegnamento elaborato da Lipman. Quali sono le avventure che si trovano ad affrontare Harry e i suoi amici, ossia i suoi compagni di classe? Niente di particolarmente movimentato, anzi: risolvere problemi di logica elementare. La scelta di ambientare la gran parte delle discussioni tra Harry e i suoi amici - e talvolta i suoi familiari - perlopiù in classe o a casa risponde sempre all'obiettivo di far immedesimare gli Studenti con i personaggi del racconto, collocando le scene principali della storia in situazioni a loro familiari. Né è casuale, chiaramente, l'utilizzo del termine "scoperta" per descrivere l'azione principale compiuta continuamente da Harry - riferimento che si perde nella traduzione italiana del libro, Il prisma dei perché, che, secondo il curatore, è «diverso ma pertinente al contenuto del libro», considerando come la traduzione letterale del titolo originale non avrebbe conservato la suggestione del riferimento ad Aristotele (Lipman, 2004, p. 2). Per quanto giustificata in quel che riguarda la citazione indiretta dello Stagirita, questa scelta perde appunto il riferimento alla "scoperta", che, invece, nella logica con cui Lipman struttura il racconto, svolge un ruolo fondamentale. Ogni capitolo, infatti, rappresenta una tappa di questo percorso alla scoperta dei principi che regolano il ragionamento logico, e la conclusione di ciascun capitolo apre al problema che verrà affrontato nel capitolo successivo. L'ambientazione delle diverse fasi del racconto è finalizzata all'immedesimazione degli studenti non solo rispetto a situazioni che conoscono bene e vivono quotidianamente, ma è funzionale anche all'applicazione dei problemi logici, che via via emergono nel racconto, alle condizioni concrete dei personaggi. Con le parole dello stesso Lipman: «i personaggi dovevano essere descritti nel momento in cui scoprono questi principi [della logica] e riflettono su come possano essere applicati alle loro vite» (Brandt, 1988, p. 34). Il riferimento all'applicazione dei principi logici alla concretezza delle situazioni quotidiane è centrale per comprendere la finalità ultima dell'insegnamento della filosofia ai bambini elaborato da Lipman: non solo far imparare ai giovani studenti le regole del ragionamento, ma mostrare loro come queste regole si riferiscano non a un mondo di idee staccato dalla vita reale ma, al contrario, dimostrano tutta la loro utilità proprio quando vengono applicate alla vita reale. Questo ancoraggio alla concretezza del vissuto permette alla filosofia di non restare una riflessione, per quanto appassionante, sospesa nel vuoto, ma ne rivela l'intrinseca utilità per comprendere, e leggere in maniera non scontata, la quotidianità del reale. Ovviamente, perché sia possibile estrarre un ragionamento filosofico da personaggi tratti dalla vita comune, quali sono gli studenti di scuola media protagonisti del racconto, occorre che questi personaggi siano già caratterizzati da profili antropologici e filosofici ben precisi: Aristide (traduzione italiana di Harry) «è un tipo paziente, perseverante e incline agli esperimenti, portato talvolta al risentimento e facile all'imbarazzo» (Lipman, Sharp, Oscanyan, 2004, p. 4.0); Lisa, amica di Atistide e sorta di contraltare femminile del protagonista, «è intellettualmente coraggiosa e capace di apprezzare i successi degli altri senza invidia» (ibid.); Tony, terzo interlocutore negli argomenti trattati in ogni capitolo, antagonista di Aristide, «è il tipo capace di ragionare in modo lucido e analitico, anche se soltanto in relazione ad argomenti astratti, tipo la matematica, la grammatica e la logica; in fondo è molto emotivo e questo lo blocca (ibid.). Questi sono i tre personaggi principali del racconto, attorno a cui ruotano figure secondarie, altri compagni di classe, gli insegnanti, i genitori, che perlopiù hanno la funzione di dare nuovi Stimoli alla riflessione di Aristide, il quale a sua volta si misura maggiormente con Lisa e Tony. Se si astrae dalla loro identità di preadolescenti, i tre studenti rappresentano tre modelli di pensiero filosofico, che ciascuno studente può riconoscere come modello di ragionamento durante gli incontri di P4C: Aristide è uno spirito aperto alla ricerca - alla scoperta _ e bisognoso di sperimentare la validità delle proprie idee, sebbene poi si scopra molto sensibile alle critiche e riveli una congenita insicurezza nelle conclusioni concettuali appena raggiunte. Lisa è più determinata, per quanto di solito non sia lei a porre i problemi, ma dimostri le sue capacità intellettuali nel dare al ragionamento un percorso diverso, spesso più solido, basandosi sugli aspetti migliori delle riflessioni altrui. Tony, infine, è l'antitesi di Aristide, non parla mai per primo, ma aspetta che l'altro esponga la sua idea per poi intervenire polemicamente, facendo notare le falle che il ragionamento proposto mostra al livello più formale; d'altra parte, questa sua forza sul versante del formalismo comporta una corrispondente debolezza nella considerazione dell'aspetto empirico del ragionamento, ossia della sua ricaduta concreta sul vivere quotidiano. Attorno a questi tre caratteri ruota tutto il racconto, che si snoda in un continuo scambio di idee, critiche, riflessioni e suggestioni riguardanti le più diverse questioni che possono emergere da banali situazioni quotidiane: Aristide che quasi si addormenta in classe durante la lezione di scienze e quindi non sa rispondere alla domanda del professore, una conversazione serale con il padre, chiedere ai genitori il permesso di invitare degli amici a dormire. La banalità e la quotidianità delle situazioni, tuttavia, non suscitano reazioni altrettanto banali e quotidiane, come ci si aspetterebbe da ragazzini di scuola media; se così fosse, infatti, Il prisma dei perché sarebbe un normale racconto di narrativa per ragazzi, neanche tanto originale né appassionante, e di certo non un racconto filosofico. Sorprendenti, infatti, sono le riflessioni che nascono nella mente di Aristide e degli altri personaggi dinanzi a eventi del tutto usuali. La risposta sbagliata alla domanda del professore di scienze, ad esempio, genera in Aristide sulla via del ritorno a casa non una scontata reazione di frustrazione che, ben presto, tenderebbe a lasciare il posto ad altri pensieri rivolti a come e con chi trascorrere il pomeriggio o, magari, contro lo stesso professore, ma dà l'avvio a un acuta riflessione sul rapporto tra la posizione delle parole in una frase e la verità della frase stessa. Oppure, da una chiacchierata tra Lisa e le sue amiche, Francesca e Giulia, su quanto il pensiero del proprio cane accompagni una persona tutto il giorno, nasce una discussione sul rapporto tra il pensiero e le cose. Questo evidente tratto irrealistico della situazione è del tutto funzionale non solo all'aspetto filosofico del racconto, che ne costituisce l'intento principale, ma serve anche all'utilizzo che del racconto bisogna fare in classe durante le lezioni di P4C. Non si deve dimenticare, infatti, che Lipman ha scritto Il prisma dei perché come testo di riferimento per Fare filosofia in una classe e non semplicemente per offrire una stimolante lettura di narrativa filosofica... Al fine di rendere ancora più efficace l'uso del racconto delle avventure intellettuali di Aristide e dei suoi amici in classe, Lipman ha scritto, con la collaborazione di due suoi colleghi, Ann Margaret Sharp e Frederick S. Oscanyan, un manuale che guidi passo dopo passo la lettura del Prisma dei perché (Lipman, Sharp, Oscanyan, 2004). 1.2. Il manuale Il manuale è diviso in diciassette capitoli, che seguono la stessa scansione dei capitoli del racconto, e ogni capitolo è suddiviso a sua volta in "idee-guida", composte da un "piano di discussione" e da "esercizi", che aiutano l'insegnante a organizzare in classe una lettura ragionata delle imprese teoretiche di Aristide, Lisa, Tony e degli altri personaggi delle Storie raccontate nel Prisma dei perché. Per comprendere in tutta la sua complessità la proposta di Lipman, dobbiamo allora rivolgere la nostra attenzione più al manuale che al racconto, dal momento che rivela la metodologia e la finalità con cui è stato concepito non solo il racconto, ma la Stessa P4C. Molto istruttiva è già la lettura delle pagine dell'introduzione, in cui Lipman e colleghi enunciano le regole delle cose "da evitare" e di quelle "da fare" durante la conduzione di una lezione in classe (Lipman, Sharp, Oscanyan, 2004, p. 11). Tra i venticinque divieti, scegliamo di mettere in rilievo quelli che più degli altri concernono la metodologia che sottostà alla pratica di insegnamento della P4C: "Non costringere gli Studenti a seguire l'ordine delle idee-guida fornito dal manuale al posto di quello dettato dai loro interessi" (1); "Non tenere lezioni ex cathedra sui concetti filosofici, invece di lasciare che la comprensione di essi da parte dei ragazzi emerga dal loro stesso dialogare" (2); "Non trascurare di incoraggiare gli studenti a costruire idee sulle idee degli altri" (5); "Non scoraggiare gli studenti dal parlare tra di loro" (10); "Non mostrare di voler dirigere sempre voi la discussione" (13); "Non insistere sui propri punti di vista, invece di incoraggiare i ragazzi a pensare autonomamente" (16); "Non monopolizzare la conversazione facendo in modo che il vostro punto di vista appaia più forte" (2.1). Da queste indicazioni, risulta con chiarezza l'impostazione che guida la didattica della filosofia in una sessione di P4C, in cui l'insegnante non deve essere il punto di riferimento degli studenti, ma il veicolo degli argomenti trattati durante la lezione. Questa funzione è espressa dal termine tecnico di "facilitatore" (facilitator), che indica appunto come l'insegnante in classe non debba infondere ai suoi alunni conoscenze e concetti attraverso una metodologia di insegnamento frontale, in cui lo studente riceve passivamente le nozioni da apprendere e memorizzare, ma deve limitarsi a proporre ai ragazzi argomenti e problemi, sui quali gli stessi studenti devono confrontarsi in maniera aperta e dialogica, mediante un continuo e reciproco scambio di idee. L'insegnante deve quindi facilitare il dialogo tra gli studenti, cioè guidarlo in modo che non si areni in un confronto sterile e meramente polemico, ma si sviluppi nelle forme della riflessione critica e consapevole, mirando a raggiungere delle conclusioni che, seppure parziali, contengano però un nucleo di chiarezza concettuale riconoscibile da ciascuno Studente. Guidare la discussione, tuttavia, non significa condizionarla quanto ai ragionamenti e agli esiti, secondo uno schema precostituito a cui si cerca di conformare gli interventi dei singoli alunni, ma, al contrario, significa permettere a ogni alunno di elaborare un proprio ragionamento e di raggiungere, insieme agli altri, un esito condiviso. Questo compito così difficile e delicato è reso possibile, secondo Lipman, dalle cose che, nella seconda parte dell'introduzione, sono indicate come quelle "da fare". Qui, però, l'esposizione non è schematica e precisa come quella relativa ai divieti, perché, come ammette lo stesso Lipman, «è molto più facile individuare quelle pratiche che sono sicuramente sbagliate anziché dire agli insegnanti esattamente quello che devono fare» (ivi, p. 12). La difficoltà è data dal fatto, ben noto a qualunque insegnante, che non è mai possibile prevedere la situazione che concretamente si presenterà ogni volta in