Humanity Tra paradigmi perduti e nuove traiettorie Volu1ne I a cura di D. Calabrò, D. Giugliano, R. Peluso, A. P. Ruoppo, L. Scafoglio fflS CHrBBOLETH Prefazione Daniela Calabrò, Dario Giugliano, Rosalia Peluso 1 Umano, postumano, transumano, antropocene, animalità, rela zione mente-corpo, intelligenza artificiale, dignità, diritti umani e inclusione, hunianitas e umanesimo: queste le aree tematiche di indagine dei saggi che compongono questo volume. L7 analisi che ne deriva fotografa una umanità che - dalla modernità alla contemporaneità - si trova in continuo transito tra paradigmi perduti e nuove traiettorie. Proprio su questo transito, su questo slittamento continua mente ripensato si sono interrogati gli studiosi qui convenuti, rispondendo da un punto di vista filosofico, politico, etico ed estetico alle aree tematiche di indagine proposte. La riffessione sulla perdita del paradigma umano nel Novecen to costituisce uno dei punti focali di tali riffessioni. Nel 1922 Edmund Husserl, per rispondere alla filosofia della crisi ma turata in Europa negli anni successivi alla conclusione della Prima guerra mondiale, aveva provato a teorizzare una "hunia nitas autentica77 capace di investire sia la vita dell7individuo, sia , quella della comunità, per condurre rEuropa ad un profondo ''rinnovamento». 10 r Ma, quando orrore della guerra, della Seconda guerra mon diale, assume livelli apocalittici con lo sterminio e la «fabbri cazione di cadaveri», cioè con il suo risvolto tanatopolitico più abietto-«la scienza esatta persuasa allo sterminio», con le sue «carlinghe» dalle «meridiane di morte», per riprendere le pa role di Salvatore Quasimodo in Uomo del mio tempo, lirica del 1946-il ricorso alla "humanitas autentica" non è più sufficien te. Il rinnovamento auspicato da Husserl collassa nei "tempi bui" di arendtiana memoria. d.c. 2 Hannah Arendt ci ha insegnato, infatti, a far seguire alla parola Humanitlit, humanity, da lei frequentemente evocata e con cettualmente argomentata nei suoi lavori, il verso di Brecht «in finsteren Zeiten», «in dark times», «in tempi bui». C'è da chiedere: quand,è che rumanità non è vissuta in tempi bui? Come scrive la stessa Arendt nella Prefazione al suo Men in Dark Times del 1968, rumanità si rispecchia nel proprio tempo e ne viene attraversata. Buio è sempre il tempo delrumanità, rasserenato ogni tanto da qualche fugace rischiaramento. Ma chiariamo: i "tempi bui" non sono banale presagio di apocalis se perché esprimono, nel nucleo lirico che è all,origine della citazione brechtiana, la catastrofìcità del tempo storico: la sua regolare irregolarità, la sua continua discontinuità. E ciò nono stante la sua persistenza. Humanity in dark times. Umanità in tempi bui. Possiamo ser virci di questo potente Denkbild arendtiano per stringere in sintesi rattuale quadro problematico in cui si condensa lari flessione filosofìca contemporanea sull,umano. Abbiamo cer cato di rappresentare questo complesso e articolato scenario ponendoci - ancora una volta risuona qui il lessico arendtia- 11 no-"between,", "tra" paradigmi perduti e nuove traiettorie. Le attuali emergenze umanitarie, i frequenti disastri ambientali, le non più aweniristiche ibridazioni tra umano e tecnica, impon gono un costante e rinnovato ripensamento delle condizioni e dei limiti dell,umanità. Che cosa signifìca essere "umano""? Cosa è? Chi è umano? In terrogativi immemoriali, come la nascita della stessa filosofia. Consapevoli delle responsabilità del pensiero di fronte al pro prio tempo, non abbiamo coltivato la pretesa di soluzioni defi r nitive ma più modestamente apertura di un tavolo di discus sione. Poiché, ancora citando la Arendt, un tavolo, che al tempo stesso separa, riunisce e mette in relazione, è sempre il sim bolo concreto deiri nfra, di quell"i n-between attorno al quale il "qualche cosa" chiamato umanità dovrebbe prender forma per impedire ai cum-oocati di "cadersi reciprocamente addosso,". r.p. 3 La questione dell,umano, che, in questa nostra epoca, finisce per coincidere con il tema dell,umano in questione, non può non incontrare il versante dell" arte e, in generale, delre steti co. Si è detto spesso, forse in maniera troppo precipitosa, che quest"ultimo sia un appannaggio della specie uomo. Di sicuro r lo è arte, come momento specifico, all,intemo della sfera in finitamente più ampia dell,e stetico. L" arte, ovviamente, dovrà essere intesa, qui, secondo la già fondamentale sua interpreta zione, all,intemo della filosofia hegeliana, in una declinazione eminentemente politica - e non ci riferiamo, owiamente, a una questione di contenuti. L,arte è politica nella sua stessa ragion d,e ssere, nel senso che essa non è mai separabile da una più generale visione del mondo, al di là e prima, quindi, di qualsiasi eventuale forma di engagement. Ed è muovendo 12 da questo ordine di idee che abbiamo pensato di coinvolgere alcuni studiosi che, a partire da questioni che nelra mbito delle arti ricadono e riferendosi in maniera più o meno esplicita a quell:,ambito, hanno indagato la questione delrumano, ripen sandola come banco di prova per una rimodulazione delle ca tegorie ereditate da una tradizione, la cui tenuta oramai mostra tutte le sue incertezze, le sue indecisioni, i suoi cedimenti. E nonostante questo, appare altrettanto evidente che proprio a partire dal versante artistico, magari risalendo alle origini del discorso moderno (per esempio a quell'epoca per tanti versi cruciale che è il "lungo XVI secolo:,', per mutuare una felice espressione di Braudel), si possono trarre spunti per un rilan cio quantomeno critico del progetto umano, di un umanesimo finalmente depurato da ipoteche metafisiche e da quei retaggi ideologici, che hanno fatto corpo unico con il grande discorso del capitale e che lungo il corso degli ultimi secoli, seguendo il cammino delle varie rivoluzioni industriali, che si sono succe dute, è arrivato fino a noi, oggi. d.g. Humanity. Tmparadigmi perduti e nuove traiettorie è dedicato alla memoria di Francesco Saverio Festa. Parte I Umano, postumano, transumano A proposito di un presupposto umano (troppo umano) del postumanismo: il paradigma prestazione" Agostino Cera Lentius, profundius, suavius. (Alexander Langer) Premessa Il mio intervento muove dalla persuasione dell'esistenza di un fondamentale e inespresso presupposto ideologico - che ho denominato paradigma prestazione - quale denominatore comune della gaùissia postumana. Più precisamente, la tesi che intendo sostenere è che, lungi dal sowertire il paradig ma antropologico tradizionale (culminante nelr'idea antropo centrica, con annessa Weltanschauung), i vari meta-, trans-, post-umanismi ne portino in realtà all'esasperazione (che è insieme un compimento e un sowertimento) la logica di fondo, rivelandosi in tal modo altrettante sfumature di una medesi ma tensione "umana troppo umana". Talmente umana troppo umana da invocare un superamento dell'uomo -dellaconditio 0 Quem:e pagine presentano in forma sintetica e con un taglio speci6co (ri ferito, cioè, alla galassia postumana) un'argomentazione che ho potuto svi luppare in modo più ampio e più compiuto in un altro saggio: Il pamdigma prestazione. Contributi a tm11antropologica del presente (in corso di pubbli cazione). Rimando pertanto il lettore a questo lavoro, per una trattazione maggiormente esaustiva dei temi qui discussi. 18 hurnana -in nome e in forza proprio dell'applicazione integra le, fino al paradosso/parossismo, di alcuni topoi antropologici e antropocentrici caratteriz7anti l'intera modernità. A emblema dei quali ho eletto il topos efficientistico-prestativo. In altri termini: avendo eclissato definitivamente la differen7..a cosmologica tra mondo e mondo umano1 essendosi definiti - vamente immerso in un contesto di positività totale owero di totale immuni:mlZione da qualsiasi elemento di negatività (d i alterità)-, ressere umano giunge a teori7..7are il proprio auto superamento. La propria autosoppressione. L' ottimi:mlZione definitiva delle proprie prestazioni coincide, cioè, con la messa in mora della propria umanità (d ella forma di vita che si è), nel la quale non si scorge ormai nulra ltro che un intollerabile osta colo al proprio definitivo efficientamento. Lacondi,tio hurnana diventa così sinonimo di antiquatezza, obsolescen7..a, si fa cifra ultima di tutto quanto ci impedisce di adattarci integralmente al neoambiente tecnico, di corrispondere alle sue promesse palingenetiche che, dal canto loro, si annunciano sotto forma di «provoca7..ioni" (in senso heideggeriano) costanti e sistema tiche. Superarsi e addirittura sopprimersi in quanto umani, si rivela la modalità più coerente per realizzare le utopie umaniste e antropocentriche. D'altro canto, è solo nella misura in cui non è più in grado di guardare oltre sé e fuori di sé, allorché si è immuniZ7.ato dalla possibilità di incontro con una qualsiasi r forma di alterità, che essere umano può giungere a teori7..7are (e infìne ad agognare), per ''il proprio bene", il proprio accan tonamento definitivo. 1. Sul concetto di differenm cosmologica, cfr. K. Lowith, Mondo e mon do umano (1960), in Id., Critica deU/'esistenza storica, tr. it. di A. Kiinkler Giavotto, Morano, Napoli 1967, pp. 317-3-59, e A. Cera, Tm differenza co smologica e neoambientalità. Sulla possibilità di un11antropologia filosofica og,i, Giannini, Napoli 2013, pp. 81-146. 19 Espressa in una formula, la tesi di fondo argomentata in queste pagine suona: una volta sfrondato dei suoi orpelli più sgargian- ti, ma anche più fuorvianti, il post-umanismo (l''intera galassia postumana) si rivela coincidente con un progetto di de-umaniz zazione, che a sua volta emerge come il paradossale e tuttavia coerente esito di un iper-umanismo total,izzato. 1 Nel suo saggio del 2010, La società della stanchezza, Byung Chul Han caratterizza quella attuale - in quanto evoluzione della foucaultiana «società disciplinare» - come una «società della prestazione». Un contesto i cui abitatori «non si dico no più "soggetti d'o bbedien7a" ma "soggetti di prestazione"»2 • Nell'interpretazione di Han, quella della prestazione risulta una società completamente immuniz7ata dalla negatività owe ro un contesto di positività totale. Sebbene non lo citi esplicita mente, è evidente il riferimento di Han al celebre «principio di prestazione», formulato da Herbert Marcuse in Eros e civi.ltà (1955), dove viene definito come la «forma storica prevalente del principio di realtà»3 Vale a dire: un principio di realtà ar • ricchito da una «repressione addizionale», consistente nell'in sieme di quelle «restrizioni rese necessarie dal potere sociale o dominio sociale»4 Accostando le posizioni di Han e Marcuse, • è possibile caratteriZ7al"e la società della prestazione come quel particolare tipo di società nella quale il principio di prestazione 2. Cfr. B.-Ch. Han, Lasocietàdellastanchezza (2010), tr. it. cli F. Buongior no, nottetempo, Roma 2012, p. 21 e pp. 21-28. 3. H. Marcuse, Eros e civiltà (1955), tr. it. cli L. B~, Einaudi, Torino 197sG, p.80. 4. Ivi, p. 79. 20 si erge al, rango di paradigma5 A sua volta, un tale paradigma • prestazione emerge nel momento in cui il principio di presta zione acquisisce i tratti di una obbligazione morale, ossia nel momento in cui l'essere umano l.Ùventa al, tempo stesso soggetto e oggetto della prestazione. Allorché lo scopo ultimo della sua prestazione è se stesso in quanto tale e in totalità. Nel corso di queste pagine cercherò di tracciare le linee guida i prolegomeni - di una genealogia del paradigma prestazione, descrivendo per sommi capi il processo di natural,izzazione e di moral,izzazione al quale viene sottoposto il principio di pre stazione per poter conseguire uno statuto paradigmatico. Si tratta di un processo scandito lungo tre mosse: 1) una equazione onto"logica; 2) una metamorfosi antropo"logica; 3) una ingiun zione etica. Per argomentare questa tesi farò uso del pensiero di Giinther Anders, in particolare di due concetti chiave della sua «antropologia fìlosofica nell'era della tecnocrazia»6 il «di : slivello prometeico» e la «vergogna prometeica». La filosofia di Anders fungerà quindi da elemento di connessione tra Marcuse e Han, o meglio: l'imperativo di prestazione farà da ponte tra il principio di, prestazione, la società della prestazione e, infine, il paradigma prestazione. 2 Dovendo ricorrere a una definizione in grado di compendia re il proprio itinerario filosofico - del quale rivendicò sempre 5. Di «paradigma dellap restazione» parla ancora Han, definendolo «losche ma positivo del poter-fare» (B.-Ch. Han, La società della stancheZUJ, cit., p. 23). Nello stesso testo viene utili:a.ata anche la formula «imperativo della prestazione» (p. 26). 6. G. Anders, Luomo è antiquato. Il. Sulla ~ione della vita neU/epoca della terza rivoluzione industriale (1980), tr. it. cli M.A. Mori, Bollati Borin ghieri, Torino 1992, p. 3.