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Homo ludens PDF

231 Pages·1946·0.89 MB·Italian
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Johan Huizinga HOMO LUDENS Apparso in lingua tedesca ad Amsterdam nel 1939 e pubblicato in Italia nel 1946, Homo ludens aveva molte qualità per provocare e incuriosire i lettori di casa nostra: un impudente gusto interdisciplinare, una liberale curiosità per le culture non europee, uno spregiudicato coraggio nel livellare, agli occhi dell'indagine, i portati della cultura «alta» alle manifestazioni quotidiane della vita. Di colpo venivano agitati agli occhi del lettore due concetti che a noi oggi sono familiari ma che allora dovevano suonare abbastanza provocatori: una nozione di cultura come complesso di fenomeni sociali di cui fan parte a pari titolo l'arte come lo sport, il diritto come i riti funerari, e una nozione di invariante culturale, non nuova ai discorsi dell'antropologia culturale di questo secolo, ma cosi nettamente alternativa rispetto ai principi delle filosofie idealistiche della storia. Apparentata ai suggerimenti del positivismo, da Spencer all'estetica «sociologica» di Lalo, la nozione di gioco come costante dei comportamenti culturali affascinava se non altro perché era oltraggiosa - aveva tutta l'aria di uno pseudoconcetto che prendeva violentemente il potere insediandosi nel Palazzo d'Inverno sino ad allora alteramente abitato dall'Estetica, dalla Teoretica, dall'Etica e dall'Economia. Johan Huizinga HOMO LUDENS INDICE Prefazione-introduzione dell'autore Capitolo 1 - Natura e significato del gioco come fenomeno culturale Capitolo 2 - La nozione del gioco nella lingua Capitolo 3 - Gioco e gara come funzioni creatrici di cultura Capitolo 4 - Gioco e diritto Capitolo 5 - Gioco e guerra Capitolo 6 - Gioco e sapere Capitolo 7 - Gioco e poesia Capitolo 8 - Le radici della figurazione mitica Capitolo 9 - Forme ludiche della filosofia Capitolo 10 - Forme ludiche dell'arte Capitolo 11 - Culture e periodi sub specie ludi Capitolo 12 - L'elemento ludico nella cultura odierna Note (per capitolo) PREFAZIONE-INTRODUZIONE DELL'AUTORE Quando noi uomini non risultammo così sensati come il secolo placido del "culto della Ragione" ci aveva creduti, si dette alla nostra specie, accanto al nome di homo sapiens, anche quello di homo faber - uomo produttore. Termine che era meno esatto del primo perché anche più di un animale è faber. Ciò che vale per fare, vale anche per giocare: parecchi animali giocano. Tuttavia mi pare che l'homo ludens, l'uomo che gioca, indichi una funzione almeno così essenziale come quella del fare, e che meriti un posto accanto all'homo faber . Secondo un'idea ormai secolare, spingendo il pensiero fino alle ultime conseguenze del processo conoscitivo umano, si deve giungere a riconoscere che ogni azione umana appare un mero gioco . Colui al quale basta tale conclusione metafisica non deve leggere questo libro. A me non sembra una ragione per trascurare la categoria del gioco come fattore a sé in tutto ciò che accade nel mondo. Da molto tempo sono sempre più saldamente convinto che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco. A cominciare dal 1903 si possono riscontrare le tracce di questa opinione nei miei scritti. Nel 1933 dedicai a quel soggetto la mia orazione di rettore dell'Università di Leida, col titolo: "Sui limiti del gioco e del serio nella cultura". Quando in seguito adattai e rinnovai quel discorso due volte, prima per conferenze a Zurigo e a Vienna (1934), poi per un'altra a Londra ( 1937), vi posi per titolo: Das Spielelement der Kultur, The Play Element of Culture. Tutte e due le volte i miei ospiti corressero: - in der Kultur, in Culture - e ogni volta io cancellai di nuovo la preposizione e ristabilii il genitivo. Infatti per me non si trattava di domandare quale posto occupi il gioco fra i restanti fenomeni culturali, ma in qual misura la cultura stessa abbia carattere di gioco. Per me si trattava e si tratta anche in questo studio più ampio d'integrare per così dire il concetto di "gioco" in quello di "cultura" . Il gioco è considerato qui come fenomeno culturale, e non (o almeno non in primo luogo) come funzione biologica, ed è trattato coi mezzi della sociologia. Si vedrà come io mi astenga quanto è possibile dall'interpretazione psicologica del gioco, per importante che sia, e come io faccia un uso solo molto ristretto delle idee e delle spiegazioni dell'etnologia, anche là dove ho da riferire fatti etnologici. Il termine "magico", per esempio, si riscontrerà rare volte, quello di mana e simili, mai. Se io riassumessi in alcune tesi la mia argomentazione, una di esse sarebbe questa, che l'etnologia e le scienze ad essa affini fanno troppo poco posto al concetto di gioco. A me almeno non è bastata la generale terminologia in uso per il gioco. Continuamente avevo bisogno di un aggettivo di "gioco" che esprimesse in modo semplice "ciò che è attinente al gioco o al giocare". "Giocoso" non poteva servire, ha una sfumatura di significato troppo particolare. Mi si permetta perciò d'introdurre la parola "ludico". Benché sia sconosciuta la supposta base latina, anche in francese s'incontra la parola "ludique" in saggi di psicologia . Mentre cedo la mia opera al pubblico, mi sorge il timore che molti, nonostante tutto il lavoro che la sostanzia, la stimeranno un'improvvisazione insufficientemente documentata. E' ormai destino di chi vuol trattare problemi culturali di doversi arrischiare su diversi terreni che non conosce a fondo. Supplire prima a tutte le mancanze del mio sapere era escluso per me, e me la sono sbrigata rispondendo di ogni dettaglio per mezzo di un rimando. Per me si trattava di scrivere o non scrivere. E di una cosa che mi stava molto a cuore. Perciò ho scritto . (Leida, giugno 1938) HOMO LUDENS Uxori carissimae Capitolo 1 NATURA E SIGNIFICATO DEL GIOCO COME FENOMENO CULTURALE Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. Anzi si può affermare senz'altro che la civiltà umana non ha aggiunto al concetto stesso di gioco una caratteristica essenziale. Gli animali giocano proprio come gli uomini; tutte le caratteristiche fondamentali del gioco sono realizzate in quello degli animali . Basta osservare i cuccioli nel loro gioco, per scorgere in quell'allegro ruzzare tutti questi tratti fondamentali. Essi s'invitano al gioco con certi gesti ed atteggiamenti cerimoniosi; osservano la regola che non si ha da mordere a sangue l'orecchio del compagno; fingono di essere arrabbiatissimi. E si noti soprattutto che a far così essi provano evidentemente in massimo grado piacere o gusto. Ora un tale gioco di cuccioli ruzzanti non è che una delle forme più semplici del gioco animale. Ve ne sono altre di specie molto più profonda, più evoluta: vere e proprie gare e belle rappresentazioni per spettatori. Qui bisogna subito segnare un fatto importantissimo. Già nelle sue forme più semplici, e nella vita animale, il gioco è qualcosa di più che un fenomeno puramente fisiologico e una reazione psichica fisiologicamente determinata. Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell'attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l'immediato istinto a mantenere la vita, e che mette un senso nell'azione del giocare. Ogni gioco significa qualche cosa. Se chiamiamo spirituale questo principio attivo che dàal gioco la sua essenza, allora diciamo troppo; se lo chiamiamo istinto non diciamo nulla. Comunque lo si consideri, certamente si manifesta, con tale "intenzione" del gioco, un elemento immateriale nella sua essenza stessa . La psicologia e la fisiologia badano a osservare, a descrivere e a spiegare il gioco degli animali, dei bambini e degli adulti . Cercano di definire la natura e il significato del gioco e di assegnargli il suo posto nell'ordine della vita. Il fatto che in quest'ordine esso occupi un posto importante, che vi compia una funzione necessaria o almeno utile, è accettato universalmente e senza contraddizione come punto di partenza per ogni ricerca e speculazione scientifica. I molti saggi che intendono definire questa funzione biologica del gioco sono assai divergenti fra loro. Si è creduto di poter circoscrivere l'origine e la base del gioco a uno sbarazzarsi del superfluo di forza vitale. Secondo altri l'essere umano, giocando, ubbidisce a un gusto innato d'imitazione. Oppure soddisfa a un bisogno di rilassamento. O fa un esercizio preparatorio alla grave operosità che la vita esigeràda lui. O ancora il gioco gli serve da allenamento per l'autocontrollo. Altri ancora ne cercano il principio in un connaturato bisogno di causare o di essere capace di qualche cosa, o nell'ansia di dominare, o in quella di concorrere. Altri ancora considerano il gioco come un'innocua evacuazione di istinti nocivi, o come un necessario complemento di un'attività troppo unilaterale, o come l'appagamento, con una finzione, di desideri in realtà inappagabili e, in quanto tale, capace di conservare il senso della personalità(1) . Tutte queste spiegazioni hanno in comune, come punto di partenza, la supposizione che il gioco avvenga in funzione di un'altra cosa, che serva a una data utilità biologica. Ci si chiede: perché e a che fine si gioca? E le conseguenti risposte non si escludono affatto. Si potrebbe molto bene accettare tutte le suesposte spiegazioni una accanto all'altra, senza con ciò incorrere in un'imbarazzante confusione d'idee. Ne consegue che tutte sono spiegazioni soltanto parziali. Se una di esse fosse definitiva, allora dovrebbe o escludere le altre, o contenerle e accoglierle in un'unità suprema. La maggior parte di quei tentativi d'interpretazione si occupa solo in secondo luogo della domanda che cosa sia il gioco in sé, che significhi per i giocatori stessi. Essi si appigliano immediatamente al gioco con le misure della scienza sperimentale, senza fare dapprima la necessaria attenzione alla qualità profondamente estetica del gioco. La qualità primaria "gioco" vi resta generalmente indefinita. Per ognuna delle interpretazioni offerte, continua a valere la domanda: va bene, ma che cosa è in fondo il "gusto" del gioco? Perché strilla di gioia il bambino? Perché il giocatore si perde nella sua passione, perché una gara eccita sino al delirio una folla di spettatori? L'intensitàdel gioco non è spiegata da nessuna analisi biologica. Eppure in quell'intensità, in quella facoltàdi far delirare, sta la sua essenza, la sua qualità. La Natura, pare che ci dica la logica, avrebbe potuto dare alla sua prole tutte quelle funzioni utili di scarico di energia, di rilassamento, di preparazione, e di compenso, anche nella forma di esercizi e reazioni puramente meccanici. Invece no, ci dette il Gioco, con la sua tensione, con la sua gioia, col suo "scherzo" . Quest'ultimo elemento, il "gusto" del gioco, resiste a ogni analisi o interpretazione logica. Questa qualitàirriducibile non è per la nostra sensibilitàlinguistica moderna, in nessuna parte espressa così perspicuamente come nell'inglese fun, che è assai recente nell'uso comune. Più o meno vi corrisponde in tedesco Spass preso insieme con Witz. Il francese, fatto curioso, non ha un equivalente per tale nozione. Ed è proprio questo l'elemento che determina l'essenza del gioco. Nel gioco abbiamo a che fare con una categoria di vita assolutamente primaria, facilmente riconoscibile da ognuno, con una sua "totalità". Nella sua totalità dobbiamo cercare di capirlo e di apprezzarlo . La realtà"gioco", percettibile da ognuno, si estende sopra il mondo animale e umano insieme. Perciò non può essere fondata su un rapporto razionale, poiché il fatto che sia basata sulla ragione la limiterebbe al mondo umano. L'esistenza del gioco non è legata a nessun grado di civiltà, a nessuna concezione di vita. Ogni essere pensante può immediatamente rappresentarsi quella realtà: gioco, giocare, come qualcosa di specifico, di indipendente, anche se il suo idioma non avesse per esso un'espressione generale. Il gioco è innegabile. Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio . Si può negare la serietà. Ma non il gioco . Insieme al gioco però si riconosce anche, volere o no, lo spirito . Perché il gioco, qualunque sia la sua essenza, non è materia .Oltrepassa già nel mondo animale i limiti dell'esistenza fisica . Riguardo a un mondo di immagini come determinato da un mero rapporto di forze, il gioco sarebbe una sovrabbondanza nel senso proprio della parola. Solo per l'influenza dello spirito, che abolisce l'assoluta determinatezza, l'esistenza del gioco diventa possibile, immaginabile, comprensibile. L'esistenza del gioco conferma senza tregua, e in senso superiore, il carattere sopralogico della nostra situazione nel cosmo. Gli animali sanno giocare, dunque sono giàqualche cosa di più che meccanismi. Noi giochiamo e sappiamo di giocare, dunque siamo qualche cosa di più che esseri puramente raziocinanti, perché il gioco è irrazionale . L'uomo che volge lo sguardo alla funzione del gioco, non nella vita animale, né nella vita del bambino ma nella cultura, ha il diritto di impadronirsi del gioco là dove la biologia e la psicologia lo trascurano. Egli trova il gioco nella cultura come una data grandezza, esistente prima della cultura stessa che ne viene accompagnata poi e attraversata, dal principio sino alla fase di cultura in cui l'indagatore stesso vive. Trova dappertutto presente il gioco come un proprio modo d'agire, che si distingue dalla vita "ordinaria". Egli può lasciare senza risposta la domanda: fin dove riesce l'analisi scientifica a ridurre quel modo e quella qualità a fattori quantitativi? A lui importeràproprio questa qualità così come la trova inerente a quella forma di vita che egli chiama gioco. Il gioco come una forma di attività, come una forma con senso pregnante, e come una funzione sociale, ecco l'oggetto della sua indagine. Egli non continueràa cercare gli istinti naturali che determinano il gioco in generale, ma osserveràil gioco nelle sue stesse molteplici forme concrete, quale struttura sociale. Cercheràd'intendere il gioco come il giocatore stesso l'accoglie, nel suo significato primario . Allorquando troverà che il gioco si basa su un uso di determinate immagini, su una certa trasfigurazione della realtà, allora cercherà d'intendere anzitutto il valore e il significato di quelle immagini o di quella trasfigurazione. Egli vorrà osservare il loro effetto nel gioco stesso, e tentare di comprendere così il gioco come fattore della vita culturale . Le grandi attività originali della società umana sono tutte giàintessute di gioco. Prendiamo il linguaggio, quel primo e supremo strumento che l'uomo si crea per poter comunicare, imparare e comandare. Il linguaggio col quale egli distingue, definisce, stabilisce, insomma nomina, cioè attira le cose nel dominio dello spirito. Lo spirito creatore della lingua, giocando, passa continuamente dal materiale allo spirituale. Dietro a ogni espressione dell'astratto c'è una metafora, e in ogni metafora c'è un gioco di parole. Così l'umanitàricrea sempre la sua espressione per tutto ciò che esiste, crea un secondo mondo immaginato accanto a quello della natura. Oppure prendiamo il mito che è anche una trasfigurazione

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Arrigo Vita (traduzione)
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