La Cultura 810 sito & eStore - www.ilsaggiatore.com Twitter - twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook - www.facebook.com/ilSaggiatore © Ian Sample, 2010, 2013 © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013 Titolo originale: Massive: The Hunt for the God Particle Ian Sample Higgs e il suo bosone La caccia alla particella di Dio Traduzione di Paolo Bartesaghi Higgs e il suo bosone ai miei genitori Prologo Dal villaggio di montagna di Crozet, nella Francia orientale, la vista domina su chilometri e chilometri di campagna. Villaggi e fattorie punteggiano i campi, collegati solo da poche, strette strade. A parte una manciata di edifici moderni disposti sul territorio lungo un enorme anello, non c’è nulla che sembri inusuale. Nondimeno, si tratta di un luogo tutt’altro che ordinario. Alcuni di questi edifici posti in superficie nascondono profondi pozzi che li collegano sottoterra alla più grande e sofisticata macchina che il genere umano abbia mai costruito. Se un gigante la strappasse dal suolo e la sollevasse, si staglierebbe nel cielo come un enorme anello di otto chilometri di diametro. Accenderla significa un consumo di energia elettrica pari a quello di una città di medie dimensioni. È questa la sede del LHC (Large Hadron Collider), il grande collisore di adroni, la macchina costata miliardi di dollari costruita nei dintorni di Ginevra dal CERN, l’Organizzazione europea per la Ricerca nucleare, per far schiantare gli atomi uno contro l’altro. Più di venti nazioni si sono associate per pagare quest’opera colossale, la cui costruzione ha richiesto oltre un decennio. Diecimila scienziati qui e nei laboratori sparsi per il mondo lavorano sull’enorme mole di dati che sforna. Dentro la macchina, frammenti di atomi vengono lanciati a velocità di poco inferiori a quella della luce e fatti urtare l’uno contro l’altro in collisioni frontali. Questi premeditati atti di violenza ricreano le condizioni che hanno dominato i primi istanti dopo il Big Bang, l’eruzione cosmica che ha dato vita all’universo. Ed è tra questi fuggevoli frammenti del fuoco primordiale che gli scienziati cercano le risposte ai più profondi misteri della natura. Uno di questi misteri, probabilmente il più affascinante, ha tormentato gli scienziati per quasi mezzo secolo. Ammettiamolo francamente: gli scienziati non sanno perché le cose hanno il peso che hanno. Possono avvicinarsi, anche di molto, alla spiegazione, ma manca sempre qualcosa. E sanno perché. Se facciamo a pezzi qualcosa e lo riduciamo in polvere e poi in atomi e quindi in frammenti di atomo, raggiungeremo alla fine i più piccoli mattoncini che costituiscono la materia. La verità sconcertante, quasi imbarazzante, è che gli scienziati non sanno affatto perché quelle particelle, delle quali tutto è fatto, abbiano un peso. Nel 1964, un fisico di Edimburgo, Peter Higgs, lavorando solo con carta e penna nel suo ufficio, si imbatté in quella che molti scienziati ritengono essere la risposta al mistero. All’inizio dei tempi un campo invisibile permeava ogni angolo del cosmo. Tale campo rimase latente sino a quando il neonato universo non cominciò a espandersi e raffreddarsi. Fu allora che prese vita e ci informò della sua presenza. In quell’istante i costituenti elementari della materia acquisirono peso, essendone prima totalmente privi. Tutto ciò che non aveva massa, assunse una massa. Le conseguenze di quell’evento sono ovunque attorno a noi. Sono le fondamenta della nostra stessa esistenza. Senza tale campo, detto campo di Higgs, il nostro universo sarebbe un turbine frenetico di particelle senza massa che sfrecciano alla velocità della luce. Gli atomi e le molecole, come li conosciamo, non esisterebbero. Il materiale cosmico non si sarebbe mai aggregato a formare galassie, stelle e pianeti. Non ci sarebbe alcuna struttura familiare nell’universo, alcun luogo in cui la vita potrebbe muovere i suoi primi incerti passi. Uno scienziato al CERN una volta mi spiegò che il campo di Higgs è come la neve che era caduta quella notte e si era adagiata su quel paesaggio idillico tra la Francia e la Svizzera, immagina una distesa di neve senza interruzione in tutte le direzioni, mi disse. I raggi di luce vi si muovono come se avessero gli sci ai piedi: sfrecciano attraverso il campo come se questo non ci fosse. Alcune particelle hanno scarponi da neve e avanzano più lentamente, altre ancora sono a piedi nudi e arrancano faticosamente, procedendo a passo di lumaca. Ebbene, la massa di una particella non è altro che la misura di quanto essa rimane impantanata in questo campo. Il LHC è stato progettato per rivelare una volta per tutte la vera natura del campo previsto da Peter Higgs. La macchina dovrebbe creare increspature nel campo, che si manifesterebbero come particelle, chiamate bosoni di Higgs. Questi sono i fiocchi di neve che producono il nostro campo innevato, e sono la conferma ultima che gli scienziati stanno cercando per spiegare compiutamente perché le cose hanno una massa. Il CERN non è l’unico luogo in cui si dà la caccia al bosone di Higgs. Nei dintorni di Chicago, al Fermilab, dove ha sede il secondo collisore più potente al mondo, gli scienziati hanno come priorità la ricerca di questa particella. Per i due laboratori, posti sulle due sponde dell’Atlantico, questa caccia decennale è ormai diventata la più grande competizione nella fisica moderna. Ma c’è in gioco molto più che l’orgoglio della scoperta. La particella di Higgs è la sola tessera mancante nel mosaico del Modello Standard, l’insieme delle leggi che descrivono tutte le particelle note nell’universo. Un gruppo sempre più numeroso di scienziati crede che la scoperta della particella di Higgs non solo risolverà il mistero della massa ma aprirà un portale verso un mondo nascosto di particelle e forze che possiamo solo iniziare a immaginare. La natura elusiva e l’importanza profonda della particella di Higgs hanno indotto un fisico, vincitore del premio Nobel, a darle un soprannome grandioso: la particella di Dio. Come si scoprirà proseguendo nella lettura, poche cose accomunano i fisici quanto lo sdegno per questo nome. Il loro disprezzo è pari soltanto alla gioia di chi scrive i titoli per gli articoli dei giornali, per i quali quel nome è stato, in tutt’altro senso, la salvezza. Questo libro racconta la storia di come l’universo sia diventato «pesante» e di come un’idea, scritta su un blocco di appunti quasi mezzo secolo fa, sia diventata l’obiettivo di una caccia globale, costata diversi miliardi di dollari, che ha coinvolto migliaia di scienziati e le più grandi e più complesse macchine mai costruite dall’uomo. In qualunque modo la si guardi, questa storia ha avuto e ha un peso enorme. 1. La lunga strada verso Princeton Nel migliore dei casi, guidare fino a Princeton poteva prendere buona parte di una giornata. Il percorso seguiva la linea costiera del litorale orientale, girava attorno all’ampia insenatura di Chesapeake Bay, per poi procedere verso Washington, Baltimora e Philadelphia, prima di arrivare infine alla città in cui ebbe dimora il più grande fisico di tutti i tempi, Albert Einstein. Peter Higgs mise in valigia alcuni vestiti e un raccoglitore pieno di appunti e si diresse verso la macchina con la moglie, Jody, e il figlio, Christopher, di soli sei mesi. Gettò la valigia nel portabagagli e osservò a lungo la mappa stradale. Esaminato il tragitto, partì in direzione nordest attraverso strade alberate, e oltre, verso l’autostrada, lasciandosi alle spalle la città che tornava lentamente alla vita sotto il Sole, in quel mattino di primavera. Era il 14 marzo 1966. Higgs, un fisico dell’Università di Edimburgo, si era trasferito l’anno precedente a Chapel Hill nel North Carolina per un anno sabbatico presso l’università della città.1 Lì, il suo lavoro attirò l’attenzione di un illustre scienziato, il quale lo invitò a tenere un seminario al Princeton’s Institute for Advanced Study, uno dei più importanti centri intellettuali del mondo e luogo in cui Einstein stesso trascorse gran parte della sua vita lavorativa. Quel seminario era destinato sin dall’inizio a diventare oggetto di grandi discussioni: Higgs aveva appena scoperto quella che poi sarebbe stata identificata come l’origine della massa. Quel viaggio risultò essere molto più di una normale visita accademica. Segnò l’inizio di una catena di eventi che catapultò Higgs al centro della ribalta scientifica e gettò le basi per la più grande ricerca mai concepita dalla fisica moderna. Usando macchine che occupano chilometri di tunnel nel sottosuolo e il cui costo è dell’ordine di diversi miliardi di dollari, migliaia di scienziati hanno speso decenni nella ricerca di quella particella che rappresenta il fulcro della teoria di Higgs. Il loro mantra era semplice: scopri la particella di Higgs e il mistero dell’origine della massa sarà risolto. Per secoli, gli scienziati neppure si erano posti il problema dell’origine della massa, almeno non nel senso che oggi attribuiamo alla parola «origine». La parola massa descriveva quanta materia costituiva un oggetto e materia altro non era che un termine più raffinato per dire «roba». Un blocco di roccia aveva più massa di una pagnotta (a meno che il panettiere avesse avuto una giornata storta), e questo era tutto. Il significato di massa era così intuitivo e concreto che nessuno aveva mai pensato seriamente di metterlo in discussione. Alcune nozioni vaghe e incomplete di massa emersero nell’antichità e vennero poi sviluppate nel corso del Medioevo. Egidio Romano, eminente teologo e tra i più influenti pensatori della seconda metà del XIII secolo, fece un importante passo concettuale distinguendo tra le dimensioni di un oggetto e la quantità di materia in esso contenuta.2 Un blocco di ghiaccio, per esempio, chiaramente modificava la propria forma quando veniva fuso trasformandosi in acqua, quest’ultima veniva trasformata in vapore, il vapore veniva condensato e infine l’acqua veniva riportata allo stato solido. Tuttavia la quantità di materia – egli sosteneva – rimaneva la stessa qualunque forma quella sostanza assumesse. L’osservazione, che certamente sollevò accese discussioni teologiche in merito al problema della transustanziazione, rispecchia in fondo le moderne definizioni di volume e massa. Agli inizi del XIV secolo, il filosofo francese Jean Buridan (Giovanni Buridano) ricorse al concetto di massa per descrivere come lanciando un oggetto a esso venisse impresso un impeto (impetus). Tale impeto risultava dipendere da quanta materia l’oggetto contenesse e dalla velocità alla quale esso veniva lanciato.3 L’astronomo tedesco Johannes Kepler (Giovanni Keplero), nel XVI secolo, fece un ulteriore passo avanti sostenendo che i pianeti rimanessero perfettamente nelle proprie orbite e non se ne andassero a spasso per lo spazio come palle da biliardo impazzite proprio grazie all’inerzia prodotta dalle loro enormi masse. Nonostante il prezioso lavoro dei primi filosofi e dei primi astronomi, il