ebook img

hannah arendt e il sionismo: un percorso filosofico-politico PDF

234 Pages·2011·2 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview hannah arendt e il sionismo: un percorso filosofico-politico

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA, PEDAGOGIA E PSICOLOGIA DOTTORATO DI RICERCA IN FILOSOFIA CICLO XXIII HANNAH ARENDT E IL SIONISMO: UN PERCORSO FILOSOFICO-POLITICO S.S.D. SPS/01 FILOSOFIA POLITICA Coordinatore: Prof. Ferdinando L. Marcolungo Tutor: Dott.ssa Olivia Guaraldo Dottoranda: Dott.ssa Sara Rapa INDICE PROLOGO .................................................................................................................................. 5 Per amore del mondo .......................................................................................................... 5 INTRODUZIONE .................................................................................................................... 15 CAPITOLO PRIMO ................................................................................................................ 25 1. Premessa .......................................................................................................................... 25 2. L‟ebreo come simbolo dell‟alienazione nel mondo moderno ............................ 27 3. L‟ebreo come paria ........................................................................................................ 34 4. Ulissi-erranti ................................................................................................................... 41 CAPITOLO SECONDO ......................................................................................................... 47 1. Premessa .......................................................................................................................... 47 2. Un tentativo di comprensione ................................................................................... 49 3. Dal destino ebraico non c‟è modo di fuggire, se non sulla luna .................... 51 4. Tra paria e parvenu ...................................................................................................... 75 5. Essere abbandonata a se stessa .............................................................................. 79 CAPITOLO TERZO ............................................................................................................... 89 1. Premessa .......................................................................................................................... 89 2. Pallade Atena .................................................................................................................. 93 3. Un lavoro ebraico .......................................................................................................... 99 4. Anni difficili, anni interessanti ............................................................................... 104 CAPITOLO QUARTO .......................................................................................................... 111 1. Premessa ........................................................................................................................ 111 2. Questo ti riguarda!...................................................................................................... 118 3. La resistenza ebraica ................................................................................................. 128 4. Un popolo senza paese in fuga verso un paese senza popolo ...................... 136 5. Nessuna profezia, solo realismo ............................................................................. 146 6. C‟è ancora tempo? ...................................................................................................... 152 7. Sono semplicemente una di loro ............................................................................ 166 CAPITOLO QUINTO ........................................................................................................... 179 1. Premessa ........................................................................................................................ 179 2. Excursus ........................................................................................................................ 181 3. Politico/impolitico ....................................................................................................... 187 4. Che cosa resta? Resta il giudizio............................................................................ 197 BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................................... 207 BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI HANNAH ARENDT ....................................... 207 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DEGLI SCRITTI SU HANNAH ARENDT ........... 224 BIBLIOGRAFIA GENERALE .......................................................................................... 229 PROLOGO Per amore del mondo Consapevole dell‟unità della sua vita mentale – unità che nulla toglie alla complessi- tà del suo pensiero, che talvolta si presenta come ambiguo, contraddittorio1 o apo- retico –, nel 1972 Hannah Arendt (Hannover 1906 – New York 1975) scrive all‟amico Richard Bernstein: «A volte penso che tutti noi abbiamo un solo vero pensiero in tutta la vita, e tutto ciò che facciamo in seguito non è che una serie di elaborazioni e di variazioni su un unico tema»2. E in effetti tutta la riflessione arendtiana, anche se a prima vista potrebbe sembrare sconnessa o dispersiva, in realtà è percorsa da un filo rosso, costituito da una manciata di domande fondamentali: che cos‟è suc- cesso a quell‟ambito delle relazioni tra esseri umani liberi che i greci chiamavano politica? Da quando si è iniziato a pensarlo come spazio di un rapporto comando- obbedienza? In che misura la nostra tradizione filosofica ha contribuito all'idea di un potere che si identifica con il dominio? E quali implicazioni possiamo ravvisare tra la forma mentis metafisica e l'universo totalitario?3 Ecco allora che la sua tesi di dottorato sul concetto di amore negli scritti di Agosti- no4, vista retrospettivamente, appare come un testo al tempo stesso inaugurale e seminale, come un solco appena tracciato che si continui poi sempre a scavare e a rifinire, sotto la spinta di eventi che ripropongono le medesime questioni fondamen- tali. Quando agli inizi degli anni Sessanta Arendt concepisce il progetto – che poi non realizza – di rimettere mano dopo più di trent‟anni a quel suo primo lavoro per ripubblicarlo, scopre con grande sorpresa di riconoscersi totalmente nello scritto, nonostante il tempo trascorso, e di sapere con precisione cosa avesse voluto dire all'età di vent'anni. Il ritorno ad Agostino avviene nel contesto di The origins of totali- tarianism5 [Le origini del totalitarismo, allo scopo di seguire alcune tracce trascurate nel 1929, ed è caratterizzato da una maggiore sensibilità per la situazione storica di Agostino, il quale «visse in un'epoca che, per molti aspetti, assomigliava alla nostra più di ogni altro periodo della storia passata, e che per di più scrisse sotto il pieno impatto di una fine catastrofica, che forse somiglia alla fine a cui noi siamo giunti»6. Nell‟ultimo capitolo della sua opera sul totalitarismo, intitolato Ideology and terror7 [Ideologia e terrore], Arendt riassume efficacemente le conseguenze di quella distru- zione delle società civili che i nazionalsocialisti hanno fatto diventare il loro pro- gramma politico: l'ineludibilità del terrore e la distruzione dell'esistenza civile degli ebrei, che hanno portato al loro collettivo isolamento e al loro abbandono allo ster- minio. Ma anche i sopravvissuti – ossia i testimoni dello sterminio – sono stati de- rubati della loro esistenza civile, perché la società borghese, alla quale si sarebbero potuti appoggiare, è stata distrutta. Ora, secondo Arendt l'uomo è stato creato affinchè avesse inizio qualcosa in genera- le; più precisamente: con l'uomo è entrato nel mondo l'inizio. Libertà significa attua- lizzazione dell‟infinita capacità umana di dare vita all‟inaspettato e, quindi, realizza- zione piena non della „natura umana‟ ma della sua „condizione‟. Se è qui che si fon- da la sacralità della spontaneità umana, lo sterminio totalitario dell'uomo in quanto uomo è lo sterminio della sua spontaneità. Ciò significa, allo stesso tempo, «la revo- 1 Sulle contraddizioni del pensiero politico di Arendt si veda M. Canovan, 1978. 2 Citato in E. Young-Bruehl, 1982; trad. it. p. 373. 3 Cfr. S. Forti, 2006. 4 H. Arendt, 1929. 5 H. Arendt, 1951a. 6 H. Arendt, 1953d; trad. it. p. 95. 7 H. Arendt, 1953a. 5 ca della creazione in quanto creazione, in quanto aver-instaurato-un-inizio. Qui sta forse il nesso fra il tentativo di distruggere l'uomo e il tentativo di distruggere la na- tura»8. Ma ogni fine nella storia contiene necessariamente un nuovo inizio: «Questo inizio – ecco le parole con le quali sceglie di terminare la sua monu- mentale opera sul totalitarismo – è la promessa, l'unico "messaggio" che la fi- ne possa presentare. L'inizio, prima di diventare avvenimento storico, è la su- prema capacità dell'uomo; politicamente si identifica con la libertà umana. "I- nitium ut esset, creatus est homo", "affinché ci fosse un inizio, è stato creato l'uomo", dice Agostino. Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo»9. È sempre a questo passo di Agostino che Arendt fa riferimento nel cuore di The hu- man condition10 [Vita Activa], per introdurre la parte relativa all‟azione: «Con la parola e con l'agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inseri- mento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale. Questo inserimento […] può essere stimolato dalla presenza di altri di cui desideriamo godere la com- pagnia, ma non ne è mai condizionato. Il suo impulso scaturisce da quel co- minciamento che corrisponde alla nostra nascita, e a cui reagiamo iniziando qualcosa di nuovo di nostra iniziativa. […] Poiché sono "initium", nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono l'iniziativa, sono pronti all'azione»11. L‟iniziativa cui Arendt si riferisce, parlando di azione e discorso, ha origine in un aspetto antropologicamente imprescindibile dell‟essere umano: la nascita. Uomini e donne sono „nuovi inizi‟: lo status creaturale conferisce loro l‟impulso al comincia- mento. Citando Agostino, Arendt fa della nascita l‟initium a cui ogni altra „iniziativa‟ umana deve essere ricondotta. La nascita rimanda dunque all‟elemento della novità, ma è solo attraverso l‟azione e il discorso – una sorta di seconda venuta al mondo – che l‟unicità di ciascuno/a diviene visibile e udibile nel mondo degli affari umani. Arendt critica la categoria di „creazione‟ e la sostituisce con quella di „natalità‟: «la capacità stessa di cominciamento – scriverà in The life of the mind12 [La vita della mente] – ha le sue radici nella natalità e non certo nella creatività»13. Che quest'ul- tima venga intesa nel senso trascendente di derivazione delle creature dal Creatore, o in quello immanente – ma comunque derivato dal primo, sia pure in forma secola- rizzata – di costituzione di una società nuova, ciò che essa presuppone è ugualmen- te una sorta di riduzione coatta del molteplice ad un unico principio direttivo. Già nel lavoro su Agostino tale questione, anche se non esplicitamente tematizzata in termini critici, è tuttavia ben presente fin dalla scelta delle citazioni, una per tutte questa, tratta dal De moribus (2°, 8): «Esistere non è null'altro che essere uno. Pertanto, ogni cosa esiste in quanto tende verso l'unità […] gli elementi semplici, infatti, derivano la loro esistenza da se stessi; quelli composti imitano l'unità con l'armonia delle loro parti e non esistono che nella misura in cui pervengono a tale unità»14. Questo passo agostiniano rappresenta con grande aderenza l'idolo polemico assun- to dall'intero percorso successivo dell'autrice, attraverso una concezione radical- 8 H. Arendt, 2002a; trad. it. p. 63. 9 H. Arendt, 1951a; trad. it. p. 656. 10 H. Arendt, 1958a. 11 Ivi; trad. it. p. 129. 12 H. Arendt, 1978b. 13 Ivi; trad. it. p. 546. 14 H. Arendt, 1929, cit.; trad. it. p. 69. 6 mente diversa del motivo dell'origine. Il fatto che tale concezione, basata sulla se- mantica della natalità, non solo non abbandoni il riferimento ad Agostino, ma lo adoperi in un certo senso anche contro di lui, mostra come il discorso arendtiano non sia, pur nella sua sostanziale laicità15, del tutto privo di religiosità: ammette lei stessa di tirare avanti «alla meno peggio (magari, piuttosto meglio che peggio) con una specie di fiducia in Dio. Una fiducia infantile? Appunto, dal momento che non è mai posta in dubbio. Cosa diversa è la fede, che invece crede sempre di sapere e perciò finisce per imbattersi in dubbi e paradossi»16. Ciò naturalmente non toglie nettezza alla discontinuità rispetto al modello cristiano, definita dalla decostruzione (e moltiplicazione) del concetto di un'unica Creazione nell'infinita pluralità delle na- scite. Senza addentrarci troppo in un discorso che ci porterebbe lontano, basti qui ricordare la distinzione che Arendt al contempo rintraccia e proietta nello stesso Agostino tra „principium‟ e „initium‟17: «Per Agostino i due inizi erano così diversi che egli usò una parola per indica- re quell'inizio che è l'uomo ("initium") e un'altra per indicare l'inizio del mondo: "principium", che è la traduzione tradizionale del primo versetto della Bibbia. come risulta da "De civitate Dei", 11, 32, la parola 'principio' aveva per Agosti- no un significato assai meno radicale; il "principium" del mondo infatti 'non ita dictum tamquam primum hoc factum sit, cum ante fecerit Angelos'. Non si può dire quindi che prima del mondo non vi fosse 'nulla', come invece si può dire che prima dell'uomo non v'era 'nessuno'»18. Dunque l'origine è spaccata in due differenti origini che la tirano in direzioni oppo- ste; tale opposizione resta, tuttavia, interna alla stessa figura originaria. Nel capitolo agostiniano19 de La vita della mente20 che riprende e sviluppa lo stesso tema, Arendt esprime questa coessenzialità della differenza tra „principium‟ ed „initium‟ attraverso la distinzione tra un inizio „assoluto‟ e un inizio „relativo‟: «La distinzione tra un inizio "assoluto" e un inizio "relativo" indica lo stesso fenomeno implicito nella distinzione agostiniana tra il principium del Cielo e della Terra e l‟initium dell'Uomo. E se avesse conosciuto la filosofia agostinia- na della "natalità", Kant avrebbe forse convenuto che la libertà di una spon- taneità relativamente assoluta non è più imbarazzante per la ragione umana della circostanza che gli uomini nascono – nuovi venuti, sempre di nuovo, in un mondo che li ha preceduti nel tempo»21. Ma già tra le pagine scritte su Agostino ai tempi dell‟università risuona una prima eco dell‟importanza, per ciascuno/a, di questo mondo che ci ha preceduti nel tempo e della societas alla quale apparteniamo per nascita. Detto altrimenti, emerge qui l‟inizio della consapevolezza che sono principalmente le condizioni della nascita – cioè chi ci sta vicino e più in generale il gruppo di cui facciamo parte – a fare di noi quello che siamo. E quel che lei impara mentre la scrive – lo impara dalla vita, non dai libri – è di essere, per nascita, un'ebrea. 15 La teoria arendtiana non è anti-religiosa, ma da tutta la sua riflessione consegue che lo spazio poli- tico non può essere occupato dalla pratica religiosa, e che questi due piani devono essere tenuti ben distinti l‟uno dall‟altro. È vero – osserva Arendt – che uno dei motivi della decadenza della politica mo- derna ha origine nella crisi dell'autorità religiosa, ma non avrebbe senso ricostruire tale autorità nel cuore del processo di secolarizzazione. Cfr. H. Arendt, 1956. 16 H. Arendt a K. Jaspers, lettera del 4 marzo 1951, in Arendt, 1985; trad. it. p. 103. 17 Su „principium‟ e „initium‟ in Arendt si veda R. Esposito, 1996, pp. 25-33. 18 H. Arendt, 1958a, cit., p. 267. 19 Su Arendt e Agostino si vedano L. Boella, 1992; R. Bodei, 1987; L. Savarino, 1999 e R. Beiner, 1996. 20 Si tratta del sesto capitolo, intitolato “Quaestio mihi factus sum”: la scoperta dell‟uomo interiore, pp. 369-430. 21 H. Arendt, 1978b, cit. p. 430. 7 La tesi, intitolata Der Liebesbegriff bei Augustin22 [Il concetto d’amore negli scritti di sant’Agostino], viene pubblicata nel 1929, come volume IX della collana "Ricerche filosofiche" curata da Jaspers per la casa editrice Springer di Berlino. Nell'introdu- zione, Arendt descrive in che modo intenda enucleare le molteplici sfaccettature del pensiero di Agostino, e dichiara di voler dimostrare soprattutto – sull'esempio del concetto di "amore" – come tale pensiero si radichi sia nel mondo greco che nella cultura della sua epoca – aspetti, questi, rimasti tradizionalmente sullo sfondo ri- spetto alle (se non addirittura nascosti dalle) sue enunciazioni dogmatiche, che tut- tavia solo in apparenza hanno un carattere atemporale. Si interessa dunque alla sfera preteologica del pensiero di Agostino, ossia all'esperienza soggettiva che lo ha spinto a convertirsi al cristianesimo: «Agostino, il primo filosofo cristiano […], fu anche il primo uomo di pensiero che si rivolse alla religione spinto da dubbi di ordine filosofico […]. Nelle Con- fessioni, Agostino narra come il suo cuore si fosse dapprima "infiammato" alla lettura dell'Hortensius di Cicerone, un testo […] contenente un elogio della fi- losofia. Agostino non smise di citarlo sino alla fine della sua vita. E se divenne il primo filosofo cristiano è perché lungo l'intero arco della sua esistenza si mantenne fedele alla filosofia»23. E delinea, invece del Padre della Chiesa ansioso di istituire un dogma, un credente per il quale non si tratta di «abbandonare le incertezze della filosofia a favore di una verità rivelata, ma di scoprire le implicazioni filosofiche della sua nuova fede»24; pre- senta un autore niente affatto dogmatico, nel quale il comandamento di amare il prossimo come se stessi innesca molteplici riflessioni, in tensione tra loro. Questa tensione deriva, innanzitutto, dal fatto che i pensieri seguono strade divergenti, e poi dal fatto che Agostino li esplicita intendendo l'essere in due modi diversi: secon- do la tradizione filosofica della tarda antichità e secondo la tradizione cristiana. Da tale duplicità – che è tensione – scaturisce una scoperta essenziale per il mondo oc- cidentale: mentre la meraviglia filosofica reca la solitudine propizia all'interrogazio- ne dell'essere-in-sé, l'isolamento cristiano rispetto al mondo porta l'uomo a interro- gare se stesso: quaestio mihi factus sum, io sono divenuto per me oggetto di ricerca. Agostino apre così per i secoli successivi il regno dell'interiorità25. Ecco allora che la figura che viene tratteggiata in questo testo è quella di un pensatore che, attraverso un approfondimento della filosofia antica, è riuscito a giustificare anche la presenza nel mondo dell'amore, nonostante il suo fondamento lo trascenda. Delineando al- tresì il duplice cammino di Agostino tra la concezione greca dell'essere come identi- co a ciò che sempre è e la concezione cristiana del mondo perituro, creato da Dio e costituito dall'uomo, Arendt allude alla necessità di trovare nel mondo una patria per una via che non sia quella dell'attività fabbrile – che considera il mondo cosa e- stranea, da usare, ma da cui si può anche scegliere di ritrarsi – bensì quella di un „amore del mondo‟, che consiste nella scelta di appartenere ad esso e di renderlo in questo modo „mondano‟. Descrivendo in sede introduttiva il cammino speculativo percorso dalla sua disser- tazione, Arendt illustra anche il cammino che il suo stesso pensiero ha compiuto al- la volta della dissertazione: «Questo studio propone tre analisi. La prima comincia con l'amore, inteso come appetitus, l'unica definizione che Agostino abbia dato dell'amor. Alla fi- ne, quando esporremo l'ordinata dilectio, potremo notare le incongruenze a 22 H. Arendt, 1929, cit. 23 H. Arendt, 1978b, cit., pp. 401-402. 24 Ivi, p. 404. 25 H. Arendt, 1930a; trad. it. pp. 63-66. 8 cui tale definizione conduce Agostino stesso, e saremo perciò costretti a pas- sare a un contesto concettuale del tutto diverso, che interviene già – in un senso propriamente marginale, e a un primo livello di analisi incomprensibile – nel tentativo di dedurre l'amore per il prossimo dall'amor qua appetitus. An- che il secondo livello di analisi permetterà soltanto di capire a che titolo il prossimo viene amato nella dilectio proximi. Solo un terzo livello di analisi chiarirà l'incongruenza del secondo, culminante nella domanda relativa a co- me sia possibile che l'uomo, isolato da tutto quanto è mondano, coram Deo nutra ancora interesse per il prossimo. Ma ciò avviene in quanto la rilevanza del prossimo viene dimostrata muovendo da un contesto del tutto diverso»26. Le tre parti dello scritto (un lavoro che si articola attorno alla filosofia esistenziale di Karl Jaspers, ma che parla ancora una lingua heideggeriana) affrontano ciascuna una particolare accezione del concetto di amore: l'amore come desiderio, l'amore come rapporto fra l'uomo e il suo creatore, e infine l'amore per il prossimo. È quest‟ultimo che viene presentato come il fondamentale, quello verso il quale anche i primi due sono orientati. Ogni parte presenta altresì l'amore come un fenomeno di esistenza temporale. L'amore come appetitus ha un orientamento verso il futuro, è anticipatore. L'amore come rapporto col Dio creatore è orientato verso il passato as- soluto, la creazione. L'amore del prossimo, l'amore nel tempo presente, coinvolge entrambi quei modi di esistenza temporale, e anche le capacità che essi presuppon- gono presenti nell'uomo: la speranza e la memoria. Dunque tre modi di temporalità: il passato o il „non più‟, il futuro o il „non ancora‟, e il presente, che in un certo sen- so non c'è affatto. Il punto di partenza dell‟analisi è il tema ispiratore delle opere di Agostino: l'impor- tanza del prossimo, il fatto che non siamo soli nel mondo. Importanza della quale Arendt mette in risalto il paradosso: sebbene il comandamento "Ama il prossimo tuo come te stesso" ponga il prossimo al centro dell'etica cristiana, la relazione del cri- stiano con Dio si fonda sull'isolamento radicale dell'uomo rispetto ai suoi simili, sulla svalutazione del mondo terreno. Occorre dunque comprendere cosa significhi per Agostino amare se stessi, quale sia l'amore di sé che si effonde al prossimo an- che quando i rapporti mondani sono come sospesi. Arendt interroga Agostino partendo dall'unico luogo nel quale l'esistenza umana trascenda se stessa: il mondo. Agostino sottolinea instancabilmente la forza dell'at- taccamento degli uomini al mondo. Per „amore del mondo‟ (dilectio mundi), l'uomo non solo è „nel mondo‟, ma anche „del mondo‟: «"Infatti si chiama mondo, non solo cotesta opera che Dio ha creato, il cielo e la terra... ma gli abitanti del mondo sono chiamati mondo... dunque tutti quelli che amano il „mondo‟ sono chiamati „mondo‟". Il mondo in quanto mon- do terreno non si costituisce solo attraverso le opere di Dio, ma attraverso i dilectores mundi, gli uomini e quanto gli uomini amano. Solo l'amore per il mondo fa del coelum et terra un mondo, una res mutabilis»27. In quanto creato, il mondo è anche quel che l'uomo trova sempre accessibile, ogget- to del suo fabbricare; ma per Agostino – e per Arendt – la fabbricazione non procura riconoscimento di sé, essendo al contrario un processo al quale l'uomo resta estra- neo. Solo l'amore del mondo eleva il mondo a patria per l'uomo. È da Agostino che proviene il tema dell'amore del mondo, così importante nella ri- flessione filosofica arendtiana: l'amore del mondo è alternativa alla fabbricazione a- lienante. Purché si ricordi tuttavia, come fa lei, che Agostino non esorta gli uomini ad abbandonarsi all'amore del mondo – designato con il termine „dilectio‟, che ri- 26 H. Arendt, 1929, cit., pp. 18-19. 27 Ivi, p. 30. 9 manda alla dimensione spregiativa della „cupiditas‟ –, ma al contrario a fuggirlo con tutte le forze. Gli uomini devono riconoscere in Dio la loro vera essenza e la loro ve- ra provenienza, e tale riconoscimento impone di fare del mondo un deserto e di ri- trarsi in sé. Infatti, sebbene l'importanza dell'altro sia l'intuizione centrale di Ago- stino, l'estasi verso Dio comporta la negazione del mondo e di conseguenza l'impos- sibilità di fondare l'incontro concreto con l'altro nel mondo. Dunque si può salvare l'amore del mondo solo contro Agostino stesso. Non a caso, in Arendt l'amore del mondo sarà „amor mundi‟ e non „dilectio mundi‟. Ne Il concetto di amore, Arendt non disgiunge i due movimenti ancora legati in Ago- stino: il movimento della memoria che ci riporta all'origine, alla nascita, e il movi- mento del desiderio che ci protende verso il futuro. Lo farà in seguito, per meglio va- lorizzare la categoria di „natalità‟. Per il momento mostra come, in Agostino, sia sempre la preoccupazione della morte a provocare il ritorno a sé. Dal momento che i beni desiderati nel mondo sono perituri, l'amore del mondo è sempre timore di per- dere l'oggetto bramato e timore della morte: ecco le disposizioni soggettive fonda- mentali che hanno portato Agostino al cristianesimo. È possibile sfuggire a quei ti- mori solo amando in se stessi la propria essenza derivante da Dio. Del resto, il ri- torno al principio – e quindi al Creatore dal quale traiamo la nostra esistenza – con- duce all'annullamento del tempo: l'origine, nella quale non eravamo, rappresenta anche il nostro futuro, poiché la morte è solo ritorno alla situazione anteriore alla nascita. In entrambi i casi, il ritorno a sé, amare in sé la propria essenza / amare in sé la propria origine, separa l'uomo dal mondo. La relazione dell'uomo con Dio fa del mondo un deserto. Che sia desiderio o amore del Creatore, presuppone infatti sempre l'«estraneità del mondo»28, ragion per cui Agostino non riesce a fondare una vera comunità umana. Il prossimo non lo si incontra mai come singolo, è sempre chi è riconosciuto avente in Dio essenza o origine: dunque la relazione con l'altro è sempre fugace, serve al sé solo da tramite verso la trascendenza: Detto altrimenti: per Arendt – come argomenterà più compiutamente in Vita Activa – abitare ed amare il mondo significa accettare l‟essere insieme, il comune vincolo di appartenenza, cioè l‟«essere-con [e l‟]essere-per gli altri»29 – del resto è l‟«amore del prossimo il motivo per sobbarcarsi l'onere del politico terreno»30. Proprio questo – che per lei è l'unico significato dell'amore del prossimo – è il punto rispetto al quale la dottrina agostiniana percorre i sentieri più irti, rinviando ossessivamente all'iso- lamento del singolo di fronte a Dio e alla legge, alla contrapposizione tra eternità e contingenza. La dilectio proximi scaturita dalla caritas ama l'altro come ama Dio, os- sia decide dell'essere dell'altro prima dell'amore: non ama il prossimo, ma l'amore, dato che «il prossimo è tale solo in quanto si pone in relazione a Dio allo stesso mo- do di me stesso. Esso non è più esperito nei concreti incontri mondani – come ami- co o come nemico – bensì è già installato a priori in quanto uomo in un mondo che decide sull'amore»31. L'altro è solo occasione per l'amore di Dio, non è mai un indi- viduo concreto, ma un uomo astratto, amato per quanto c'è di divino in lui, e in re- altà abbandonato nell'isolamento assoluto in un mondo svuotato di senso: «Nella dilectio che ama sicut Deus, l'altro per il diligens non è che creatura di Dio e il suo incontro avviene con l'uomo definito a partire dall'amore divino come a Deo creatus. Tutti gli uomini si incontrano in questo amore che nega se stesso e i propri vincoli e tutti sono ugualmente importanti – o meglio, tra- scurabili – per il proprio essere. La creatura legata alla propria origine non 28 Ivi, p. 79. 29 Ivi, p. 129. 30 H. Arendt, 1993; trad. it. p. 50. 31 H. Arendt, 1929, cit., p. 52. 10

Description:
del suo amante. […]Capisco perché dovevi tratteggiare Angelo Roncalli [papa Giovanni XXIII], il conta- dino bergamasco semplice e saggio, in mezzo
See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.