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Guida galattica per gli autostoppisti. Il ciclo completo PDF

2016·1.65 MB·italian
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Il libro Lontano, nei dimenticati spazi non segnati sulle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitargli intorno, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, si trova un minuscolo, trascurabilissimo pianeta azzurro-verde le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive da credere ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione. Quel pianeta sta per essere distrutto, per lasciare il posto a una gigantesca circonvallazione iperspaziale... Nata da una fortunatissima serie radiofonica trasmessa dalla BBC, la surreale “trilogia in cinque parti” di Adams con le assurde e irriverenti avventure di Arthur Dent e Ford Prefect, viaggiatori delle galassie, è considerata un capolavoro dell’umorismo britannico di fine millennio, un vero fenomeno di culto per migliaia di lettori che qui possono trovare riuniti in un unico volume tutti i cinque romanzi. L’autore Douglas Noël Adams (1952-2001), laureato in lettere, ecologista, appassionato di scienza e filosofia, ha lavorato come sceneggiatore di serial radiofonici. Oltre alla Guida galattica per gli autostopposti, è autore di una serie dedicata all’investigatore olistico Dirk Gently. Dal 25 maggio 2001 si celebra ogni anno in suo onore il “Towel Day”. Douglas Adams GUIDA GALATTICA PER GLI AUTOSTOPPISTI Il ciclo completo Traduzione di Laura Serra Guida galattica per gli autostoppisti Guida alla Guida ovvero, qualche inutile nota dell’autore La storia della Guida galattica per gli autostoppisti è ormai così complicata che ogni volta che la ripercorro mi contraddico da solo e quando riesco a imbroccarla vengo citato a sproposito. L’uscita di questo volume è quindi parsa l’occasione ideale per chiarire tutto o almeno per distorcerlo in via definitiva. Qualunque osservazione errata sarà fatta qui, io la considererò errata una volta per sempre. L’idea del titolo era germogliata nel 1971, mentre me ne stavo ubriaco a pancia in su in un prato a Innsbruck, in Austria. Non ero ubriaco fradicio: avevo solo il tipo di sbronza che può prendersi un autostoppista squattrinato che, dopo due giorni di digiuno, decida di tracannare due belle Gösser forti. Si trattava, insomma, di una lieve incapacità di reggersi sulle gambe. Viaggiavo con una copia molto logora della Hitch Hiker’s Guide to Europe (Guida all’Europa per gli autostoppisti) di Ken Walsh, che avevo preso a prestito da qualcuno. Anzi, visto che è in mio possesso dal 1971, il libro è ormai da considerarsi rubato. Non avevo invece Europe on Five Dollars a Day (come si intitolava allora),1 perché cinque dollari erano roba da capitalisti. La notte prese a calare sul prato, che mi girava intorno lentamente. Mi chiesi dove andare, quale posto costasse e vorticasse meno di Innsbruck e non mi trattasse come mi aveva trattato Innsbruck quel pomeriggio. Avevo camminato per la città alla ricerca di un particolare indirizzo, e poiché mi ero completamente perso mi ero fermato a chiedere informazioni a un passante. Sapevo che, data la mia ignoranza del tedesco, poteva essere un’impresa ardua, ma non mi sarei mai aspettato una tale difficoltà di comunicazione. Mentre lo sconosciuto e io tentavamo di capirci, mi ero reso conto che di tutti gli abitanti di Innsbruck cui avrei potuto chiedere informazioni avevo scelto proprio quello che, oltre a non parlare né inglese né francese, era anche sordomuto. Esprimendo a gesti le mie sincere scuse, mi ero congedato da lui e pochi minuti dopo, su un’altra strada, avevo fermato un altro passante domandandogli le stesse cose. Ma anche lui era risultato sordomuto, ed era stato a quel punto che avevo comprato le birre. Poi mi ero avventurato di nuovo in strada e avevo ritentato la fortuna. Al terzo passante sordomuto e per giunta cieco, avevo cominciato a sentirmi oppresso da un gran peso; tutti gli alberi e i palazzi intorno a me avevano assunto un aspetto cupo e minaccioso. Sotto le sferzate di un’improvvisa raffica di vento, mi ero stretto nel mio giaccone barcollando e avevo accelerato il passo. Avevo urtato qualcuno e balbettato parole di scusa, ma anche quell’ennesimo sconosciuto si era rivelato sordo, cieco e incapace di capirmi. Il cielo si era oscurato. Il marciapiedi mi era sembrato inclinarsi e vorticare. Se in quel momento non avessi infilato una strada secondaria passando davanti a un albergo dove si teneva un congresso per sordi, forse avrei perso la mia sanità mentale e avrei passato il resto della vita a scrivere il genere di libri per cui Kafka andava matto e che lo resero famoso. Invece ero finito su un prato con la mia Hitch Hiker’s Guide to Europe. Quando spuntarono le stelle, pensai che se ci fosse stata sul mercato una Guida galattica per gli autostoppisti, sarei partito a razzo. Dopo quel pensiero mi addormentai immediatamente e per sei anni mi dimenticai dell’idea. Frequentai l’università di Cambridge e, fra un tracollo finanziario e l’altro, presi una laurea in letteratura. I miei principali interessi erano le ragazze e la sorte della mia bicicletta. In seguito diventai uno scrittore e lavorai a numerosi progetti che avrebbero avuto un incredibile successo se mai si fossero decisi a vedere la luce. Chi fa lo scrittore capirà che cosa intendo dire. L’idea che accarezzavo era di scrivere una storia a metà tra la commedia e la fantascienza, e fu quell’ossessione a farmi indebitare fino al collo e precipitare nella disperazione. Nessuno pareva interessato. Poi finalmente incontrai Simon Brett, un produttore radiofonico della BBC che a sua volta aveva pensato a una commistione di comico e fantascientifico. Benché abbia prodotto solo il primo episodio e poi lasciato la BBC per concentrarsi sul mestiere di romanziere (è famosissimo negli Stati Uniti per gli eccellenti polizieschi che hanno per protagonista l’investigatore Charles Paris), Simon ha avuto il grande merito di avviare il progetto, e gli devo moltissimo. Gli succedette il mitico Geoffrey Perkins. In origine il programma fu concepito in maniera abbastanza diversa da come poi si sviluppò. All’epoca ero piuttosto scontento del mondo e avevo elaborato sei diversi intrecci, in ognuno dei quali la Terra veniva distrutta in modi e per motivi diversi. Il titolo previsto era Le fini della Terra. Mentre perfezionavo i dettagli della prima trama, nella quale il nostro pianeta veniva demolito per fare spazio a una nuova superstrada interspaziale, mi resi conto che, per inquadrare la storia nell’opportuno contesto, bisognava introdurre un abitante di un altro pianeta che spiegasse al lettore cosa stava succedendo. Dovetti quindi dare una fisionomia a questo alieno e illustrare i motivi del suo soggiorno sulla Terra. Decisi di chiamarlo Ford Prefect. (L’ironia non poteva ovviamente essere colta dal pubblico americano, il quale non aveva mai sentito nominare quella strana automobile, e molti negli Stati Uniti pensarono che si trattasse di un refuso e che il nome fosse Perfect.)2 Nel testo spiegavo che l’approssimativa indagine condotta dal mio personaggio alieno prima di arrivare sul pianeta lo aveva indotto a credere che quel nome “passasse inosservato”. In pratica Ford non aveva capito quale fosse la forma di vita dominante. Come aveva potuto commettere un simile errore? Mi ricordai che, quando giravo in autostop per l’Europa, spesso trovavo fuorvianti o datati i consigli e le informazioni in mio possesso, che comunque provenivano in gran parte da resoconti di viaggio di altra gente. A quel punto il titolo Guida galattica per gli autostoppisti riaffiorò all’improvviso dal recesso della mia mente in cui per anni era rimasto sepolto. Ford, decisi, sarebbe stato un ricercatore che raccoglieva dati per la Guida. Appena cominciai a sviluppare il concetto, si delineò subito il nucleo della storia e il resto, come disse a suo tempo il creatore della vera Ford Prefect, è un mucchio di sciocchezze.3 Molti si stupiranno di apprendere che la trama procedette nel più ingarbugliato dei modi. Poiché si trattava di un serial, quando terminavo un episodio non avevo idea di cosa sarebbe accaduto in quello successivo. Ogni volta che tra le svolte e i meandri dell’intreccio un avvenimento pareva all’improvviso chiarirne altri successi prima, io ero il primo a meravigliarmene. Finché lo mantenne in produzione, la BBC ebbe verso il programma un atteggiamento molto simile a quello di Macbeth verso l’omicidio: dubbi iniziali seguiti da cauto entusiasmo, poi una crescente preoccupazione per la mole dell’impresa, che pareva gonfiarsi a dismisura. La voce secondo la quale io, Geoffrey e i tecnici del suono saremmo rimasti in uno studio sotterraneo per settimane di fila, impiegando per realizzare un singolo effetto sonoro lo stesso tempo che altri impiegavano per realizzarne un’intera serie (e impedendo l’utilizzo dello studio per tutta la durata del periodo) fu vigorosamente smentita, ma era verissima. Il budget aumentò a tal punto da poter pagare qualche secondo di “Dallas”. In caso di insuccesso del programma. Il primo episodio andò in onda su Radio 4 della BBC alle dieci e mezzo di sera di mercoledì 8 marzo 1978, dopo un colossale non- battage. Lo sentirono giusto i pipistrelli. Quattro gatti miagolarono. Dopo un paio di settimane giunsero due o tre lettere. Dunque qualcuno aveva ascoltato la trasmissione. Alcune delle persone con cui parlai avevano apprezzato Marvin l’androide paranoide, un personaggio che avevo inventato per un unico sketch e che avevo poi approfondito solo per l’insistenza di Geoffrey. In seguito alcuni editori cominciarono a interessarsi, e l’inglese Pan Books mi chiese di ricavare dal serial un romanzo. Rimandai, mi imboscai, inventai scuse e mi indebitai fino al collo, dopo di che riuscii a scriverne due terzi. Allora alla Pan mi dissero con molta cortesia e bon ton che avevo già mancato di rispettare una decina di scadenze: facessi dunque il piacere di terminare la pagina a cui stavo lavorando

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