ebook img

Gli scaldi: poesia cortese in epoca vichinga PDF

223 Pages·1984·7.174 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Gli scaldi: poesia cortese in epoca vichinga

GLI SCALDI poí'SiA c:()K'ri:si: í)'í:[H)ca v ic h in c a A cura di Ludovica Koch Giulio Einaudi editore INTRODUZIONE di Ludovica Koch A Mario Gabrieli Insolente, giocatore, carpentiere, spaccone. Il primo manife­ sto poetico dello scaldo sembra nascosto nella malcerta etimo­ logia del suo nome *. Fatto senza precedenti, quel nome è un neutro plurale. Una definizione di cose, dunque, e solo attra­ verso le cose (che le appartengono o che fa) della persona. I ver­ si vengono evidentemente prima del poeta. L’opera, delle mani ^ o della lingua, identifica a ritroso quelle mani e quella lingua. E tuttavia non si tratta di una dichiarazione, brutale quanto si vuole, di anonimato orale. Mai vista, nell’alto Medioevo, una poesia tanto firmata. Queste stranezze sono eccessive anche nell’ambito delle lin> gue antiche, che spesso chiamano il poeta con nomi opachi. Opachi, s’intende, non perché vaghi o vuoti, ma perché troppo pieni: di significati mutevoli e stratificati nel tempo. Maldefi­ nita, slabbrata ne resta l’immagine che dello scaldo restituisce la sua cultura. È più facile dire che cosa non sia, o non sia stato, uno scaldo piuttosto che ritagliare con esattezza una sua sagoma professionde nel ricco tessuto semantico del fare poesia. Cosi come è più facile delimitare per differenze la poesia degli scaldi dall’epica, dalle saghe, dalla letteratura epigrafica, piuttosto che per stiracchiate e sempre insoddisfacenti omogeneità formali o tematiche. Lo scaldo non è, intanto, un veggente: anche se resta con­ sapevole a lungo della sua eredità orfica e magica (un’arcaica associazione indoeuropea). Al rituale e alla mantica presiedono, ‘ Skàld o skald, «poeta», sembra parola imparentata con Tingi, to scold, ted. schel- ten. Skàlda o skàldstgng è un «palo d’infamia», con imprecazioni (in versi?) incise. Skàldskapr, «poesia», significa nello stesso tempo «libello ingiurioso». C’è forse con­ nessione anche con la radice di skilja (da cui skjgldr, «scudo»), «separare» e, in parti­ colare, « lavorare il legno in lamelle» (con strofe incise?). Per un riesame dell’intero pro­ blema, cfr M. T. Steblin-Kamenskij, 0« thè Etymology of thè Word «skald», in Afmælisrit Jóns Helgasonar, Reykjavik 1969, pp. 421-30. ^ Usano firmarsi tanto l’incisore di pietre runiche quanto l’artigiano che ha fabbri­ cato un gioiello o un oggetto d’uso. LUDOVICA KOCH Vili INTRODUZIONE IX in epoca preistorica, altri oscurissimi protagonisti poetici. Il scienza dello star facendo poesia, proclamata a ogni passo, fun­ þulr, la spàkona, lo spámadr^: tutti variamente in contatto con ziona da prisma, che scompone e condensa. Lancia gamme e con­ il mondo dei morti. Se proprio si vuole rintracciare un archetipo trasti, spalanca distanze, proietta ombre (il rovescio delle cose), di poeta 'cieco’, un Demodoco nordico, bisognerà pensare alla sovrappone fantasmi, bilancia mobiles precari e perpetui. voce parlante nella Vgluspa, la sibilla che rivede l’emergere e I testi classici dichiarano lo scaldo garante della memoria e prevede lo sprofondare dei mondi; e non a personaggi, se non autore della lettura autentica dei fatti. Nel capitolo 206, la Saga apollinei (saturnini, piuttosto), certo eminentemente tecnici co­ di Ólàfr il santo {Ólàfs saga belga) sta avviandosi al suo culmi­ me gli scaldi. ne, segnalato, secondo le regole dal rallentarsi del ritmo nar­ Non è un cantore, e tanto meno un giullare. Il verbo dell’ese- rativo e dall’ottica sempre più ravvicinata. Sono in corso i pre­ cuzione poetica, kveda \ sembra alludere a un cantilenare, piut­ parativi per la famosa battaglia di Stiklastaðir (1030), dove tosto, i versi; con l’intonazione a sottolineare i collegamenti^ e Öláfr (e il lettore l’ha capito) sarà ucciso. Snorri descrive l’im­ senza accompagnamento musicale. La pratica dell’arpa, di ori­ pressionante accuratezza con cui il re sceglie gli uomini più forti gine continentale, è attestata soltanto dall’undicesimo secolo. e coraggiosi a formare «un recinto di scudi», e fa entrare dentro Gunnarr, nella fossa dei serpenti, fa vibrare le corde «con l’odio quel recinto i suoi scaldi. «Voi restatevene qui, — gli dice, - a nel cuore» \ Ma suona senza cantare. guardare quello che accadrà. Non sarà per sentito dire, dopo, Lo scaldo non è neppure un narratore in versi; anche se le che ci farete versi sopra». sue prestazioni hanno un carattere competitivo, ludico e pub­ Della 'verità’ a cui i testi scaldici pretendono resta custode blico accentuato. Lo ascoltano corpi sociali importanti e ricono­ l’impianto formale. Dice ancora Snorri (stavolta all’inizio della scibili: la hird (il seguito del principe), il convito, l’esercito, Saga degli Ynglingar) che Odino, patrono e maestro degli scal­ l’assemblea legiferante [þing). Solo in via eccezionale un’accolta di, quando regnava in terra «parlava sempre in rime», «con tale casuale e composita, o addirittura un pubblico di schiavi. E que­ facilità ed eloquenza, che tutti quelli che lo ascoltavano crede­ sti ascoltatori si aspettano dallo scaldo, piuttosto che un diver­ vano soltanto alle sue parole». La «forma del discorso» ([lopcpiQ sivo {skemtan, fræði), una sfida intellettuale. Non gli chiedono ETcéwv: Od. II 363) assicura ad UHsse un alone di credibilità. la linearità, ma l’araldica. E dunque non il racconto (mitico, Ma Ulisse, in realtà, sta mentendo; il suo racconto è un’astuzia eroico o storico che sia), ma una tempesta d’enigmi, uno sfoggio e un’azione. Che cos’è la verità, in letteratura? La completezza d’emblemi. La specializzazione è tale che uno scaldo non recita della ricognizione? La proposta di un 'mondo possibile’ in ar­ mai un carme epico, né tanto meno una saga e neppure (con monia con le presupposizioni del pubblico? Il giudizio memo­ l’eccezione dei Bjarkamál ’) un testo che non ha composto. rabile? ( ’AlTi^Eia, in Simonide e Pindaro, si oppone a «dimenti­ Dei compiti che, nella Teogonia, si assumevano le Muse, «di­ canza», non a «menzogna» ’). O una formula per la chia­ re le cose che furono, e sono, e saranno», gli scaldi rivendicano rificazione e per la metamorfosi? a sé esclusivamente il territorio del presente. Per il giudizio e Scaldi si nasce, per eredità e per indole. La disposizione poe­ per l’interpretazione, non per la notizia. Aggrediscono il tempo tica è un tratto di famiglia (come la forma del naso) o un fattore che gli corre davanti, denso di ricordi e di silenzi. Sezionano e di identificazione (come una cicatrice). Ed è un tratto che si ac­ curvano l’accadimento in stemma. compagna sempre ad altri segnali di diversità, al limite dell’e­ Nessuna letteratura, come la loro, è costruita tanto esclusiva- sclusione e del sospetto. Egill Skalla-Grimsson, figlio e nipote mente per giochi di lenti, microscopiche e telescopiche. La co- di poeti, compone a tre anni le prime stanze e a sette spacca la testa con un’accetta a un compagno di giochi per un litigio nel ^ Cfr per cs. P. Buchholz, Schamanìsthche Ziige in dcr altìslàndìschen Vherliefe- gioco della palla. La sua saga lo presenta mettendone in rilievo rung, Saarbriicken 1968, pp. 65 sgg. Distinto da yrkja (ingl. to work, ted. Werk), il verbo materialissimo della compo­ sizione («fabbricare»), ^ M. Gabrieli, La poesia scaldica norrena, Roma 1962, p. 23. * Sulle convenzioni narrative della saga, cfr Th. M. Andersson, The Icelandic Family ‘ Atlakviða in grœnlenzka 31 (nelVEdda poetica). Saga, An Analytic Reading, Cambridge (Mass.) 1967. Vedi sotto, Poesia di fama e d’infamia, p. 45. ’ M. Detienr.i, Les Maìlres de vérité dans la Grèce archàique, Paris 1967, p. 25. LUDOVICA KOCH X INTRODUZIONE XI le irregolarità sullo stereotipo biondo e bello dell’ eroe, e i tratti di. A loro era assegnato il secondo posto d’onore, dirimpetto al inquietanti: re». E la Canzone del Corvo “ snocciola i segni tangibili del loro prestigio a corte: Fu chiamato Egill. E quando crebbe, si potè vedere di lui ben pre­ sto che sarebbe diventato molto brutto, e somigliante a suo padre, con Si vede, dai loro vestiti, i capelli neri. A tre anni era alto e forte come gli altri bambini di sei o dai loro anelli d’oro, sette anni. Aveva imparato presto a parlare, ed era esperto nell’uso la confidenza col re. delle parole {orðvíss: cap. 40). Mantelli rossi addosso con bordi scintillanti, Hallfreðr è invece descritto in questo modo {Hallfreðar sa- spade a borchie d’argento, cotte tessute di maglie, bandoliere dorate, Era, fin da giovane, alto e forte, virile d’aspetto. Aveva sopracciglia elmi sbalzati, leggermente spioventi, un brutto naso e capelli neri che gli stavano bene. Era un bravo scaldo. bracciali ai polsi: tutti regali di Haraldr. Ma scaldi si diventa anche, a forza di studio e di norme. Fa il A giudicare dai compensi, infatti, nessuna cultura arcaica ha poeta, infatti, in questa cultura, l’eccezionale padronanza della posto mai altrettanto in alto la poesia. C’è un grazioso episodio lingua, della retorica e dei metri; molto più di qualità mal pre­ su Gunnlaugr ormstunga («lingua di serpe») e il giovane e im­ cisabili come una percezione originale del mondo, o una com­ pacciato re Sigtryggr silkiskegg («barbadiseta»). Il re domanda prensione profonda delle ragioni delle cose. Al traguardo del al suo tesoriere se sia sufficiente regalare al poeta, in cambio di parlare in versi con la rapidità e la facilità della prosa (come una canzone, due navi mercantili. «È troppo, signore, risponde faceva Odino, come farà Þórmóðr) si arriva per apprendistato il tesoriere: gli altri principi regalano, come compenso poetico privatissimo dai poeti famosi (Einarr da Egill) e soprattutto per {skàldfé), belle spade o bei bracciali d’oro». lungo esercizio appartato e notturno. «Mentre gli altri dormo­ Che tradizioni di poesia non epica fossero diffuse precoce­ no», dirà Einarr Skùlason. mente in tutte le culture germaniche, gli storici tengono moltis­ Meno codificabile della cultura tecnica, ma non meno essen­ simo a ricordarlo. Citano, su quei testi scomparsi, testimonianze ziale, appare la cultura generale del poeta: psicologica, filoso­ famose. Tacito, che parla di panegirici e di genealogie. Ausonio, fica, storica, mitologica, politica. L’esperienza multiforme e sot­ che fa cenno a invettive renane. Sidonio, che conosce epitalami tile della vita (non solo, dunque, da bravaccio in guerra e non franchi. Venanzio Fortunato, che scrive di encomi merovingi. solo da cortigiano) che emerge dalle sue disincantate, e spesso Procopio, che sa di elegie vandale. Ma come ricostruire le regole profonde, ricostruzioni dei fatti fa dello scaldo una figura intel­ di generi noti soltanto attraverso qualche sbiadito riflesso in lettuale complessa e prestigiosa non meno del chierico nel Me­ latino? I primi nomi di poeti e, quel che più conta, i primi testi dioevo romanzo. Lo scaldo consiglia il re, non ne esalta soltanto sono quelli degli scaldi del ix secolo. Norvegesi, poi islandesi: i successi. È un pedagogo, uno storico, un diplomatico, un poli­ per le stesse ragioni di curioso monopolio di fatto che portava tico influente. Sigvatr combina alleanze in prima persona fa generazioni di poeti egiziani nelle corti imperiali romane del iv piani di sviluppo e rischia la testa per avvertire «a cuore aper­ e v secolo. to» {Bersgglisvisur) il suo giovane re dei molti errori che sta Il contesto è quello della piena espansione vichinga. Il potere facendo. rafforzato dei re norvegesi comincia a fondare stati (e corti) ri- L’istituzione del poeta di corte sembra risalire a Haraldr hàr- conoscibili. Le città vengono fortificate. Ha inizio l’attività dei fagri («bellachioma»), l’unificatore del regno norvegese, e alla missionari. L’archeologia documenta l’altissima raffinatezza rag­ fine del ix secolo. «Più di tutti gli uomini del suo seguito (scrive giunta dall’artigianato e dalle arti. la Egils saga, 8, parlando di Haraldr) il re apprezzava i suoi scal- Di quasi inestricabile raffinatezza è anche il poemetto sullo Cfr p. 27J. Cfrp.13. LUDOVICA KOCH XII INTRODUZIONE XIII scudo dello scaldo norvegese Bragi Boddason (p. 329).Bragi for­ di ascendenza eddica, il kviduhàttr, l’altro antichissimo genere se inventa, e certo inaugura per noi, il genere scaldico 'alto’; la della genealogia {ættartal). dràpa encomiastica in dróttkvætt. Fra questa difficile stanza e La strofa base in dróttkvætt, «origine di tutti i metri» come la figurazione astratta contemporanea (il genere di Oseberg, per la chiama Snorri {upphaf olirà bàtta) è una costruzione sconcer­ intendersi: lo stile III di Salin ") esiste certo congenialità di gu­ tante, ma di grande effetto. Associa, infatti, praticamente tutti sto, e forse analogia di soluzioni. Più improbabile ritrovarvi, i criteri delle più eterogenee tradizioni metriche antiche. Mesco­ come si è voluto fare ”, un vero e proprio mimetismo: la dràpa la la rima e l’assonanza all’allitterazione, il computo sillabico a rifare lo scudo rotondo figurato, gli intrecci semantici e sin­ con la struttura accentuativa (sei sillabe e tre arsi per verso) tattici a ricalcare il labirinto di quei fregi, il richiamarsi di asso­ e con una prosodia quantitativa, tendenzialmente trocaica. Tro­ nanze e di rime a ripetere gli effetti di colore, E le kennìngar a caica è comunque sempre la clausola. Cosi (le allitterazioni sono restituire, di cose e persone, la stessa rappresentazione nozio- in corsivo, le rime in maiuscole); nale, non realistica; costruita per attributi e contrassegni, gerar­ chica, in prospettiva morale. LOGbrigðir/hefr LAGða, /andALFr,/ fyr mér/ sjQLFum, Più che il poeta a inventarsi i suoi metri, è la competenza nel ^ÍEKKir/ Í»rœðra/ s0KKva maneggiare il dróttkvætt a fare il poeta. E poco importa se quel­ bmbíANGJ vega/ lANGa;// la rara competenza è esercitata professionalmente o in via del GunnhlLDi/ ák gjALDa, greypt’s hENNAr skap,/ þENNA, tutto occasionale; al limite, una volta sola nella vita. Accanto UNgr gatk/ ok /æ /AUNat, alle grandi e complesse personalità poetiche, gli Egill, gli Hall- /ANDrekstr,/ bili grANDat freðr, i Sigvatr, le saghe parlano di 'scaldi’ che sono re, vescovi, L’unità minima, probabilmente la stanza originaria, è la quar­ proscritti, berserkir e perfino spettri, apparsi in sogno a profe­ tina o helmingr: un autentico modulo compositivo. Ogni hel- tare in una quartina o un’ottava. Scaldi sono le sette donne di mìngr è poi fatto di due distici, fjardingar: legati al loro interno cui ci restano i versi, spesso molto belli. Scaldo (anzi «fabbro dall’allitterazione, ma non autonomi semanticamente come lo del metro») si proclama da solo Egill a tre anni, non appena gli era il distico epico (verso lungo). Un fjarding ripetuto a distanza riesce di mettere insieme correttamente la sua prima prodigiosa di alcune stanze costituisce il ritornello. I versi pari hanno una strofa. Scaldo è chiunque, in pieno xiii secolo, abbia ancora vo­ rima piena {adalhendin^-, i versi dispari, soltanto un’assonanza glia di mettersi a imparare da Snorri le regole per giocare il vec­ chio gioco pagano. {skothendin^. Scandita ad alta voce, e quindi restituita alla sua natura ora­ Queste regole del dróttkvætt sono poi rigide, ed estrema- le, la stanza scaldica è suggestiva e sonora. La sovrapposizione mente complesse. Almeno venti stanze, scandite da un distico della prosodia all’accentuazione naturale crea una gradevole ten­ ricorrente (ritornello, stej), costituiscono una dràpa, il tipo poe­ sione. Il gioco delle cesure movimenta il ritmo, e soprattutto tico più prestigioso e difficile. Meno impegnativa è la serie aper­ sottolinea i collegamenti sintattici. L’ottava, ispessita dai molti ta di stanze senza ritornello, il flokkr: ma non tutti i principi richiami sonori e semantici, prende curvatura e simultaneità di sono tanto accondiscendenti da accettare un panegirico in que­ sto metro, molti si infuriano pericolosamente. La stanza in oggetto. Un metro come questo, inaudito, intricato, deve venire dal­ dróttkvætt isolata è chiamata, appunto, «stanza sciolta» {},au- l’esterno, pensa chi lo studia. Troppo diverso dal 'verso lungo’ savisa); e raccoglie sfoghi, scherzi, bozzetti, imprecazioni. Sono dell’epica germanica: quattro arsi, allitteranti a due o a tre, un dràpur, e forse nel genere scaldico più arcaico, le grandi canzoni numero variabile di tesi, Victus sempre su parole di grande ri- sullo scudo di Bragi e di Þjóðólfr. Usa invece un metro strofico Cfr p. 51 (le sequenze in corsivo e quelle in tondo vanno lette separatamente); B. Salin, Die altgermanische Thierornamentik, Stockholm 1904, p. 270. «Il calpestadecreti ha decretato, I Alfo di questa terra, lo tradisse I il letto della mo­ H. Lie, Nalur og unatur i skaldekunsten, Oslo 1957, e più recentemente E. Ma- glie: ha massacrato I i fratelli, a me solo, viaggi eterni. I Ma a Gunnhildr devo fargliela rold, Skaldendichtung und bildende Kunst der Wikin?.cneit, in H. Birkham (a cura di), pagare, I ha un’indole spietata, questa mia I cacciata dal paese. I colpi bassi 1 li vendi­ Vcstgabe jiir Otto llöjler zum 7^. Geburtslag, Wien-Stuttgart 1976, pp. 449-78. cavo in fretta, un tempo, e a fondo». LUDOVICA KOCH INTRODUZIONE XV XIV lievo semantico. Ma quali modelli stranieri ricalca o combina? nanza) lavora invece sul verso. Lo spezza in due, sottolineata L’antica strofa irlandese di tipo deibideì II senario trocaico del- com’è quasi sempre da una fortissima cesura. Lo costringe a ri­ l’innografia latina? O qualche tipo di qasida arabo-persiana? piegarsi su se stesso e a interrogarsi. L’allitterazione incalza, la O un antichissimo metro sillabico indoeuropeo, resuscitato non rima resiste, riflette, avanza riserve. L’allitterazione è un bre­ si sa bene come? ve racconto timbrico, la rima una lanterna magica. L’allittera­ Troppo diverso dal verso lungo soprattutto per come funzio­ zione sottolinea le differenze, la rima tende all’identificazione: na, e per la sua poetica implicita. Lavoro di carpenteria, simme­ con tutti i problemi che alla definizione, e all’identità, sono trico, concavo e chiuso come una nave «spìnta dai due lati coi legati. remi» {Kàr. 17)^ - e che il metro sia una nave, lo sostengono Dunque l’allitterazione è un principio dinamico, dell’ordine mille metafore tecniche - la stanza degli scaldi delimita, lette­ del fare, che contrasta la rima: principio statico, che appartiene ralmente, uno spazio semantico. Curva, a colpi di ripetizioni e di senza dubbio all’ordine dell’essere e del vedersi. richiami, il flusso sonoro del discorso e lo inchioda su se,stesso. Knàtti eðrl við /llan «L’allitterazione», scrive infatti Ólàfr hvítaskáld nel III Trat­ /grmunrEKkr/ at vAKna tato grammaticale (dove calca le categorie di Donato, a forza, með drtyúiatj drótút sulla poesia degli scaldi), í/rAUM/ í sverða flAUMi... La 'tenzone’ fra allitterazione e rima è solo la prima delle è il principio stesso di quella consonanza che tiene insieme la poesia norrena come i chiodi tengono insieme la nave fabbricata dal carpen­ molte impalcature binarie che strutturano, in un incastro senza tiere, che altrimenti si staccherebbe tavola da tavola; allo stesso modo fondo, la drammaticità di questa stanza. Una seconda opposi­ questa figura tiene insieme la consonanza in poesia, con quelle lettere zione, che si percepisce immediatamente, è quella fra le due arti­ chiamate studiar («sostegni») e hgfuðstafr («lettera capitale»)... La colazioni del ritmo. Quella ternaria del singolo verso e l’altra, paronomasia (qui: assonanza) apporta alla poesia bellezza con la va­ rietà dei suoni, come fa il gioco d’incastri alle tavole della nave. Ma doppia invece, che mette a contrasto il primo verso col secondo, come le assi sono commesse saldamente fra di loro a forza di chiodi il primo fjarðing col secondo fjarðing e, infine, le due emistrofe anche dove manchi il gioco d’incastri, cosi l’allitterazione assicura so­ fra loro. Sono articolazioni ostili teoricamente e retoricamente. prattutto metri non rimati. Il macroritmo, quello che organizza la stanza, crede evidente­ Allitterazione e rime (il principio autoctono e il principio im­ mente nella possibilità (e nell’utilità) di distinguere i momenti portato) si contrappongono, quindi, come due sistemi indipen­ logici; il prima e il poi, il soggetto e l’oggetto, la causa e l’effet­ denti di raccordi sonori; ciascuno con un suo tempo, una sua to. Di qui un impianto antinomico del discorso. Se ABCD sono tenuta, una sua proposta dinamica. i distici dell’ottava, si vedrà che Ai è uso a lanciare, A2 a spie­ L’allitterazione opera su di un’unità doppia, il distico. Lan­ gare e completare; Bi prende a motivare Ai e A2, B2 calca la ma­ cia il primo verso ad accavallarsi impazientemente sul secondo. no, carica i toni. C e D introducono nuovi elementi, o svilup­ Accompagnandosi come fa a una scansione in apparenza indiffe­ pano un aspetto lasciato fino allora in ombra dalla partigianeria rente alle gerarchie semantiche (ma in realtà eversiva di quelle dichiarata di A e di B: per relativizzare, per insinuare dubbi, o gerarchie) e a una prosodia in apparenza distratta (ma in realtà al contrario per convincere anche la parte supposta restia di un astratta), l’allitterazione perde molta della sua antica solennità: uditorio composito. di quando, cioè (nell’epica), collegava gli elementi fondamentali Il microritmo, quello del verso, crede invece alle sfumature, del discorso. Ma ne acquista tanto maggiore mobilità e inquie­ alla mediazione fra le antinomie, alla natura simultanea e plu­ tudine. La rima (e non importa qui se sia rima piena o asso- rale dell’esperienza. Le tre arsi, contrapposte alle due e due del verso lungo epico, servono all’analisi, e quindi al montaggio Cfr, per tutto il problema, A. Heusler, Deutsche Versgeschichte, I, Berlin 1956, pp. 284 sgg.; H. Lie, Skaldestil-studier, in «Maal og Minne», 1952, pp. ^ sgg.; H. Kuhn, Voti Bragi bis Snorri. Zur Geschichte des Dróttkvætts, in Binarsbók, Reykjavik 1969, ** Cfr p. 328: «Ecco svegliarsi intanto Ermanarico I da un sogno malagevole, in pp. 211-32; G. Turville-Petre, «Dróttkveett» and Ancient Irish Measures, in Nine Norse mezzo I a principi macchiati di sangue, 1 in pieno torrente di spade». Il «torrente delle Studies, London 1972, pp. 154-80. spade» è la battaglia. LUDOVICA KOCH INTRODUZIONE XVII XVI cubista, delle componenti eterogenee del fatto. Sullo scheletro visionario: jarðggfugr^ orðum^ orð, fordum («terrapotente», delle opposizioni logiche, o fra le costole della nave (per conti­ «parole», «parole», «un tempo»). Il tempo lontano, splendido^ nuare la metafora), vengono a incastrarsi frammenti colorati, in cui Egill è ancora tutto assorto costituisce la sua vera iden­ schegge ombreggiate o lucenti. La solida nave ne diventa legge­ tità, sotto le spoglie della miseria presente. Le due emistrofe rissima e veloce, la macchina un mobile che volteggia a ogni giustappongono, crudelmente ma vittoriosamente, la personali­ soffio. tà visibile, sociale (il vecchio fragile deriso dalle donne) e quella L’impressione di ambigua materialità di queste stanze, che interiore. Si fronteggiano, nell’alternarsi dei \ ersi e nell’intrec­ costringe a tener conto della lingua in sé, come oggetto opaco cio sintattico, la donna scortese («Alzati, e vattene nella tua e non specchio o finestra sul mondo, favorisce un impianto se­ stanza, e lasciaci lavorare») e il poeta ormai imbelle, il re ricor­ mantico dichiaratamente spaziale. Coesistono, nell’osservazio­ dato, «terraglorioso», e il giovane Egill rispettato e temuto. ne, il sopra e il sottoterra, le due fiancate della nave, il dentro Altrove, una rima interna (in genere alla fine dello helmìngr) e il fuori della chiglia sbattuta dall’uragano. La smania cubista basta per un sigillo figurativo, o per una chiave retrospettiva di si sforza di dar fondo alla realtà ricombinandone i cocci. Ma il lettura. L’accostamento sorprendente di due parole funziona, a vuoto lasciato fra quei cocci, l’impossibilità a fonderli insieme volte, da «correlativo oggettivo». Solleva immagini e sensazio­ segnano la natura ironica, distante, dell’operazione. I residui di ni. Il picchiettare metallico di una grandine che non è grandine esperienza che il furore geometrico non riesce a consumare insi­ (resa mimeticamente dal fitto andamento trocaico, che si placa diano, rendendole fragilissime, le sue costruzioni. Si ripete, for­ soltanto neU’ultimo verso) tempesta d’isole, come di chiodi d’ar­ se, in ogni stanza degli scaldi classici la vicenda (lo spettacolo?) gento, la cupa «cintura» del mare. Più oltre si dilunga, a per­ del «non son qual fui» di Egill: dita d’occhio, un paesaggio di vette nevose. Fra le serie verticali, narrative, del discorso {hauks... hàfjgll... hegldu... digulsnjàvi, Hvarfak MINDr of i^rANDa, «sulle alte vette del falco grandinava la neve del crogiuolo», e Mðk EIRar Syn gEIRa, þann berk AARM á ^vARMa jarèar jgrd... eyneglða, «la cintura tempestata d’isole della ter­ ^nlTvgllum mér, sITja; ra») la rima ha inserito, infatti, due nessi orizzontali, descrittivi. es /ARÐg^fugr ORÐum HAfjgll... snjAvi, «alte vette, neve», e eynEGLDa... hEGLDuy ORÐ min konungr fORÐum «tempestata d’isole, grandinava». S’intersecano le associazioni, hafði ^rAMr at ^AMni, GeirhAMÐis mik frAMÐi gli equilibri stessi diventano eccitanti percorsi di scoperta. Le assonanze e le rime portano allo scontro estremi violenti þeira’s Aauks fyr ^andan hÁí\q\\ diguIsnjAvi come le tenebre del cieco {hlindr) e l’abbagliamento dei tizzoni /ARÐar gjQRÐ við ORÐum {branda)) e proprio per quella violenza postulano un legame di eynEGLDa mér hEGLDu attrazione e di compensazione. La stretta contiguità fra lo stra­ I tre principi del metro - ritmo (dispari, accumulativo, non zio del non vederci più [harm) e le palpebre {hvarma) su cui dialettico), allitterazione e rima - lavorano dunque tutti su uni­ grava quello strazio diventa riflessività, autismo, e scioglie il ri­ tà digerenti, dall’emistrofe al colon. I disegni che abbozzano cordo. Si incastrano in prospettiva, gli uni negli altri, gli ele­ sono in parte sovrapposti, le simmetrie sfalsate. Altri disegni li menti dello straordinario passato poetico di Egill, le «parole» traccia la stranissima sintassi scaldica, che sigilla veramente l’e- pronunciate in versi davanti al re e quelle altre «parole» a ri­ mistrofe in cifra. E anche questi disegni sono solo in apparenza compensarle: la paga del poeta, i regali d’oro. La rima è martel­ capricciosi, inesplicabili e imprevedibili. Si è parlato molto di lante, ossessiva; tutti i ricordi si condensano in un momento groviglio selvatico, tre o quattro frasi cresciute una nell’altra, ('fr p. 170; «Brancolo, cieco, attorno al focolare; I vorrei vederla, la Syn della c-ura ì della lancia, portarsi la mia pena I sul campo di battaglia delle palpebre. I Io, abituato un giorno, per la gioia 1 che eccitavo nel re vantaprovince, I a ottenere parole Cfr p. 54: «Chi, sulle rupi altissime del falco | mi grandinava, in cambio di pa­ di Geirhamðir I contro le mie parole di poeta». La «cura della lancia» è la pomice, la role, ! di là della cintura tempestata 1 d’isole, la neve del crogiuolo». Le «rupi del fal­ «Syn della pomice» la donna. Le «parole del (gigante) Geirhamðir» sono l’oro. co» sono le braccia, la «cintura d’isole» il mare, la «neve del crogiuolo» l’argento. LUDOVICA KOCH XVIII INTRODUZIONE XIX interrotte, riprese; e la frase senz’ordine, ogni parola sistemata gno» che di quel malaugurio è latore. E nel frattempo tutto è in qualunque angolo, collegabile con qualunque altra. già avvenuto, sonno e realtà si sono scambiate le parti, il presa­ Ma come pensare che non abbia metodo e intenzione un di­ gio nefasto si è avverato prima ancora che ci sia stato il tempo scorso che rinvia regolarmente la sua interpretazione all’ultima di metterlo a fuoco parola, pronunciata con l’ultimo fiato? Le sapienti ambiguità Ma più impressionante ancora, e ancora meno capriccioso del­ tirate per via, la gradazione degli effetti, i contrasti studiati, le le costellazioni di parole, è il vortice delle frasi: due, tre e per­ parole chiave (soggetti, verbi, nomi propri) ritardate fino alla fino quattro che nel breve spazio dell’emistrofe si rincorrono, fine dell’emistrofe? Steingerðr che tiene sulla corda il suo inna­ sopraffanno le prepotenze reciproche, si precipitano affannose a morato (che le ha chiesto, si suppone con una certa angoscia, dire la loro, segnando l’ultimo punto. Forse neppure il verso chi intenda sposare) ammettendo soltanto con le due ultime sil­ a tre battute, o la rima straniera, riescono (come l’intarsio sin­ labe di avere in mente proprio lui, Kormàkr, e nessun altro tattico) a far misurare il baratro che divide la stanza scaldica dal che lui? verso lungo dell’epica. L’antica coerenza del distico è frantu­ mata e travolta. Le cesure e gli stacchi di fine verso scandiscono Brœðr mynda ek blindum, bauglestir, mik festa, un andamento rotto e mosso, variamente iconico dei procedi­ yrði goð sem gerðisk menti del pensiero. Procede per singulti, cosi, la scoperta del góð mér ok skgp, Fróða cozzo fra i due versanti della storia, l’ufficiale e il privato, nella Rileggiamo le stanze, di Bragi e di Egill, che ci sono servite stanza di Egill in morte del fratello Þórólfr (chiamo ìì, ^ e c le tre sequenze grammaticali che s’intersecano): di esempio per studiare il metro. È possibile credere che questa poesia non si sia fatta ascoltatori a sua immagine, allenati a iso­ jgrð groer {a), en ver vetðum {b), lare i luoghi del discorso enunciativo quotidiano (chi, che cosa, Vinu nær of minum (a), come, quando) per ricombinarne un disegno segmentato che helnauð es þat {c), hylja {b) sovverte tutte le gerarchie dell’informazione? Sulla corda della harm (b), ágætum barma (a) voce cantilenante, si scende ad assecondare l’arbitrio apparente Oppure insorgono rabbia, ricordi e rancore a strozzare il flus­ dei modi e dei particolari (la sintassi esplosa fa saltare, con le so delle idee e la voce: gerarchie, le ipotesi convenzionali di motivazione), fino al nodo stesso di quel fare. E il nodo è di solito un dilemma irrisolto, Gunnhildi àk gjalda (a), greypt’s hennar skap (b), þenna (a), una sciagurata doppiezza, un peccato originale mille volte se­ ungr gatk ok læ launat (c), polto. Riportato alia luce dalla posizione di rilievo nell’ultimo landrekstr {a), bili grandat (c) verso (come, a picconate, il Cuore Rivelatore e il Gatto Nero Forse nessuno scaldo ha il gusto di Egill per le strofe figu­ di Poe), si dimostra capace di illuminare ora, a ritroso, le ra­ rate; fabbricate, cioè, secondo un disegno sonoro che restituisce, gioni taciute di quanto è successo come in un titolo, l’immagine del referente. Una nave, un tu­ La distanza nella coordinazione, i salti, i silenzi, le dubbio­ mulo, una «catasta di elogioEgill sa figurare anche l’irraffi- sità vanno, come certo erano, percepiti come veri e propri punti gurabile, in una meditazione sulle reciprocità che legano natura, di forza, capaci di caricare di novità drammatica fatti stranoti, azione e destino: leggendari e storici. Due versi interi separano (nella terza stanza della Ragnarsdràpa) vid illan e draum, il «malaugurio» dal «so- þyerra nú {a), þeirs þverrðu {b), þingbirtingar Ingva (a), Cfr p. 208; «Col fratello di Fróði, fosse pure 1 cieco, mi legherei, frantumaanelli I se gli dèi mi si facessero benevoli 1 e se lo concedesse la sorte». «Frantumaanelli» è il Cfr la nota 16. guerriero generoso, che divide il bottino. Cfr p. ^2: «Riverdeggia la terra (a), ma noi {b) t seppelliremo il dolore (b), vi- Cfr per es., nella Ragnarsdràpa, le kenningar sarcastiche «fratelli di Erpr» per cmo (^ I alla Vina (a), - tormento d’inferno (c) - I sul mio fratello famoso {a)». Hamðir e Sgrli (che avevano appena assassinato il fratello Erpr, e cosi si erano preclusi ^ Cfr la nota 14. la vittoria) e «desiderio di Svanhildr» per Jgrmunrekkr (che aveva fatto calpestare a , Cfr i poemetti di Egill Sonatorrek, Arinbjarnarkviða e la stanza sulla tempesta morte la moglie Svanhildr, provocando la vendetta di Hamðir e Sgrli). inspettivamente, pp, 155, 123 e 249). LUDOVICA KOCH XX INTRODUZIONE XXI hvar skalk manna mildra (c), stanza d’amore di Egill, la delusione (sequenza a) e il rimpianto mjaðveitar dag {b), leita (c).,.®. (sequenza b) si dànno e si tolgono continuamente lo spunto: È possibile ricostruire empiricamente le regole della disse­ Ókynni vensk {a), ennis [b) zione e degli innesti sintattici. E che le regole restassero «senza ungr (a) þorðak vel forðum (b), eccezioni»", doveva provvedere il pubblico a controllarlo non haukaklifs (a), at hefja (b), Hlin (a), þvergnípur minar (b)... meno del poeta. Ogni tecnica ha le sue funzioni, e ogni tipo ne combina più d’una. L’accumulazione (tre o più sequenze una Di questa raffrenata esplosione della sintassi, che costituisce dopo l’altra, abc) per alzare «tumuli» e «cataste» celebrativi. il tratto forse più straordinario delle stanze scaldiche (e certo L’inciso (una sequenza interrotta da una seconda, aba)\ tecnica lo scoglio maggiore per interpretarle e per tradurle), i teorici antica, praticata dall’epica e dalle epigrafi per aprire buchi e antichi non ritengono che valga neppure la pena di parlare. Par­ tiroìrs, ambiguità e tensione. Il discorso principale si richiude lano invece, e a lungo, degli oltre cento tipi metrici che deve intorno all’inciso senza assimilarlo, come fa la corrente coi massi saper maneggiare un abile scaldo: varianti del dróttkvætt e sue che travolge. E anche questa è una figurazione; perché gli incisi combinazioni con i metri eddici (Snorri, Hàttatal). Parlano della riguardano spesso le impennate della coscienza personale e poe­ memoria mitologica, cui lo scaldo attingerà per Vinventio (Snor­ tica entro il torrente dell’interpretazione collettiva. Qui {e) — la ri, Gylfaginning). E parlano soprattutto áúVelocutio, Snorri e massima che fonda le culture - ostacola il serpeggiare dubitati­ poi suo nipote Öláfr hvítaskáld (che applica, come si è visto, vo di altre tre frasi, bcd: categorie latine). Nel Dialogo sulla poesia (o Dizione poetica: Skàldskaparmàl), veitk (a), at vætki of sytik (b), valdi guð (c), hvar aldri (d), sezione centrale àùVEdda di Snorri, Ægir (dio del mare) sta dauðr verðr hverr {e), nema hræðumk (b) seduto a bete al convito degli Asi accanto al dio della poesia helviti (b), skal slita (d) Bragi. Gli fa domande: L’incastro a enjambements (il tipo più semplice è ah!baiò) «In quanti modi si modifica, in poesia, il linguaggio, e quanti tipi scavalca invece i confini del verso, provoca frane di frammenti di poesia ci sono?» Rispose allora Bragi: «Ci sono due elementi, a di­ stinguere ogni poesia». Chiese allora Ægir; «Quali due elementi?» verbali, inoltra un movimento nuovo a ogni cesura. E dunque Dice Bragi: «La dizione e i metri». «Che tipi di dizione avete in poe­ si adatta alle brevi tentazioni di racconto: sia?» «Tre sono i rami del linguaggio poetico». «E quali?» «Chia­ mjgk fràk moti hrokkva mare ogni cosa col suo nome; il secondo è quello chiamato forngfn myrkbeins Haka reinar [a), ("pro-nome”); il terzo ramo del linguaggio è quello che chiamiamo þás vigligan {b), vagna {a) kenning, ed è concepito in questo modo, che facciamo il nome di Odi­ vàtt {a), sinn bana þátti {b) no, o di Pórr, o di Týr, o di qualunque altro degli Asi o degli Alfi; e ad ognuno di quelli di cui ho fatto il nome, io adatto un appellativo Ma l’incastro dialogato, a due o più voci, crea invece (con che si riferisce alle proprietà di un altro aso, oppure aggiungo il nome profondità e distanze) una scenografia piena d’echi. È una tec­ di una sua azione; e in questo modo è lui a venir nominato, e non l’altro di cui ho usato il nome. Come quando diciamo 'il Týr della vit­ nica teatrale: introduce il 'protagonista’, ribatte un 'antagoni­ toria’ oppure 'il Týr degli impiccati’, o ancora 'il Týr dei carichi delle sta’, appoggia o contrasta una voce 'di spalla’. In un’inquieta navi’, questi sono nomi per Odino: nomi che chiamiamo kent beiti, come pure se Io chiamiamo 'il Týr dei carri’». “ Cfr p. 54: «Oggi si estingue {a) chi estìngueva il giorno {b) I l’uomo più illustre delle accolte d’Ingvi {a) I dove trovarmi un amico altrettanto (c) I generoso? (c) del Il passo è meno confuso di quanto sembri. Come un’altra flusso d’idromele (b)». Il «flusso d’idromele» è il corno, il «giorno del corno» l’oro. Le «accolte di Ingvi» sono le battaglie. «arte» di Odino, di cui Snorri parla altrove, «cambiare faccia K. Reichardt, Studien zu den Skalden des 9. und 10. Jahrhunderts, Leip2Ìg 1928. e forma a volontà» (Ynglinga saga, 6), anche l’«arte» {íþrótt) Cfr p. 266: «So {a) che non ho paure (b): Dio decida (c) I - ognuno di noi muo­ re (e) - ma ho terrore {b) 1 deU’inferno {b), la fine della vita {d)». Cfr p. 352; «Mi hanno detto che a forte resistenza I si dispose il sostegno alle ^ ” Cfr p. 192; «Non mi conosce più {a) (è un’abitudine insolita) [b), I tenera balene (a) | delle ossa scure (b) delle vie di Haki (a), I vedendo il suo uccisore {a) in Hhn {a) eppure fino a ieri (b) I delle rocce {a) ardivo alzarle in faccia (b) I del falco (a) assetto di guerra {b)». Le «vie di Haki» sono il mare, le «ossa scure» gli scogli, le ^^Pi che mi tagliano la fronte (è)». Le «rocce del falco» sono le braccia, la «Hlin «balene degli scogli» i giganti, il «sostegno dei giganti». delle braccia» la donna. Le «rupi della fronte» sono le sopracciglia. LUDOVICA KOCH XXII INTRODUZIONE XXIII della poesia è pensata innanzitutto come un mestiere di trasfor­ ticale, per Snorri (che parla, per analogia, anche di «nomi» tri­ mazione. Fare poesia è usare una lingua modificata {breytt mal); pli, tvikennt e quadrupli, rekit)\ non semantica. La teoria della modificata tanto sul piano formale (inventando e regolando pa­ kenning, in Snorri, come definizione metonimica che lavora se­ rallelismi, richiami e figure ritmico-sonore) quanto sul piano se­ condo i modi della logica classica (per sostanza, cioè, per attri­ mantico^". La poesia è dunque artificio e metamorfosi, come buti, per relazioni) si adatta perfettamente anche allo beiti-. diceva già Aristotele {Poet. 22, i458b); non sostituzione di un Si definisce {kenna) l’uomo per le sue opere, per quello che dà, o linguaggio a un altro. I materiali sono comuni, e soprattutto, la prende, o fa. Si può anche definirlo per quello che possiede, per quello poesia parla dello stesso mondo che tutti hanno davanti agli oc­ che gli resta e per quello che ha regalato; e ancora, per la famiglia da chi. Ma ne parla con pretese di verità, di autorevolezza e di sco­ cui discende o per quella che discende da lui. Lo si chiamerà dun­ perta che la lingua delFuso non potrà arrogarsi mai. que colui che ha successo nei suoi viaggi o nelle sue imprese, o colui che li intraprende: battaglie, viaggi per mare, caccia, le armi, la nave «Conoscere» (kenna) poeticamente le cose è effetto soprat­ {Skàlà. 40). tutto della nominazione {kenning), che istituisce l’oggetto, lo delimita, lo distingue. La speciale figura verbale chiamata an- Il ritratto ristretto a cui lo beiti è obbligato (rappresentare ch’essa, per restrizione, kenning, non è dunque un’escrescenza in un’unica parola natura e funzioni) può essere tagliato come mostruosa, isolata chirurgicamente e sistemata sotto la lente dei un’istantanea o come una tavola da enciclopedia; servire, cioè, critici ottocenteschi e sotto il microscopio dei contemporanei; per la descrizione (dell’individuo) o per la definizione (del tipo). ma una manifestazione della generale ossessione definitoria che Lo beiti è fortemente orientato dal contesto e dal punto di vista. accomuna le poetiche classiche e classicistiche. A fare poesia so­ Fa distinzioni sociali, morali, qualitative. Invece di «uomo» si no le parole di per sé, rare, nuove, strane, prima ancora che la dirà, a seconda delle intenzioni, «guerriero» {seggr) o «buonan- loro combinazione. E per 'parole’ si intendono soprattutto i so­ nulla» {dùsilmadr), «eroe» {kappi) o «vigliacco» {blauðr), «si­ stantivi: che «sono di due specie (dice ancora Aristotele, Poet. gnorotto» {þegn) o «garzone» {vtlmggr), «maestro» {snillingr) 21, i47_5b), semplici e doppi». o «idiota» {fifl). Ci sono, fra gli beiti femminili, nomi per la Il libro di Snorri sulla Dizione poetica serve appunto a elen­ «ragazza» e nomi per la «sposata», per la «superba» {svari, care e a spiegare sistematicamente (con grande ricchezza di cita­ svarkr), per la «sottile» {ristill) e per la «placida» {drós). Ci zioni^') prima i «nomi doppi» (ossia le kenningar), poi i «nomi sono addirittura tre categorie di «vedove», con tre nomi; semplici» {beiti o forngfn) per una serie di oggetti culturali. A Sæta si chiama la donna il cui marito ha abbandonato il paese; censirli tutti questi oggetti non superano il centinaio. Ma le hæll si chiama la donna il cui marito è stato ucciso in battaglia; ekk]a convenzioni ne selezionano solo una quindicina a rappresentare si chiama quella che ha avuto il marito morto di malattia (Skàld. 86). rudimentalmente un universo semantico. Significativa è anche Egill ci ghigna sopra, nella strofa in cui chiama le sue vecchie la gerarchia decrescente che li ordina. Vengono innanzi tutto gli «caviglie» {bæll) con un altro nome per «vedove» {ekkjur) dal dèi, e solo dopo le dee. Poi la poesia. E, di seguito; il cielo, la letto gelato terra, il mare, il sole, il vento, il fuoco, l’inverno, l’estate, l’uo­ Lo beiti\\2i poi grande rilevanza stilistica. È molto lusinghie­ mo (e solo dopo l’uomo, la donna), l’oro, la battaglia, gli animali ro venir chiamati con nomi arcaici e suggestivi, riservati esclu­ mangiacadaveri, gli animali di pace, le armi, la nave, Cristo, il re sivamente alla poesia. Invece di «uomo», skati, mildingr, seggr, e i suoi vassalli (aggiunte evidentemente recenti). rekkr. E non sono mai sinonimi, si noti. I 170 beiti di Odino ^ Fra beiti e kenningar la distinzione è innanzi tutto gramma- pretendono di cogliere, ognuno, un barlume della sua persona­ lità disperatamente sfuggente. Il Temporalesco {Vidrir), il Mo­ “ La distinzione corrisponde anche al taglio àtW’Edda di Snorri, con un libro dedi­ nocolo (Bileygr), il Mascherato {Grimnir), il Malefico {Bgl- cato alle figure del linguaggio [Skáldskaparmál) e un altro dedicato alla sintassi e ai metri [Hàttatal). verkr), ma anche la Vittima {Gautr). E cosi via. Tanto grande che molti testi scaldici ci sono conservati esclusivamente in que­ st’occasione. Gli altri compaiono nelle saghe dei poeti e in quelle dei re, incorniciati da un commento in prosa. ^ Cfr p. 172. ^ Come ha fatto R. Meissner, Die Kenningar der Skalden, Bonn-Leipzig 1921. H. Falk, Odimheite, Kristiania 1901.

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.